PICCOLO PAESE DEGLI ORRORI

A proposito di fatti.  Posto qui l’articolo di Simonetta Fiori uscito questa mattina, sul libro di Chiara Valentini.
E’ tutta colpa delle donne? Lo sentiamo ripetere sempre più spesso. Sono le donne ad aver smesso di fare figli una quarantina di anni fa. Se oggi siamo un paese di vecchi, condannato al declino e demograficamente dipendente da “mamma Africa”, è perché nella stagione aurea delle “leggi delle donne” – dal divorzio al nuovo diritto di famiglia – le italiane al biberon preferirono il lavoro. Questa delle culle vuote è un´analisi ricorrente. Non sono pochi gli studiosi che al calo della natalità cominciata negli anni Settanta fanno risalire moltissimi dei mali presenti. Magari senza intento colpevolizzante verso il femminile, ma il risultato cambia poco. Da allora è cominciata la nostra crisi, fino agli effetti nefasti di oggi. Ma la responsabilità è delle donne?
Ci aiuta a far chiarezza un documentato saggio di Chiara Valentini, O i figli o il lavoro, che ci mostra come in Italia – da noi e in nessun altro paese europeo – lavoro e maternità siano (e siano state) realtà inconciliabili, scelte esistenziali difficilmente compatibili, mondi che si escludono vicendevolmente (Feltrinelli, pagg. 220, euro 16, prefazione di Susanna Camusso). Oggi come quarant´anni fa, seppure con un rapporto tra le due entità molto diverso. Negli anni Ottanta c´era il lavoro, ma non le condizioni per coniugarlo con i figli. Oggi il lavoro manca del tutto – o meglio c´è quello precario, a scadenza, la peggiore soluzione per chi voglia programmare una nuova vita – e, quanto alle condizioni, tra “dimissioni in bianco” e “mobbing strategico”, l´Italia del XXI secolo appare una galleria degli orrori. Grazie alla sua lunga esperienza giornalistica – prima a Panorama poi all´Espresso – e grazie ai suoi tanti libri sulla condizione femminile, l´autrice è molto abile nel comporre un diario di viaggio attraverso un paese dichiaratamente ostile alle mamme che lavorano.
Una “guerra silenziosa” che contagia aziende insospettabili (il caso più recente è quello della Rai) e personalità di diverso rango, mietendo un numero di vittime inaspettato. È stato l´Istat a calcolare che più di ottocentomila donne sono state licenziate o costrette alle dimissioni dopo una gravidanza. E per chi impavidamente resiste, uffici e fabbriche possono anche trasformarsi in luoghi di tortura. Contro i quali lottano solo poche sentinelle disarmate, le cosiddette “consigliere di Parità”, figure generalmente sconosciute su cui il saggio ha il merito di far luce, mostrando anche le pressioni ostili del precedente governo.
Oggi le donne non fanno figli perché non hanno lavoro stabile (e, quando lo trovano, spesso sono messe nelle condizioni di doverlo lasciare). Trent´anni fa non li facevano perché entrare nel recinto maschile del lavoro era una sfida importante, che non si poteva perdere. Il journal di Valentini non è meno interessante quando l´autrice diventa testimone del suo tempo. In quegli anni «non si usava lamentarsi né tantomeno protestare», perché lavorare era «l´assicurazione che non avremmo ripetuto la vita delle nostre madri, troppo spesso vissute all´ombra di un marito». Conquistare un ruolo impegnativo significava accettare una vita a dir poco stressante. E anche in quella stagione piena di speranze, non esistevano certo le discriminazioni di oggi ma certo ci si imbatteva in resistenze tenaci. Un´indagine dei primi anni Ottanta sugli imprenditori lombardi sottolinea che solo il 9 per cento era indifferente al sesso del lavoratore, mentre il 73 per cento ammetteva tranquillamente di preferire i maschi. La ragione? Le lavoratrici costavano troppo perché andavano in maternità o si assentavano per curare i figli piccoli. «L´arrivo di tante donne al lavoro avrebbe richiesto politiche sociali attente». Qualche tentativo fu fatto, ma sappiamo come è finita.
E allora non è vero che le donne non vollero più fare figli, più semplicemente non erano sostenute nel doppio lavoro. Per demolire un luogo comune radicato, basta scorrere le ricerche degli anni Ottanta sui desideri delle italiane. L´autrice cita l´Indagine nazionale sulla fecondità, dalla quale risulta che le donne nella grande maggioranza erano propense a fare due figli, ma poi dovettero rinunciarvi. Si trattava dunque di una “rinuncia”, non di una “conquista”. Una privazione rimasta per decenni nell´ombra – come tante altre rinunce delle donne – fino a quando ci si è accorti che aveva segnato il destino del paese. Ma era troppo tardi. E successivamente le cose sono andate anche peggio.

