OTTO MARZO: A NOI LA FESTA, A VOI LA PAROLA

6812354093_85ac3522fd_zSarebbe bello che per questo Ottomarzo le cose andassero un po’ diversamente. Che per una volta non toccasse alle donne elencare di tutti i guai causati a questo Paese da un’irriducibile “questione maschile”: il monopolio, come lo chiama Chiara Saraceno, dei posti di potere, l’applicazione di cospicue quote non scritte (tra l’85 e il cento per cento) a favore degli uomini.
Sarebbe interessante che stavolta fossero i nostri colleghi giornalisti, opinionisti e blogger, a dire I care.
A scrivere: la violenza e il femminicidio sono un mio problema, e rivelano l’incapacità della sessualità maschile di liberarsi dalla tentazione del dominio.
Come posta un lettore, Claudio Losio, sul blog Il corpo delle donne, commentando la vicenda della ragazza stuprata da un militare a L’Aquila, «il quadro che ne esce ci riporta indietro di 30 anni, al documentario di Tina Lagostena Bassi sul processo per stupro. La giovane studentessa dell’Aquila è nostra figlia, dobbiamo trovare il modo di sostenerla e proteggerla».
I care: è un mio problema di uomo lo sfruttamento commerciale e mediatico della bellezza femminile, che indebolisce le donne inchiodandole a stereotipi umilianti.
È un mio problema che l’agenda politica e quella economica siano decise quasi esclusivamente da vecchi maschi che bloccano qualunque innovazione per il loro vantaggio personale.
È un mio problema la mancanza di welfare e di servizi, freno all’occupazione femminile e allo sviluppo.
È un mio problema l’eccesso maschile che sta danneggiando tutti, donne e uomini. E serve anche il mio impegno perché le cose cambino.
Sarebbe bello.
8TH MARCH: WE CELEBRATE, YOU DECIDE
It would be great if for once on this International Women’s Day things could be different.
It would be interesting to see our male colleagues, both columnists and bloggers, saying “I care”. If they wrote: “violence towards women and femicide are my problem” and if they could reveal men’s inability to free themselves from the temptation to domineer. Following the rape of a girl by an army men in L’Aquila, a reader, Claudio Losio, posted the following on the “The Women Body “ blog: “This bring us back 30 years, back to the documentary by Tina Lagostena Bassi on the trial for rape. The young student from L’Aquila is our daughter, we have to find a way to support and protect her”. “I care”: I care as a man about the exploitation of women beauty in the media. It makes women fragile, confining them to a humiliating cliché’. I care that both politics and the economy are controlled by old men who prevent any change from happening to protect their own gain. I care for the lack of health, social and welfare services, which prevent women’s employment and development. I care for men’s excesses, which are detrimental to both women and men. I need to make a commitment for things to change. It would be great.
Postato in contemporanea da – Contemporaneously posted from:
Giovanna Cosenza, Femminile plurale, Ingenere, Ipaziaevviva, Marina Terragni, Lorella Zanardo.
Le blogger che condividono questo post pubblicano periodicamente thread comuni, in particolare sul tema della rappresentazione pubblica della donna e su quello della rappresentanza politica.
Women bloggers sharing this post regularly publish common threads, specifically on issues regarding public portrayals of women and their political representation.

193 pensieri su “OTTO MARZO: A NOI LA FESTA, A VOI LA PAROLA

  1. Sarebbe bello che anche le donne prendessero coscienza della loro responsabilità in questa crescendo di vulnerabilità e disistima maschile mascherata da forza, violenza e dominio. A cominciare dalle madri, che spesso per prime approvano e alimentano l’aspetto più macho dei loro figli; fino alle fidanzate e compagne, per le quali sentirsi “sexy”, “desiderate” e “irresistibili” è più importante che sentirsi se stesse.
    Sarebbe bello che non fossero solo parole, insieme e/o al posto delle mimose.

  2. Approvo appieno. Una minima nota di traduzione: contemporaneously suona un po’ letterale. Non è meglio simultaneously, jointly o concurrently?

  3. Voglio argomentare il mio ringraziamento.
    Carissime amiche blogger – Marina, Loredana, Lorella e le Altre – scrivo per il momento per sottolineare la politicità del vostro gesto.
    Un gesto atteso che personalmente mi riempie di forza. Ma si tratta della vostra forza di donne e giornaliste che sanno di poter contare su un ascolto diffuso non soltanto presso le vostre e i vostri lettrici/lettori, commentatrici/commentatori ma anche presso gli uomini che a vario titolo detengono il potere-dominio sul nostro genere e, più in generale, sul mondo.
    In diversi modi e in altrettante occasioni, infatti come donne abbiamo chiesto una presa di parola maschile sul problema della violenza, conseguenza del potere-dominio rivolgendoci anche a coloro, uomini, che si confrontano con noi da tempo e sono concordi con la nostra richiesta avendo inteso che non stiamo incolpando chi non ha colpa, ma chiedendo di capire insieme.
    Claudio Losio, fra i più attenti degli amici che partecipano al nostro costante confronto, questa volta ha dato un segno più che mai tangibile del senso di responsabilità verso le figlie, i figli il nostro e il suo genere, sentimento affatto scontato che conserva in sè la potenza di un reale ascolto fra i sessi, ed io lo ringrazio come ringrazio voi di averlo citato.
    Ma vi ringrazio ancora di questo forte atto politico che dà conto della volontà delle donne di far intendere che ci stiamo presentando come soggetto che, come tale, risponde in modo civile e pacifico alla guerra dichiarata da quel maschile che non deve più permettersi la violenza in ciascuna delle forme che ha assunto e con le quali si propaga.
    Un ringraziamento particolare rivolgo a Marina che ha lanciato l’appello alle sue colleghe, il cui risultato vediamo oggi in concreto.

