Questo è il momento in cui tutti parlano, e questo è il momento, credo, in cui bisognerebbe riflettere cosa sia vita, cosa fine vita, cosa il suicidio assistito. Per chi vuole, Radio Radicale aveva una rubrica, Vivere&Morire: qui trovate i risultati di ricerca. Per chi vuole, inoltre, qui sotto c’è un famoso intervento di Alex Langer, tre anni prima del suo addio alla vita. Il resto, appunto, dovrebbe essere, se non silenzio, pausa.
21.10.1992, Da “il manifesto” – Il viaggiatore leggero, di Alex Langer
Petra Kelly, il volto più conosciuto dei “Grünen” sin dalla loro prima apparizione politica, e morta con Gert Bastian, con cui ormai da quasi dieci anni aveva diviso la sua vita.
La pacifista visionaria ed il generale diventato disarmista e verde hanno perso la vita in circostanze drammatiche e tragiche probabilmente in un doppio suicidio, se non peggio. La loro fine segna una grave sconfitta e disperazione, nelle loro vite senz’altro, e per molti di coloro che si sentono vicini agli ideali verdi ed alla storia impersonata soprattutto da Petra. A Petra Kelly più che a chiunque altro spettava anche individualmente l’appellativo col quale i “Grünen” nel loro insieme spesso erano stati caratterizzati: “Hoffnungsträger”, portatori di speranze collettive. La giovane e minuta ex-funzionaria socialdemocratica della Comunità europea e di altri organismi internazionali di fronte alla malattia di sua sorella aveva scavato più a fondo nella politica e nella società: aveva cercato una politica per la salute, per la vita, per la convivialità interpersonale e comunitaria, senza violenza e sopraffazione, senza la routine delle burocrazie, senza l’alienazione dei consumi, dei partiti e dei poteri costituiti. La sua biografia intrecciata fortemente con la cultura anglosassone ed irlandese, e quindi anche molto pragmatica, dalla fine degli anni ’70 e per quasi un decennio si e identificata con la storia dei Verdi in Germania ed in Europa. Ed era stata, anche recentemente, l’esponente verde più conosciuta negli Usa, in Giappone, in tutto il mondo industrializzato extra-europeo. Con foga quasi religiosa e con enfasi profetica aveva proclamato alcune verità semplici, ma difficili da tradursi in politica: che la pace si fa togliendo di mezzo le armi e gli apparati militari, che i diritti umani e di tutti gli esseri viventi non possono sottostare ad alcuna ragione di stato ed hanno carattere assoluto, che l’umanità deve optare se accelerare la corsa al suicidio (ed ecocidio) o se preferisce un profondo cambiamento di rotta, magari doloroso per qualche rinuncia nel breve periodo, ma anticipatore di una nuova e più ricca qualità della vita. Sceglieva i suoi terreni d’impegno con grande attenzione alla valenza anche simbolica: le vittime delle radiazioni atomiche di guerra e di “pace” erano i suoi testimoni anti-nucleari, la vicenda del popolo tibetano per i cui diritti si batteva negli ultimi anni con particolare impegno era il suo avamposto di lotta contro ogni genere di statalismo e totalitarismo omologatore, l’entusiasmo per i diritti delle donne, dei bambini, dei malati e degli animali erano la sua trincea a fianco dei più deboli. Per i “Grünen” era stata porta-bandiera nella loro prima grande prova elettorale (elezioni europee del 1979: senza il quorum, ma con una visibilità sorprendente e preziosa per tutta l’Europa) ed al Bundestag, nei primi tempi dopo il loro ingresso nel 1983. Poi si era via via scoraggiata per un certo abbandono dello spirito pionieristico degli albori, per la difficoltà di organizzare in corpo politico strutturato le originali intuizioni verdi, per i troppi conflitti interni al partito verde. Il partito, d’altronde, ricorreva a lei quando bisognava far sentire una voce candida ed unitaria, sopra le parti, ma ripeteva spesso che non amava il suo stile individualista, il suo protagonismo, le sue iniziative poco ortodosse. Cosi i “Grünen” non l’hanno più ricandidata al Parlamento europeo (dove nel 1984 e nel 1989 sarebbe stata senz’altro eletta) e le hanno varie volte ricordato il suo “dovere di rotazione”, considerandola una specie di libera battitrice, buona per messaggi ispirati e conferenze internazionali (possibilmente d’oltremare), ma poco spendibile nella politica del giorno per giorno. Dopo due legislature al Bundestag si e tirata da parte ed e rimasta largamente silenziosa di fronte alle ultime vicende tedesche, dall’unificazione in poi, pur continuando a girare (un po’ nervosamente) il mondo col suo messaggio di vita e di politica ecologista e pacifista. Nel partito si erano quasi dimenticati di lei, la stampa tedesca ormai la notava solo se e quando parlava male dei “Grünen” o si poteva scivolare nel pettegolezzo. La fine tragica di Petra, in una Germania che cominciava a farle venir voglia di riscoprire la sua meta anglosassone, è un brutto segnale e ricorda un’altra donna che nel recente passato aveva tentato con una analoga porzione di “idealismo tedesco” di invertire la ruota della storia del suo paese: Ulrike Meinhof, che partita da ideali non dissimili aveva invece finito per dare vita alla “Rote Armee Fraktion”.
Forse è troppo arduo essere individualmente degli “Hoff- nungsträger”, dei portatori di speranza: troppe le attese che ci si sente addosso, troppe le inadempienze e le delusioni che inevitabilmente si accumulano, troppe le invidie e le gelosie di cui si diventa oggetto, troppo grande il carico di amore per l’umanità e di amori umani che si intrecciano e non si risolvono, troppa la distanza tra ciò che si proclama e ciò che si riesce a compiere. Addio, Petra Kelly.