30 pensieri su “PICCOLO PAESE DEGLI ORRORI

  1. Giusto, e non solo.
    Anche quando, come nel mio caso, il lavoro c’è ed è “sicuro” (per quanto possa essere sicuro un lavoro di questi tempi…e di questi governi) si pone il problema degli asili e dei costi.
    Io sono fortunatissima: tornerò al lavoro quando mio figlio avrà circa 4 mesi (dando per scontato che vada tutto bene), e dal lunedì al venerdì me lo terranno i nonni tutte le mattine, ma prima di chiedere a loro ho fatto il giro degi asili nido. Era preoccupante: per bimbi così piccoli le cifre sono alte e spesso li prendono solo da settembre…io che partorisco in agosto dove avrei messo il bimbo per il primo anno di vita? E i posti…beh i posti sono pochi…pochissimi. Insufficienti. E se prima ero certa che nel giro di qualche anno avrei cercato il secondo bebè…beh ora mi chiedo se ce la faremo (per i nonni gli anni passano).

  2. Il Paese in europa con la piu bassa natalita’ e’ la Germania (si i tedeschi ci hanno superato anche in questo!) e ha un stato sociale indubbiamente piu efficiente del nostro per non dire della forse sarebbe il caso di rendersi conto che veramente le donne e gli uomini (da quando i figli si fanno da soi??) vogliono fare meno figli e visto che siamo 7 miliardi questo e´un gran bene!

  3. In Europa, tutta non solo in italia e pochi altri paesi, sta arrivando l’ “inverno demografico”. Questo significa che i lavoratori attualmente occupati potranno essere sostituiti solo parzialmente da chi oggi frequenta le scuole. Ancora una volta il capitalismo ha bisogno dei proletari.
    Occorre dunque stare molto attenti a come saranno “trattate” le donne. Da una parte il rischio che vengano considerate come “fattrici”, dall’ altra che si cerchi di colmare il vuoto generazionale sfruttandole. Ovviamente in questo c’ è una contraddizione, come sempre nel capitalismo. Voglio dei figli e non metto le donne nella condizione di farli, una contraddizione davvero orribile e che nasce dal considerare le donne come un mera variabile che genera profitto.Poi c’è anche la possibilità che il cosiddetto terzo mondo sia considerato come una fabbrica di bimbi.
    Come reagire? Io credo che oggi lo si possa fare con una forte lotta di difesa dei diritti delle lavoratrici. Non possiamo illuderci che ci siano oggi le condizioni per un rovesciamento del sistema capitalistico, ma sono convinto che in futuro ci sarannno, a patto che le donne siano messe in condizione di lottare. Io credo che la “questione femminile” sia cruciale, credo che tutti dobbiamo mpegnarci a fondo a riguardo. E, permettetemi un piccolo ammonimento, un mi piace sui social va sicuramente bene, ma meglio sarebbe un piccolo atto nella quotidianità di tutti i giorni.
    E non voglio dire che si debba fare qualche atto coraggioso o rivoluzionario, basta davvero poco.
    Per fare un modestissimo esempio: io non tollero più alcuna espressione ironica o sessista durante riunioni sindacali, e poco mi importa se poi l’operaio con quasi quarant’anni di lavoro ci rimane male. Lo so che non voleva offendere le donne…ma si inizia anche dal linguaggio e da certe abitudini.