  4. “È un mio problema l’eccesso maschile che sta danneggiando tutti, donne e uomini.”
    Ma siamo proprio sicuri? Io ne dubito! Oggi gli uomini non riescono piu’ a trarre i vantaggi del passato dalla societa’ maschilista solo perche’ la societa’ e’ meno maschilista (non tanto).

  5. Sottoscrivo.
    I care!
    È un mio problema. Come uomo, marito, fratello, figlio, padre.
    È un mio problema perché è assurdo, ingiusto, intollerabile, umiliante, per la donna e per l’uomo (io mi sento offeso da chi crede che per vendermi il suo prodotto basti mettere due tette ed un culo, aborro chi crede che una donna in minigonna voglia lanciare il segnale di essere proprietà di chi la vuole, mi sento limitato nel mio ruolo di padre e marito da chi vuole una società dove mancano le infrastrutture per poter essere appieno sia l’uno che l’altro).

  6. Beh, questa è difficile. Ma provo a buttarmi.
    Poniamo che io come uomo domini il richiamo biologico che ci fa riprodurre come specie e mi imponga una morigeratezza nel piacere di vedere donne ignude ad ogni angolo della strada mediatica. Immediatamente diminuirebbe lo sfruttamento commerciale del proprio corpo da parte di una fortunata quota femminile. Ora la mia compagna sarà libera di non sottostare a stereotipi umilianti che le hanno sempre imposto di essere quello che non era veramente, di truccarsi in un certo modo, di vestirsi in un altro, di pesare un tot, di entrare in quella taglia, di eliminare gli effetti del tempo, di assomigliare a quella o a quell’altra, conformandosi di volta in volta. Ora la mia compagna può finalmente iniziare ad aspirare alla sua autodeterminazione e felicità. Tuttavia questo cambio di sensiblità ha falcidiato interi settori commerciali che hanno visto ridursi pesantemente i propri fatturati, l’industria della moda, del fitness, della cosmesi… Così la mia compagna che prima lavorava in un sobrio ufficio di una multinazionale si vede licenziata per una complessa serie di cause ed effetti connessi a quei fatturati. Finita in disoccupazione smette di contribuire al gettito dei tributi nazionali e passa dalla parte della catalizzatrice di servizi a quella della parassita consumatrice di servizi. Così le risorse generali diminuiscono e la cronica diminuzione di welfare e servizi frena la sua potenziale rioccupazione. A questo punto la mia compagna necessita di un aiuto economico e perciò il mio problema diventa l’eccesso di lavoro che devo sobbarcarmi per produrre sufficiente reddito per entrambi. Allora io e la mia compagna, indignati, decidiamo di fare politica per raccogliere le istanze e i malumori di una situazione di sofferenza comune a molte/i. Però i posti sono già occupati e per uno che esce uno entra. È battaglia, non c’è altra soluzione. Solo che, a ben vedere, cos’è mai una struttura di potere se non il consuntivo di un rapporto di forza di ciò che ti ha condotto al vertice? Quindi io e la mia compagna chiediamo a chi occupa il potere di farsi da parte con la semplice argomentazione che vorremmo il loro posto? Perciò si prende atto dell’ovvietà che la società non è comandata da maschi anziani per decisione divina ma da individui in superiorità di forza. Quale sarebbe il vantaggio a far partecipare al vertice chi non abbia dimostrato con la forza di essere in grado di scalzare altri senza cambiare completamente il modello di società? Diciamo che ho istituito le quote rose in parlamento e nei consigli di amministrazione. Diciamo che ora la mia compagna occupa un posto di vertice in politica o in economia. Sempre che la parità di genere non sia un traguardo fine a se stesso ma debba essere il risultato di un sistema che ha una sua utilità, ora io sono diventato discoccupato e comincio a lamentarmi dello sfruttamento dell’immagine della violenza maschile che mi inchioda a stereotipi umilianti, è un mio problema l’eccesso femminile che sta danneggiando tutti…
    Alla fine sono in casa a fare il casalingo e a badare ai bambini mentre la mia compagnai mi mantiene e nel frattempo maledico Latouche e la Erika Jong, tradito da entrambi nel credere che decrescita e femminismo fossero compatibili.

