PENTIMENTO: RIVEDENDO GIULIA, RIPENSANDO A GRAZIELLA

Pochi giorni fa, il 17 giugno, Graziella De Palo avrebbe compiuto 64 anni. Se fosse ancora viva, e se fossimo ancora amiche, ci avremmo scherzato su cantandoci la canzone dei Beatles che all’epoca ci sembrava descrivere un futuro inimmaginabile (Will you still need me, will you still feed me When I’m sixty-four?). Chi legge questo blog sa che di Graziella non si hanno più notizie da quasi quarant’anni, e a nulla servono le cicliche indignazioni o congetture giornalistiche. Neanche L’arrivo di Saturno è servito, ma era nel conto: un romanzo non risolve, non scopre la verità. Semmai, prova a ricordare una parte di quella verità o a raccontarla a chi non conosceva la storia.
Ma i romanzi hanno vita breve, come tutto di questi tempi: non sopravvive la memoria di una pandemia, a soli  quattro mesi dal suo arrivo, come si può pensare che sopravviva una storia, o un “caso” ancora più vecchio?
Però, nel giro di un week end, ho ritrovato Graziella, in un certo senso: ho finalmente riavuto Pentimento di Lilian Hellman, esauritissimo e quasi introvabile, e ho scoperto che per un paio di euro potevo noleggiare un film che avevo molto amato, Giulia di Fred Zinnemann, che è tratto proprio da uno dei racconti di Pentimento, Julia, appunto. La storia è semplice e bellissima, e il film la segue fedelmente, e continua a stringermi il cuore quando, all’inizio, si vede Hellman invecchiata, di spalle sulla sua barchetta mentre pesca, e la voce fuori campo ripete l’incipit del libro:
“Alle volte l’antica pittura su tela, invecchiando, si fa trasparente. Quando questo accade è possibile vedere le linee originali di certi quadri: sotto un vestito di donna trapelerà un albero, un bambino cede il proprio posto a un cane, una grossa barca non naviga più sul mare aperto. Questo si chiama pentimento perché il pittore si è pentito, ha cambiato idea. Forse si potrebbe anche dire che la concezione originaria, sostituita da una scelta successiva, è un modo di vedere e poi di vedere di nuovo. Ecco quel che intendo a proposito delle persone di questo libro. Ora la pittura è invecchiata, e io volevo vedere cosa c’era per me una volta, cosa c’è per me adesso”.
Quando ho visto Giulia per la prima volta, nel 1977 o 1978, Graziella era ancora viva, non era partita per Beirut, non era uscita dall’hotel Triumph e non era salita sull’automobile che la portava verso la sua morte. Però c’era già  qualcosa, una luccicanza direbbe King, che mi ha fatto pensare a lei. Ed è fin troppo facile: due amiche, una colta, studiosa, in lotta già da bambina contro l’ingiustizia, e una più goffa e leggera, incuriosita dalle futili cose dell’arte più che dai dolori del mondo. Quando Giulia dice a Lillian che viaggiando al Cairo con i nonni ha visto la miseria e la malattia, Lilly la incalza chiedendole come fossero Roma e Parigi. Non mi stai ascoltando, dice Giulia. E andava così, proprio così, anche fra noi. Quando le strade si dividono, Giulia diventa un’attivista contro nazismo e fascismo, e Lillian fuma come una ciminiera e prova a scrivere commedie che “si sbriciolano”, e nei suoi sbuffi di rabbia strappa tutto e accende un’altra sigaretta. Andava, va, proprio così. E infine Lillian, che va a Parigi e poi a un festival teatrale a Mosca, viene raggiunta da un amico di Giulia che le chiede di portare fino a Berlino il denaro che servirà per liberare cinquecento ebrei e perseguitati politici, nascosto in un cappello di pelliccia, e le manda un messaggio di Giulia (dice di dirle che lei ha paura di avere paura, e quindi probabilmente deciderà d’istinto). Andava, va, proprio così anche in questo caso. E nei due casi c’è l’amica coraggiosa che muore ammazzata, e quella che resta che continua ad avere sbuffi di rabbia, a fumare come una ciminiera e, adesso, a ricordare sulla sua barchetta, o davanti alla bouganvillea.
Uno dei miei sbuffi di rabbia andò a Edmund White, quando in Ragazzo di città precisò che Hellman si era appropriata dell’episodio del denaro portato nel cappello, che in realtà vide protagonista una psichiatra di Princeton. Una storia mente per definizione, e non è importante chi fosse su quel treno: contava quell’amicizia, quella lontananza, quel misto di amore, devozione, competizione e rimpianto di cui sono fatte le amicizie.
Così, dopo aver riletto il racconto e rivisto il film, e mentre mi accingo (io che, meglio precisare subito prima che qualche commentatore alzi il ditino, non oso paragonarmi a Hellman, di cui non son degna di baciare la pantofola) ad accendere una sigaretta e a litigare con un testo che si sbriciola e sfarina, penso alla mia Giulia, a Graziella, e un altro sbuffo di rabbia si solleva contro l’ingiustizia inenarrabile della sua scomparsa, e del silenzio su quella scomparsa.

3 pensieri su “PENTIMENTO: RIVEDENDO GIULIA, RIPENSANDO A GRAZIELLA

  1. Una volta fuori nel mondo le storie possono però servire a tante cose, anche se spesso non sono quelle sperate da chi scrive. E non tutte hanno vita breve.
    Non dico nulla di nuovo, lo so. Ma L’arrivo di Saturno è uno dei libri più belli e commoventi che abbia letto negli ultimi anni, e tocca corde profonde che vanno oltre la tristezza per la vicenda in sé. Non fa parte delle storie che si possono dimenticare, ne sono sicuro.

  2. Dopo tanti anni di attesa e sterile ricerca per ogni dove, sono riuscito finalmente a comprare il libro-inchiesta “Omicidio di Stato. Storia dei giornalisti Graziella De Palo e Italo Toni” scritto da Nicola De Palo. Testo prezioso; amaramente prezioso. Avevo allora appena 13 anni e mi ricordavo bene le Stragi di Ustica e della Stazione di Bologna (il maiuscolo è d’obbligo), ma ignoravo completamente ciò che accadde poi il 2 settembre del 1980 a Beirut. Altri libri me ne hanno suggerita l’esistenza.
    Ecco perchè la lettura attenta favorisce questo “effetto dòmino” culturale.
    Alfredo

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