  4. C’è una cosa che non capisco: mi pare che i figli, fino a prova contraria, si facciano in due. Qui sembra che ci sia una schiera di uomini che non aspettano altro che avere figli, ma le donne glielo impediscono. Mah. Io tutti questi uomini non li vedo.
    Piuttosto, vedo che molti di quelli che vogliono i figli vorrebbero che il loro ruolo di paternità non interferisse né coin la loro carriera né con i loro interessi: in altre parole, non vorrebbero sottrarre tempo prezioso a queste attività. Con queste premesse (cioè se faccio un figlio comunque il tempo da dedicargli verrà sottratto al mio lavoro e al mio tempo libero), ci credo che le donne facciano meno figli.
    Sempre, ammesso e non concesso, che appunto esista questa schiera di aspiranti padri desiderosi solo di impegnarsi in un progetto famigliare. Ripeto: mah.

  5. @Valberici, perfetto il tuo piccolo ammonimento, o suggerimento. Eppure c’è grande diffidenza verso i piccoli gesti concreti. Sai qual’è la risposta più frequente al suggerimento di piccoli atti quotidiani e pratiche, sia nel pubblico che nel privato? ‘E’ ridicolo’.
    Per me la questione, enorme, è una sola: «L´arrivo di tante donne al lavoro avrebbe richiesto politiche sociali attente».

  6. Magari mi sbaglio, o mi riferisco troppo al mio contesto sociale, ma io credo che siano tendenzialmente i maschi a volere meno figli. Consapevoli di non volere o potere replicare le modalità maschiliste della paternità esercitata dai nostri padri, siamo spaventati dai nuovi compiti di genitore responsabile, presente e attento che si sommano a quelli del ruolo lavorativo. E allora, semplicemente, si scegli di no. Molte compagne si incazzano, ma se un uomo afferma di non essere sicuro di diventare un buon padre, l’argomento è quasi definitivo.

  7. @ Simone: leggi bene, risulta da indagine citata (e si sentono continuamente storie e testimonianze in tal senso) che spesso i figli si vorrebbero fare ma non si può! Molte coppie (in questo hai ragione, i figli perlopiù si fanno in due) semplicemente non possono permetterselo, per i motivi detti sopra. Non possono rinunciare a una parte del già scarso e incerto reddito per accudire un altro (o nemmeno il primo) figlio.
    E come dice Giulia, anche chi ha la fortuna di avere un lavoro a tempo sicuro non è senza problemi: faccio l’esempio di due aziende che conosco di prima mano, una a conduzione familiare e una multinazionale, e parliamo di lavoro a tempo indeterminato con tutte le tutele ecc.
    Nella piccola azienda, la titolare (che per inciso è mia madre), come quelli citati nell’indagine degli anni ’80 dice che man mano che le dipendenti donne (ora sono la maggioranza) se ne andranno, al loro posto assumerà degli uomini, perchè le donne hanno troppe esigenze legate ai figli: orari non flessibili, devono assentarsi in caso di malattie dei bambini, scioperi, imprevisti vari, organizzarsi per le vacanze scolastiche lunghissime…
    Nella multinazionale ci sono diverse donne che lavorano part time. Quanti uomini con figli che hanno chiesto il part time? Zero (anzi io non ne ho mai conosciuti in vita mia, in Italia, voi?) . Queste part time fanno praticamente tutte le segretarie, e certo non avanzeranno in carriera, mentre presumibilmente i padri dei loro figli possono dedicarsi con maggiore disponibilità ai loro obiettivi professionali.
    Per le donne c’è spesso pochissimo spazio di manovra e di vera scelta, tra necessità economiche e pressioni e aspettative in famiglia, in azienda, nella società in genere.

  8. Francesca, già, tutte le cose che elenchi come problemi di una azienda, attività, ecc. sono il frutto, il risultato di una situazione (politiche sociali assenti, cultura sbagliata, ecc) in cui, tra l’altro, mai nessuno ha pensato concretamente a come i mariti, i compagni, i padri potessero farsi carico equamente delle varie esigenze. Ora, se la scuola non ne parla, ma anche se le amministrazioni non approntano iniziative in questa direzione, se i dirigenti non favoriscono l’assunzione di responsabilità, se non si prende mai una iniziativa qualunque, banale, pratica, se non si fa formazione e informazione, non se ne esce, perchè il singolo non ce la farà mai.