  7. Sottoscrivo!
    I care: è un mio problema di uomo lo sfruttamento commerciale e mediatico della bellezza femminile, che indebolisce le donne inchiodandole a stereotipi umilianti.
    È un mio problema che l’agenda politica e quella economica siano decise quasi esclusivamente da vecchi maschi che bloccano qualunque innovazione per il loro vantaggio personale.
    È un mio problema la mancanza di welfare e di servizi, freno all’occupazione femminile e allo sviluppo.
    È un mio problema l’eccesso maschile che sta danneggiando tutti, donne e uomini. E serve anche il mio impegno perché le cose cambino.
    Sarebbe bello.

  8. Sì, sarebbe bellissimo e civile. Che molti uomini ‘si rendessero conto’, semplicemente. Non è un argomento su cui discettare intellettualmente, mi pare: è una (nuova) attitudine, ma anche una prassi già abbondantemente sperimentata altrove, visto che siamo ancora al 74° posto per la parità di genere!
    Non nascondiamoci dietro a troppe argomentazioni, il vero disastro è la situazione attuale, e l’arretratezza non ha mai fatto bene a nessuno tranne che a chi detiene il potere.

  9. “fino alle fidanzate e compagne, per le quali sentirsi “sexy”, “desiderate” e “irresistibili” è più importante che sentirsi se stesse.” fiorenza
    Non concordo. Chi ti dice che una donna sexy (qualunque cosa si intenda con questo termine) non sappia essere se stessa? Ma il punto è un altro: se un uomo stupra o uccide la donna che diceva di amare è colpa sua (fermo restando il discorso dell’educazione che avrà ricevuto della madre e pure dal padre, i genitori influiscono per ciò che fanno e non fanno) non certo del comportamento della compagna sexy o non sexy

  10. @Paola Di Giulio
    A parte il fatto che discettare intellettualmente vuol dire citare il Global Gender Gap Report che è un eccellente esempio di tutti gli errori possibili (dalla metodologia al dato puro) che si possano commettere nel dare punteggi. Che consistenza vogliamo dare a uno “studio” che giudichi come punteggio positivo non il fatto che tra uomini e donne vi sia parità nello specifico parametro studiato ma sbilanciamento a favore delle donne? Ma scherziamo? Ad esempio nel concorrere al punteggio finale la presenza di più donne che uomini nell’istruzione terziaria viene vista come positivo! Chiaramente il repoirt non ha granché di scientifico bensì ha scopi retorici e va preso per quello che è. Dispiace che a un occhio attento getti fango sulla comprensibilità del gender gap reale, che naturalmente c’è ed è un problema.
    Più in generale non nutro alcuna speranza in tutte queste iniziative per il semplice fatto che le persone ritengono di poter salvare l’altrui parità delle capre e i personali cavoli economici. È quando si fa notare che il miglioramento delle condizioni economiche e di potere dell’altrui sesso implicano la riduzione delle proprie che scatta la dissonzanza cognitiva e l’uomo ritorna a constatare che nel dilemma tra l’abbassamento o la perdità del proprio potere e la concessione ad altri in nome di un ideale non si farà la fine dell’Asino di Buridano. Sempre che i buontemponi che in altre occasioni si battono il petto della decrescita non comprendano che anche questo gioco è a somma zero.
    Ma, dimenticavo, ci sono addiruttura quelli che citano, non distinguendo retorica da scienza, Draghi credendo che il Pil si alzerebbe se la presenza femminile aumentasse mentre naturalmente è l’aumento del Pil a essere condizioone necessaria ma non sufficiente a un maggior impiego femminile mentre l’aumento dell’impiego femminile non è né condizione necessaria né suifficiente all’aumento del Pil. Sorry. 🙁
    Le donne devono prendersi il potere come fanno gli uomini con gli altri uomini: con i denti e con le unghie. La questione, apparentemente reazionaria, è per farne cosa. Per sostituire forse gli uomini nei ruoli di comando all’interno del medesimo sistema violento? Che masochismo queste donne.

  11. @hommequirit, confutazione semiseria del tuo scenario .
    Poniamo che, invece che spendere tot in mutande arrapanti, rossetti e winx per le figlie, semplicemente si spendessero l’equivalente per mutande diverse, una bici o un ipod, e altri giochi per le figlie; insomma poniamo che il sessismo non garantisca poi un gran margine in termini di benessere economico (il che forse spiegherebbe la sopravvivenza e relativa prosperità di paesi meno sessisti del nostro).
    Poniamo che comunque la multinazionale in cui lavora la tua compagna entrasse in crisi per un mutamento non ben intercettato dei gusti dei consumatori (o per altri motivi forse più frequenti): quel che si vorrebbe è che la tua compagna avesse le stesse tue possibilità di essere licenziata, cioè in base alle sue capacità e non al suo genere di appartenenza. Oggi qui per molte non è così (vedi come primo esempio concreto che mi viene in mente la lettera di dimissioni in bianco che a donne in età fertile capita di dover firmare quando vengono assunte).

