Ci si continua a muovere per contrapposizioni, in questi giorni, anche se, voglio credere, ognuno di noi ne conosce l’insensatezza. Eppure, così come nei mesi scorsi i balconisti si scagliavano contro i runner, oggi i vitalisti si scagliano contro i capannisti, anche se ognuno di noi, di nuovo, sa bene che le due anime convivono al nostro interno, come due lingue di una stessa fiamma (O voi che siete due dentro ad un foco, s’io meritai di voi mentre ch’io vissi, s’io meritai di voi assai o poco: quello, esattamente). Ognuno di noi, intendo, desidera passeggiare per la città, bere un bicchiere con un amico, andare al cinema, andare a teatro, o partire per luoghi dolci, o semplicemente partire: per me, maggio e giugno sono sempre stati due mesi di viaggi, tra il Salone del Libro, la Festa di Radio3, Macerata Racconta, A tutto volume a Ragusa, Gita al Faro a Ventotene. Solo ad agosto mi sono permessa, da anni, la pausa e i giorni lenti di Serravalle.
Ora continuo a lavorare, certo, ma non prendo un treno da fine febbraio, un aereo da gennaio, una metropolitana da marzo (solo qualche taxi, e qualche autobus).
Sono altrettanto certa che anche in chi è uscito per dovere o desiderio, e in chi deve o vuole viaggiare, esista un’anima capannista che sussurra domande, e non è tanto paura ma incertezza di quel che abbiamo attorno. Questo, certo, a meno di non avere una fede incrollabile, o di praticare alta meditazione buddista, o quel che volete. Ma neanche con la capacità di astrazione e preghiera di Nobusuke Tagomi, il ministro del commercio dell‘Uomo nell’alto castello, si può fingere che non sia successo niente.
Di più: come dice assai giustamente Donatella Di Cesare in Virus sovrano?, noi non riusciamo più a vedere “il dolore degli altri”, bensì di “alcuni altri”. I poveri tra i poveri, i diseguali fra i diseguali, noi non li vediamo. Vediamo soltanto i nostri pari e i nostri affini, coloro che appartengono allo stesso ceto, alla stessa cerchia, oggi più che mai alla stessa fascia di età (e io che non ci credevo, in fondo, al risentimento profondissimo verso i vecchi, e invece mi tocca leggere, anche da parte di persone che dovrebbero aver cura delle parole, sbuffi di insofferenza per dover subire tutto questo per colpa dei VECCHI). Non siamo capaci, o lo siamo meno di prima, di vedere i dissimili, specie i più sventurati fra loro.
Di più, ancora. Ci si accusa, a noi dubitanti, di non vedere che le quattro pareti in cui ambiremmo chiuderci a vita, felici di anticipare la nostra sepoltura e di non voler scendere nelle strade per le lotte (e questo sarebbe un altro bel punto da prendere in esame. Chi e come sta partecipando a quelle lotte?). Diciamo che ci si accusa a vicenda, e ancora una volta ci si separa, laddove, come insegna o dovrebbe insegnare la storia, le epidemie si battono unendosi.
In questo clima, continuo a esercitare il mio diritto al dubbio, che non significa essere triste o non aver voglia di “divertirmi”. Ho voglia di ridere, certo, ma non ci riesco molto di questi tempi, verrà, tornerà. Ma sarei anche un po’ stufa, come lo ero negli anni precedenti, del “fattela una risata”. La risata degli Hobbit fa fremere di stupore persino l’orrore pietroso di Mordor. Ma poi ricominciano ad andare, Frodo e Sam, perché c’è un viaggio da compiere, e siamo in viaggio anche noi, come tutti.