  9. @ Francesca:
    Legga lei bene quello che ho scritto. Io non ho smentito quello che sta scritto nell´indagine o riportato un altro dato. Se e´falso mi dimostri che sia falso, altrimenti commenti quello che ho scritto e non ti arrivi a conclusioni che io non ho fatto!

  10. @simone, mi riferivo a questa frase: “forse sarebbe il caso di rendersi conto che veramente le donne e gli uomini (da quando i figli si fanno da soi??) vogliono fare meno figli” , che mi sembra contraddire l’assunto dell’articolo (anche oggi il basso tasso di fecondità delle italiane non rispecchia una libera volontà, ma, per una parte sostanziale di loro, una scelta obbligata o comunque pesantemente condizionata).
    (Completamente d’accordo, Paola.)

  11. Forse mi sono sono persa qualcosa, e il mio intervento è senz’altro OT, ma una festa della donna così moscia non s’era visto da tempo. C’è spazio ormai solo per il “se non ora quando” che evidentemente ha depennato da suo calendario l’8 marzo? Così a scorrere qualche discussione su internet accade di leggere che basta con queste feste borghesi: e l’equiparazione a San Valentino e alla festa della mamma con tanto di richiamo ai ferrero rocher e ai baci perugina è bello che fatta.

  12. @ francesca: Cerchiamo di capirci! Oggi nessuna coppia (sana di mente) anche se ricca e benestante e residente in uno stato con uno stato sociale super efficiente metterebbe al mondo tanto figli quanti quelli della generazione di mia nonna! E ripeto: per fortuna!! Siamo 7 miliardi e cresciamo a un ritmo per cui il piu’ grosso problema del mondo e´la sovrapopolazione!

  13. @simone: sono d accordissimo con te…purtroppo a causa delle condizioni economiche e della precarietà del lavoro nessuna famiglia in condizioni mentali stabili farebbe 6 o 7 figli!

  14. chi di voi ha potuto ascoltare, ieri mattina, i discorsi pronunciati durante la cerimonia ottomarzo al Quirinale? Chi ha ascoltato il discorso di Fornero non si sarà fatta sfuggire un’impostazione inedita, eccola riassunta non per parole testuali ma per contenuti: le donne che lavorano in Italia sono troppo poche, gli ostacoli al lavoro femminile sono l’assenza o l’insufficienza dei servizi alla famiglia e l’inadeguatezza dei tempi di lavoro; questi tempi infatti sono ancora pensati, in Italia, per uomini liberi da attività di cura domestica e genitoriale, diversamente, in altri paesi europei, l’esistenza di servizi adeguati e di tempi di lavoro pensati in funzione della vita personale e privata, gli stessi per entrambi i generi, permette non solo una maggiore occupazione femminile ma anche un maggiore incremento delle nascite. Dunque, un discorso in cui si fa piazza pulita della vituperata (perché a senso unico femminile) “conciliazione” in colpo solo!!!! Stampiamo le parole testuali della ministra e facciamone manifesti per obbligarla a dare attuazione alle sue enunciazioni!!!!

  15. Aspettiamo fiduciose. In Francia, per esempio, la natalità è aumentata in stretta connessione con gli sgravi fiscali, la miglioria delle strutture e qualche incentivo. Da noi una lavoratrice può far figli solo se è fornita di nonne.
    Le quali sono a loro volta diventate una categoria con problemi specifici.
    Ne parlo nel mio blog: http://www.virginialess.worpress.com