  12. @Francesca
    C’è del vero in ciò che dice ed io la penso come lei ma cerco di pormi orizzonti diversi, pienamente consapevole che per ottenere durevolmente, ripeto, durevolmente, un risultato non sempre la via migliore è la più intuitiva.
    Inoltre non è il sessismo a garantire un fatturato enorme ma la vanità che ha per ancella la fatuità. Ed è sempre la fatuità a declinare in mille modi la possibilità di attrarre l’altro/a. E ancora è la fatuità ad essere attratta da ciò che l’altro/a ha in funzione di cosa gli/le altri/e non hanno.
    PEr questo non è del tutto peregrino il discorso di chi rimproveri come contraddittorio al femminismo storico di aver puntato allora su una emancipazione femminile attraverso la libertà del proprio corpo senza voler ammettere che l’ogettivizzazione del corpo femminile è stata un’arma delle donne e non un ricatto degli uomini. Poi siccome tra donne vige la stessa competitività che tra uomini (per desiderio di primeggiare o per ottenere dall’altro sesso attenzione emotiva, soldi o potere) la competizione estetica ha finito per travolgere l’onesto intento emancipatorio di allora trasformandolo in un complesso e in una croce.

  13. Gli uomini che fanno violenza alle donne sono un mio problema. Lo sono gli omofobi, gli abusatori, gli intolleranti, gli sfruttatori del lavoro, gli scafisti e chiunque, uomo o donna, si approfitti una qualsiasi condizione di debolezza altrui. Sono un mio problema tutte quelle persone che si drogano di forza bruta, potere e prevaricazione per anestetizzare i terrori oscuri che sorgono dal fondo ignoto della loro stessa anima, che mai hanno avuto il coraggio di interrogare.
    E, aggiungo, sono un mio problema quelle donne che, non desiderando realmente cambiare l’ordine vigente, ci si ritagliano dentro proprie nicchie, usando la seduzione o il semplice essere donna per ottenere dai maschi alfa piccole prebende, comodità e privilegi, spacciati per risarcimento di torti che non hanno in realtà nessun interesse a chiedere che vengano davvero riparati.

  14. Rimango dell’idea che certe disquisizioni innanzitutto riguardino una minoranza, e a volte coprano la determinazione a non lavarsi da soli i calzini… Faccio un esempio: mettiamo che in una azienda ci sia una assoluta parità di genere. A fine giornata praticamente tutte le impiegate schizzano ad occuparsi di mariti, figli, ecc. Alcuni uomini rimangono in ufficio, cazzeggiando fuori orario, e creando quel gruppetto che, potendosi permettere di ritardare il ritorno a casa, lavora ad un proficuo scambio di pareri e informazioni di lavoro da utilizzare il giorno dopo…questo è un potere strisciante, che si rischia di perpetuare. Quando si fanno solo scenari in grande. Così funziona, quando non ci si assume in prima persona la responsabilità di tutto il resto, a cominciare da una condivisione degli impegni anche fuori di un ufficio.
    Scusate la banalità, ma io attribuisco molta importanza anche ai micro- comportamenti che derivano da micro-concezioni. Si chiede agli uomini anche di fare un atto di umiltà e sospendere il giudizio. Soffermarsi e dire ‘è un mio problema’.

  15. La violenza, specialmente quella che si esercita nelle famiglie, soprattutto quella da parte di uomini che non accettano libertà e rifiuti delle donne, è certamente un mio problema, perchè non si può vivere col cuore in pace in una società in cui le relazioni sono così degradate.
    La minaccia al welfare e la mancanza di pari opportunità è certamente un mio problema, anche se non avessi una figlia di ventun anni.
    Lo sfruttamento dell’immagine e del corpo femminile a fini commerciali è un mio problema, anche se non può avvenire senza il consenso delle donne che ci marciano e su questo costruiscono carriere. In questo senso, è anche un mio problema sottolineare l’incoerenza tra la condanna dello sfruttamento commerciale e l’esaltazione della libertà di esporre come strumento di seduzione il corpo medesimo. Questo (ma non è il solo) è uno dei nodi problematici che il femminismo attuale si rifiuta di sciogliere, probabibilmente per non rischiare ulteriore impopolarità. Ma non si può essere rivoluzionari e populisti insieme. La rivoluzione implica un rifiuto dell’ordine esistente, il populismo il suo avvallo, più o meno implicito.

  16. “l’incoerenza tra la condanna dello sfruttamento commerciale e l’esaltazione della libertà di esporre come strumento di seduzione il corpo medesimo”.
    il mio metodo è trasporre certi meccanismi al maschile. Guarda cosa accade al corpo maschile. Gli uomini non si fanno certo problemi a mostrare il proprio corpo, a renderlo strumento di seduzione, scegliendo gli abiti che stanno meglio addosso, che essi apprezzano stilisticamente, e via dicendo. Contemporaneamente, però, lo sfruttamento commerciale (e anche psicologico) del loro corpo è molto inferiore a quello del corpo femminile. (Non sapevo come chiamarlo: per sfruttamento psicologico intendo il “te la sei cercata”, quando vado in giro in trucco e gonna e attiro attenzioni – e pressioni!!! – indesiderate. Se vedo un bel ragazzo in giro non mi sento spinta a rompergli le scatole se ha dato chiari segni di “no grazie”).
    Libertà di esporre il proprio corpo e sfruttamento commerciale non vanno di pari passo, si può benissimo avere l’uno senza l’altro. Accade infatti sotto gli occhi di tutti con gli uomini. Si chiama cultura.

  17. Gli scenari apocalittici di hommequirit sanno davvero di isteria ottocentesca. Come quando Emilio Fede lamenta che se chiudesse rete4 i dipendenti di quella rete televisiva perderebbero il lavoro. Lavorerebbero in un’altra rete televisiva, occupandosi di altro, scrivendo altre trasmissioni e occupandosi di altri argomenti.
    Non me la raccontate più, che c’è questa cosa che si produce ricchezza, e ci vanno di mezzo tutti. La ricchezza si produce e resta in mano di pochissimi.

  18. I care..certo che sono un mio problema, tutte le istanze proposte in questo post, ma non certo mio problema in quanto e maschio, ma più seriamente come persona appartenente a una comunità.
    Non sarebbe il caso di esprimersi criticamente anche adesso, però , mi sembra che riproporre un articolo così, con questa separazione artificiale Maschi e Femmine come in certi biasimati giochi dell’asilo, non credo possa generare niente di particolarmente efficace, se non. Se non le solite viziose contrapposizioni, estensione generalizzata della tentazione di dominio.
    Ciao,k.

  19. NOI DICIAMO I CARE CON UNA SERATA DI MUSICA E TEATRO, DI MONOLOGHI E RISATE, DI PEZZI TEATRALI SULLA DONNA E SUL GENDER GAP. ALLA COMUNA BAIRES L’8 MARZO, A MILANO.
    CONTRO LA ROZZEZZA DI CHI PARLA DI MORALISMO FEMMINISTA …

  20. @Cip
    Ma tu ci sei o ci fai?
    Chi ha parlato di stili di abbigliamento? Io parlo di corpo esposto e sfruttato come strumento di seduzione (tette fuori e minigonne al pelo, per essere chiari), fingendo di non sapere (ma chi lo fa lo sa benissimo), che trattasi di richiamo sessuale.

  21. Dunque, sull’esposizione del corpo, così come sulla sua decorazione, così come sui segnali e sui richiami, non c’è un codice preciso. Intendo dire che chi vuole vedere la seduzione la vede in ogni caso, in qualsiasi modo tu sia vestita o truccata. E’ questa la cultura di cui parlo. Non posso essere favorevole alla censura del corpo femminile, per me le donne possono andare in giro con tutte le scollature e le minigonne che vogliono, è nel loro diritto. Credi che io non abbia desideri quando vedo in giro un bellissimo uomo in maglietta a maniche corte? Credi che non sia seducente per me un uomo in maglietta allo stesso modo in cui lo è per voi una donna in minigonna? Si è messo quella maglietta per sedurre me? Non credo. Le aziende cercano di vendermi prodotti su prodotti utilizzando una caterva di uomini belli in maglietta? No. E allora?

  22. @Cip
    Ci fai. Inutile discutere.
    Chi ha parlato di censura o di diritti?
    Ognuno faccia ciò che vuole e si (s)vesta come vuole. Poi però se dopo averti visto sfilare poco vestita invece di offrirti una consulenza professionale ti chiedono di scosciarti sul cofano di una fuoriserie non lamentarti.
    PS – Quando una mi paragona la maglietta a mezze maniche alla minigonna come strumento di seduzione, scusa sai, ma mi vien troppo da ridere.

  23. Loredana, perdona l’offtopic. E’ che volevo dire che non è per non rischiare impopolarità che non siamo contro l’esposizione del proprio corpo. E’ proprio perché ci crediamo. Del resto la società era ferocemente maschilista anche prima della minigonna.
    Mi lamento eccome, se l’aver mostrato le gambe fa di me una che vale solo per quello.
    Ridi pure di fronte al desiderio femmnile, tant’è.
    E credimi se ti dico che sono allibita di fronte alla confusione generata dalla mancanza di precisi codici: quanti centimetri di gonna fanno di me una che “ci sta”? E quanti di più fanno di me una a cui può essere chiesta una consulenza? Avete bisogno davvero di precise convenzioni stabilite e sottoscritte da tutti per non andare in crisi di fronte a una gonna?