  16. Chiara Valentini nel suo quasi introvabile saggio le donne fanno paura stampato alla fine degli anni 90 già annunciava quella che era un anomalia italiana
    ovvero la silenziosa e inconsapevoile rivolta delle italiane che decidono di non metter più la mondo figli per non essere sopraffatte e per non dover scegliere tra lavoro e figli visto che in Italia lo Stato è assente e non esistono strutture pubbliche in grado di dare una mano alla mamma lavoratrice..
    In Francia lo Stato esiste e quando si è sentito minacciato nella sua identità ha deciso di promuovere politiche a sostegno delle famiglie
    e qui vien fuori il babyboom del 2000, ovviamente nessuno ha ancora analizzato l’influenza crescente delle religioni in questo baby boom ma passiamo oltre
    Quello che non si dice de lla Francia è che anche qui le donne hanno vita difficile certo rispetto alle italiane sembrano facilitate
    ma non è vero
    la differenza tra mamma lavoratrice che non ha tempo e mamma a casa che riesce a trovare il tempo per uscite recite organizzazioni di feste alias kermesse di fine anno esiste eccome e non parliamo dell’isolamento di cui soffre una donna separata
    solo che la società francese a differenza i quella italiana che mette tutto in piazza occulta come i cassonetti
    il disagio di essere donna e madre esiste ovunque nella società occidentale
    battiamoci affinchè le nostre conquiste non siano effimere
    e diventino un balaurdo e un esempio per le donne che vivono insituazioni meno “agiate” delle nostre
    e continuiamo a parlare e discutere riappropriandoci di quello ” spazio” di cui si parla in Libere di Cristibna Comencini
    e questo blog può esserlo e in parte lo è

  17. Abbiamo visto che ne è stato del ‘lasciare la parola al sesso forte’: esporlo alla propria, ridicola natura del bla-ba-bla inconcludente.
    in quanto al post attuale invece mi premere spendere due parole previo una piccola sintesi dei commenti precedenti:
    il problema dei costi – @giulia
    bassa natalità in germania – @simone
    i maschi vogliono figli se non intralciano la carriera –@cinas
    il part time maschile: l’onta indelebile – @miriam
    la donna come variabile (potenziale) di profitto – @valberici
    in francia la natalità è aumentata in conness. con gli sgravi fisc. – @virginia
    siamo 7 miliardi – @simone
    nessuna fam. in condizioni economiche precarie mette su famiglia –@daniela
    scelta obbligata o pesantemente condizionata – @francesca
    il disagio di essere donna esiste ovunque in occidente – @tiziana
    Se nel vincolo dell’unione fra due esseri vi fosse il rispetto assoluto l’uomo di sicuro ne uscirebbe ‘svantaggiato’ in termini di affermazione sociale. Il problema sta dunque nelle gravi mancanze commesse dall’ uomo nei confronti della donna con la motivazione del condizionamento ambientale (capitalistico), della necessità di affermazione sociale e di tutto il resto. In altri termini, supponiamo che la condizione di rispetto dell’altro sesso ponesse il ‘maschio in carriera’ in grave svantaggio (i dictat del profitto non consentirebbero infatti la piena affermazione sociale di individuo a ‘mezzo servizio’ nei confronti del capitale ), a questo punto sarebbe lecito , per lui, sposarsi ? sottoscrivere cioè una serie di impegni morali nei confronti della moglie, prima ancora che della prole? Ovvero: “Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, conviene sposarsi?” (nel senso più largo del termine, cioè unirsi in un solido vincolo a beneficio della eventuale prole). Ad una domanda del genere rispondo con parole antiche: No! Non conviene , ma “non tutti possono capirlo”. Invito ora i commentatori a indovinare la fonte di questa affermazione.

  18. “Se nel vincolo dell’unione fra due esseri vi fosse il rispetto assoluto l’uomo di sicuro ne uscirebbe ‘svantaggiato’ in termini di affermazione sociale”
    puoi spiegarti meglio?
    “In altri termini, supponiamo che la condizione di rispetto dell’altro sesso ponesse il ‘maschio in carriera’ in grave svantaggio”
    insomma, la condizione di rispetto pone l’uomo in svantaggio o è una condizione ipotetica?