  24. Guarda carissima, io lavoro da trent’anni in mezzo a ragazze dai 16 ai 19, se andassi in crisi di fronte a una gonna sarei già passato al ciclocross.
    Rido perchè ti arrampichi sui vetri pur di non ammettere un’evidenza che è tale per chiunque abbia un minimo di buon senso, cioè che l’esposizione del corpo è generalmente interpretata come una pratica disinvolta della seduzione quando al di fuori dell’intimità, non necessariamente come segnale di disponibilità sessuale ma certo come provocazione sessuale (il che secondo me è pure peggio). Questo te lo dirà qualunque maschio dai 15 agli 85, poi magari molti ti diranno che va bene, che così ci si lustra gli occhi e si sta più allegri ecc. Ma più le donne si svestono e meno sembrano puntare su capacità e intelligenza, e invitano a considerarle esattamente per quel che mettono in mostra.
    E lascia perdere i precisi codici, o i centimetri di donna: basta un minimo di buon senso per distinguere tra cura di sè ed esibizionismo, ed evitare di quest’ultimo gli effetti indesiderati. L’immaginazione è spontanea, ma si accampa sulla percezione, e le deduzioni seguono a ruota.
    Poi se non ti piace l’immaginario maschile medio che ti devo dire, fattene uno a tua misura. Dicono che il transgenico fa miracoli.

  25. Da bambino coi miei andavo al mare in una spiaggia dove si faceva campeggio libero e nudismo. Niente vestiti fino al tramonto. Molti di quelli/e saranno anche stati provocati/e dalle reciproche nudità, ma ricordo che vigeva un certo quale rispetto e i codici erano molto diversi da quelli che oggi martellano l’immaginario collettivo. Mica rose e fiori, per carità (ché poi magari di problemi ne sono sorti e ne sorgono altri), ma giusto per dire che non è questione di quanto sei nudo/a, ma di come connetti o disgiungi sesso, potere e denaro. Quelli là, a ragione o a torto, pensavano che la connessione non fosse né implicita né necessaria. Proprio per questo giravano nudi. 🙂

  26. @Wu Ming4
    Ma non solo in una spiaggia nudista, in una comune spiaggia, o tra gli yanomani dell’amazzonia quel tipo di nudità non innesca particolari pulsioni. Qui non se ne sta facendo una questione ontologica, ma si deve prendere atto di un significato culturale diffuso per non dire unanime nella società in cui viviamo, rispetto al quale situazioni “esonerate”, come quelle della spiaggia, appunto, rappresentano un’eccezione. Far finta che non sia così, o che in un ipotetico futuro rivoluzionario e “liberato” non sarà così, secondo me è pericoloso: rischia di creare le vittime sacrificali che confermano anzichè trascendere l’ordine della vita corrente.

  27. Valter, non so se ti risponde, io lo spero. E’ l’intervento di Lea Melandri in risposta a un articolo che accusa le feministe da una prospettiva opposta alla tua, e però, per forza di cose, complementare. L’articolo in questione, che è stato linkato anche in un commento al post successivo a questo, non merita per me troppa attenzione, ma l’intervento di Melandri credo chiuda bene la questione, e ci riporta al fatto che in questo post – e te lo sottolineo da amica, nella speranza che tu capisca che ho preso seriamente la tua domanda, alla quale cerco di fornire una risposta altrettanto seria – si è auspicato di parlare delle questioni nei termini di una assunzione di responsabilità maschile.

    “Corpi liberati o corpi prostituiti?”, mi sono chiesta provocatoriamente quando anni fa è esploso il dibattito su “sesso/denaro/potere”.
    “Forse né l’uno né l’altro. Poter scegliere non è automaticamente essere libere di scostarsi da modelli profondamente interiorizzati e fatti propri; usare il corpo, con cui sono state identificate, è stata per secoli una via obbligata di sopravvivenza per le donne, per cui non c’è da meravigliarsi se oggi pensano invece di ricavarne un beneficio. Caso mai possiamo chiederci se ricalcare ruoli noti, pur capovolti e rivalutati, aiuta a riconoscere gli ostacoli che le donne ancora incontrano quando tentano di esistere come persone e non solo come incarnazione dell’immaginario maschile.
    In tutto questo non c’entra la morale ma quel rapporto sessualità e politica che la cultura maschile ancora esita ad affrontare per non dover mettere in discussione la basi stesse su cui si è costruita la civiltà che è arrivata fino a noi.”
    Qui tutto l’articolo: http://27esimaora.corriere.it/articolo/se-non-si-trattasse-di-moralismo/

  28. L’intervento di WM4 è molto appropriato.
    Aggiungo una cosa su ciò che sostiene Binaghi. Non solo non è una questione ontologica, ma non è nemmeno – per fortuna – un modo di pensare unanime.
    Penso, per fare un esempio, al film “Erin Brockovich” (2000) che veicolava l’immagine di una femmina perennemente in minigonna e tacchi alti, senza che i vestiti mostrassero relazione né col suo talento né con una supposta provocazione sessuale. E appunto non sto parlando chessò della Giovanna d’Arco di Dreyer. Parlo di un film di cassetta, che ha avuto grande successo anche in Italia, pluripremiato, girato da un regista maschio tra i 15 e gli 85 anni, dove evidentemente si riprendeva un modello femminile emancipato che aveva già dalla fine anni ’90 una diffusione sociale.
    Insomma, se il tipo di giudizio individuato da Binaghi esite è un problema generazionale e localizzato. Io stesso non mi ritrovo per nulla in quel giudizio, trovo che la scelta degli indumenti sia prima di tutto una questione identitaria.