  19. Sul governo non c’è nulla da dire, e siamo generalmente “tutti d’accordo”. Ma non mi pare che l’Africa sia presa ad esempio come modello di sviluppo delle pari opportunità e che la Svezia sia un paese retrogrado e maschilista.
    Inoltre, quando si parla di quella dottrina economica di stampo malthusiano che ha molto influenzato le teorie femministe, per motivi strumentali, cosa che non hanno fatto tesi meno intellettualmente “affini” o dottrinalmente “prestanti”, come quella non del tutto antitetica, ma senz’altro più intelligente e “scientifica”, di Boserup, non si cerca di “colpevolizzare il femminile” (semmai la stoltaggine comune a tutte le ideologie, e il femminismo non ne è esente, nel pescare qua e là, senza altro criterio che il sostegno alla propria idea), ma di ricercare quella consapevolezza che può aiutarci a capire il presente e ad agire per il futuro. Se questo non avviene è tanto colpa dei governi, quanto di chi continua a usare l’ideologia come criterio per sostenere alcune teorie scientifiche rispetto ad altre. Per spiegare cosa questo può significare, ovviamente sulla pelle di altri, si può fare l’esempio dell’ “ideologia del condom” su cui il sudafrica e altri paesi continuano a basare la propria politica anti-aids tragicamente fallimentare e paragonare i risultati a quelli ottenuti dal metodo ABC in uganda. Ma quanti italiani conoscono il metodo ABC e quanti plaudono quando un coglione dice “vi mando un cargo di preservativi”?

  20. @ # la condizione ipotetica è la prima (‘Se…’ etc.etc.), poichè l’uomo generalmente non si pone nelle condizioni di rispetto del ruolo femminile. Tuttavia, riprendendo l’ipotesi eccezionale (quella dell’uomo che si ritrovi nella condizione di ‘svantaggio sociale’ per adempiere ad un obbligo etico), verrebbe spontaneo indicare nel contesto ambientale l’origine reale dei suoi impedimenti . Ciò vale a sollevarlo delle sue responsabilità? Temo di no. Ma quelle della donna, proprio in funzione del medesimo contesto non sarebbero da meno. Le donne dunque hanno responsabilità. Ad esempio quella di aver accettato e condiviso una precisa impostazione culturale dettata dal sistema ‘meccanizzato’ espressamente conflittuale con la natura di entrambi i sessi, volta a privilegiare l’affermazione sociale dell’ individuo a discapito delle prerogative etiche. Ma il frutto del meccanicismo di cui parlo deriva proprio dalla mistificazione ideologica del contributo scientifico (maschilista, se vogliamo) che anche le donne, credendola super partes, hanno tutt’ora la responsabilità di aver sottoscritto . Le donne devono uscire insomma dal falso convincimento di un’inferiorità sessuale predeterminata biologicamente o dall’accettazione di una legge naturale che promuova simili abberrazioni. La scienza di cui si abbeverano per bocca dei maschi (ignoranti è il caso di dire) è dunque frutto di una contraffazione ideologica che non inganna solo loro ma l’intera società civile. La supremazia (e promiscuità) sessuale del maschio adulto – ad esempio – è una leggenda senza fondamento perfino nelle comunità dei grandi felini di stampo patriarcale. Eppure questo fatto, pur essendo perfettamente osservabile in natura, è stato storicamente manipolato dalla cultura dominante così da adattarlo alla falsa rappresentazione dell’ideologia impartita alle masse ( possiamo discuterne eventualmente, ma gli studi effettivi parlano di una promiscuità sessuale femminile molto più accentuata di quanto si pensi abitualmente*). L’ideologia del ‘condom’ di cui parla @Gino, penso sia ugualmente radicata su un criterio mistificante e paradossale (la salvezza sta nell’evitare la procreazione- sigh! scientificamente e geneticamente parlando possiamo considerarla un’imbecillagine assoluta), ma qui la contraddizione è talmente evidente che si regge tranquillamente da sè. Forse adesso la mia precedente citazione risulterà più chiara.
    * Il periodo in cui il maschio adulto impone il suo
    diritto di accoppiamento (per dominanza), è assai
    più ridotto di quello della fertilità femminile .