  29. Vale per Ilaria, ma anche per Laura, nell’altro post. Mi sta benissimo ragionare su morale e moralismo. Ma non a partire da una discussione falsata fin dall’inizio a scopi pubblicitari. Come noterete, ci siamo tutte sottratte a una polemica costruita ad arte e non decisa dalle donne che stanno lottando da anni, anche se per strade diverse, per lo stesso fine. Dunque, vorrei che anche il commentarium ignorasse quanto meno il punto di partenza di quella discussione. La questione va posta nei tempi opportuni e soprattutto con interlocutori intellettualmente onesti. Grazie.

  30. Mi spiace, Loredana, e non avrei citato Melandri proprio per questo motivo, se non avessi visto che l’articolo in questione era stato già tirato fuori. Ciò che lei scrive, però, mi sembra rispondere alle obiezioni di Valter, e soprattutto ricondurre alla necessità di interrogarsi spostando, finalmente, il centro dell’attenzione altrove. Completamente d’accordo con te.

  31. sottoscrivo ogni virgola delle repliche di Cip….il desiderio femminile, questo misconosciuto.
    @Walter:
    al liceo io la mia compagna di banco ci accorgevamo del modo in cui alcune distinte professoresse guardavano le “mezze maniche” dell’unico nostro compagno di classe che aveva un certo fisico – anche perché riconoscevamo il nostro stesso sguardo.
    O il tuo “non capire” è ideologico, oppure hai le fette di prosciutto sugli occhi.

  32. Viva Erin Brockovich (sia il film sia la persona realmente esistente, tra l’altro), per quanto mi riguarda. Sono un maschio di 27 anni etero e con un immaginario erotico credo piuttosto nella media e non capisco perchè si torni a parlare nel 2012 di “minigonna sì-minigonna no”, “scollatura sì-scollatura no” “provocazione sessuale sì-provocazione sessuale no” eccetera..non so dire perchè ma quando sento questi discorsi specie da parte di un uomo mi torna in mente l’inquietante e bellissima novella di Stephen King “Un bel matrimonio”..spero di non offendere nessuno.

  33. Andrea Bariberi scrive: “Penso, per fare un esempio, al film “Erin Brockovich” (2000) che veicolava l’immagine di una femmina perennemente in minigonna e tacchi alti, senza che i vestiti mostrassero relazione né col suo talento né con una supposta provocazione sessuale.”
    Ma è diametralmente il contrario di ciò che pensi. È proprio dallo sfruttamento dello stereotipo che una donna in tacchi e minigonna appartenga a classi subalterne, e non sia idonea a svolgere una professione di alto livello, che il film costruisce il suo successo. Per dare forza alla sceneggiatura la Roberts avrebbe potuto indossare altri abiti per mostrare la sua estraneità sociale all’ambiente dell’avvocatura. Invece la produzione ha deciso che non bastava e hanno calcato la mano con un vestiario eccessivamente e gratuitamente fuori luogo per far risaltare il contrasto nello spettatore tra ciò che ci si aspettava da quella aspirante professionista PRIMA di vederla all’opera e DOPO aver avuto un successo clamoroso.
    Così hanno finito per rimestare nello stereotipo – altro che emanciparne il contenuto! – perché il messaggio che è passato in quel film è tipicamente conservatore: non è mai stato in discussione il pregiudizio del giudicare dall’abito ma solo la capacità e l’onestà di ammettere la bravura altrui quando c’è; la Brockovich incarna la strenua e rara resistenza di una imperturbabile forza della natura vincendo il calvario dei mille problemi che le piovono in capo e solo così potrà essere accettata come una di loro e passare il confine tra il niente e la classe dirigente. A ricordare la giustezza della filosofia america che una/o su mille ce la fa – e le altre? Che ce ne frega, non sono soggetti da grande schermo ma solo da platea.
    Inoltre il film in questione è tratto da un caso giudiziario veramente accaduto e da una persona vera e vivente. Quindi non occorreva in alcun modo caratterizzare la donna con quei vestiti perennemente succinti per mostrare la bravura professionale di un’indigente divorziata e piena di guai.
    Lo si è fatto per capitalizzare al massimo dagli stereotipi non per eliminarli.

  34. @hommequirit
    Ovviamente la vicenda sarà stata un po’ romanzata come succede sempre ma niente impedisce di pensare che la vera Brockovich si vestisse davvero in quel modo all’epoca narrata nel film. Ma al di là di questa questione e del messaggio più o meno “conservatore”, l’importante per me è che un film racconti efficacemente quel che vuole raccontare (e comunque la Roberts era bravissima)

  35. Ci sono in rete foto della vera Erin, e anche sue dichiarazioni sul suo modo di vestire e sulla consapevolezza e l’eventuale strumentalizzazione dell’uso, da parte sua, della scollatura (abbondante e felicemente esibita, anche ora). Erin ha anche un suo sito, e sta raccogliendo informazioni su un tipo di pillola anticoncezionale che parrebbe fare male.
    Ma non dovremmo interrogarci, piuttosto, su come si finisce a fare il processo a come le donne si vestono, e proprio in questo post, esattamente come succede nei processi per stupro?

  36. @Paolo 1984?
    Ah sì? Ma il film ci vuole raccontare che se riesci a guadagnare milioni di dollari ti si passa anche il fatto che tu sia vestita con la minigonna jeans e il tacco da peripatetica e in quel caso ti rispetteremo evitando battutine snob e affettuose pacche sul culo. E le altre che non guadagneranno mai quelle cifre, non avranno mai quei lavori e non assurgeranno nemmeno agli onori della cronaca?

  37. Did Erin Brockovich purposely use her cleavage to obtain documents like in the film?
    At a National Press Club Luncheon, Erin answered this by saying, “I don’t know that I had in my mindset, I’m going to come in here and show my cleavage to get these documents. I really don’t think I was operating at that level. My dress code is not designed to offend anybody. It’s just simply the way I dress, and if my cleavage was showing and the guy let me in the door, I mean, I was happy to get in and I never really paid any more attention to it. So, however you dress, it’s your own personal style. I don’t mean to offend anybody. That’s just who I am, and I don’t deliberately utilize it as a tool to get what I’m looking for. “

  38. Hommequirit, vorrei capire, stai dicendo che il problema delle pacche sul culo è un problema delle donne e non degli uomini? O meglio, è un problema di minigonne?

  39. @Ilaria
    È un problema di entrambi perché non esiste l’uno senza l’altra. Comprendo dal suo intervento precedente che lei non deve essere molto d’accordo con chi le dica che se una donna va in un quartiere malfamato di notte in abiti succinti è semplicemente scema. Probabilmente lei vede un iperuranio fatato dove il diritto deve vincere ovunque sulla biologia. Allo stesso modo non si può ricevere andare a ricevere il premio Strega (s)vestita come una vestale e poi indignarsi se il Vespa di turno apprezza ciò che lo inviti a guardare, in un luogo in cui tu e lui siete chiamati a parlare d’altro. Della stessa ottusa incoerenza è una donna che da una parte accetti ed eserciti il potere biologico che l’avvenenza provoca in un individuo di sesso maschile sano e poi si scandalizzi se quel messaggio corporeo fosse apprezzato da maschi che non siano il suo alpha da lei desiderato e/o già scelto.
    La pacca sul culo è ovviamente un’espressione metaforica perché qualuneu maschio indulgesse in questo comportamento oggi sarebbe oggetto di immediato biasimo legale e sociale.
    Comunque non vorrei che il modello del femminismo nel confronti del rapporto tra corpo e guardone fosse quello imposto da Lady Godiva: io giro nuda ma tu non puoi guardare.

  40. Non credo che Ilaria voglia un iperuranio fatato, e, non per innescare fatalmente un altro problema, ma allora, per favore, qual’è la misura? (delle gonne)

  41. Esatto.
    Poi la Lipperini ci spiegherà che sono gli interlocutori “intellettualmente onesti” a cui vale la pena di rispondere, perchè va bene volteggiare da altezza medio-superiore, ma ogni tanto bisogna pure sporcartsi le mani.
    Per quanto mi riguarda, uno di questi giorni scrivo una lista di nodi che le femministe “intellettalmente oneste” dovrebbero provare a sciogliere, per evitare di pontificare da “un iperuranio fatato” dove il diritto (o il politicamente corretto) deve vincere sulla biologia, sul costume, sulla storia e sulla cronaca.
    Per me un comportamento intellettualmente disonesto è quando a chi dice ridicolo equiparare una t-shirt a una minigonna si risponde che in questo modo si nega il desiderio femminile, e che le sue posizioni sono frutto di ideologia o cecità (Laura.a. – per intenderci)

  42. Ilaria grazie. Mi fa piacere che la stessa Erin Brockovich affermi:
    “So, however you dress, it’s your own personal style. I don’t mean to offend anybody. That’s just who I am, and I don’t deliberately utilize it as a tool to get what I’m looking for.”
    Non lo sapevo, e mi pare vada d’accordo con ciò che ho scritto:
    “trovo che la scelta degli indumenti sia prima di tutto una questione identitaria.”

  43. @hommequirit
    No, il film (secondo me) vuole raccontare una battaglia legale contro una grande industria che inquina le falde acquifere e della determinazione e delle difficoltà di Erin Brockovich in questa lotta, ben interpretata da Julia Roberts (vincitrice dell’Oscar per questa interpretazione)..poi il film non entrerà nella storia della settima arte ma è una bela storia ben scritta e ben diretta. Questo conta.

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