  21. @ painnet blade
    guarda, dal punto di vista quotidiano quello che osservo è che la maggior parte delle considerazioni si fanno senza metterle mai in discussione. Ci sono persone che pensano in termini di superiorità, basta ascoltare una qualsiasi discussione di musica. L’inferiorità sessuale predeterminata biologicamente è un non-sense, ma solo per la pretesa di stabilire chi sta sotto e chi sopra. Che anche gli scienziati siano influenzabili non vedo perché dovrebbe sorprendere. Oltre al fatto che non ha mai avuto senso giustificare i nostri comportamenti dicendo “è la nostra natura”. Ma non perché non sia la nostra natura ( in continua evoluzione, influenzata in maniera fondamentale dalla cultura ), qualsiasi essa sia, ma perché non vuol dire niente.
    “Abbiamo il potere di andare contro ai nostri geni egoisti e, se necessario, ai memi egoisti del nostro indottrinamento. Siamo stati costruiti come macchine dei geni e coltivati come macchine dei memi, ma abbiamo il potere di ribellarci ai nostri creatori. Noi, unici sulla Terra, possiamo ribellarci alla tirannia dei replicatori egoisti”. Questo lo scrive Richard Dawkins, darwinista, e lo cita Dennett, altro darwinista.
    Nella mia domanda non sono stato chiaro. Intendevo dire che non si capiva dal tuo ragionamento se era il fatto stesso di avere una relazione di rispetto assoluto ponesse in svantaggio l’uomo, o se era una conseguenza del fatto che oggi, generalmente un uomo vedrebbe cadere dei vantaggi. Perché un conto è una situazione obbligatoria, e un conto è una situazione “volontaria”, in cui un uomo rispetta per principio e dunque condivide vantaggi e svantaggi.

  22. @# la tua domanda era corretta, la mia risposta forse richiedeva premesse. Aldilà delle imperfezioni espressive credo comunque di seguire la tua linea generale. Puntualizzo solo una cosa:la ‘situazione volontaria’ maschile la ritengo prevalente, tuttavia – e qui rientra l’altra faccia delle responsabilità – esiste anche e soprattutto lo stato di necessità per il quale lo sforzo di affermazione sociale maschile viene dettato da coercizioni intrinseche alle psico-dinamiche della coppia. In sostanza, quando dici ‘condividere vantaggi e svantaggi’, sembri aggirare l’atteggiamento, spesso molto femminile e matriarcale, di non voler rinunciare a determinati lussi o , per allargare il campo, a precisi vantaggi sociali. Mi spiego con un paradosso non mio ma che immagino riconoscerai in un famoso lavoro cinematografico: supponi cioè che un individuo lasci scegliere allla propria consorte/compagna se rinunciare a tutti i privilegi di una vita abbiente per ottenere, in alternativa, una più intensa e partecipata vita coniugale, della serie due cuori una capanna o giù di lì. Allora, lo dico senza provocazioni, quando si parla di scelta ‘volontaria’ , bisogna tener conto anche di ineludibili pressioni ambientali. Spero di esser stato più chiaro, ma a questo punto eviterei le immancabili personalizzazioni borghesi sul genere di: ‘le mie amiche vorrebbero davvero il marito in casa anzichè in quel suo ufficio affollato di segretarie e minigonne ; e via dicendo…

  23. @#
    “siamo costruiti come macchine …”
    questa affermazione riconduce invece all’ambiguità scientifica che ho cercato di evidenziare all’inizio. Qui è nascosto infatti tutto il senso della mistificazione dei significati, avallati da falsa certificazione meccanicista, per introdurre la quale – come ho già detto – sarebbe forse necessaria una dilatazione eccessiva del nostro già complicato sforzo d’intesa. grazie cmq per l’attenzione.

  24. @ painnet blade
    credo di aver capito. nel “condividere vantaggi e svantaggi” c’è il mio sguardo in genere ingenuo e inesperto, aldilà delle pressioni ambientali e di ciò che avviene nella coppia.
    la parte sulle macchine e la mistificazione dei significati comunque mi interessa, il passo che ho citato è lo stesso che citano quegli autori per svelare le caricature che vengono fatte dei loro lavori.
    almeno dimmi il titolo del film a cui alludevi

  25. Nella celebre pellicola del ’74FINCHE’ C’E’ GUERRA C’E’ SPERANZA (interpretata e credo anche diretta da alberto sordi), si parla in relatà di mercanti di morte. Te lo riassumo in due righe: il mercante di morte in seguito ad una commissione ai ribelli di un paese sudamericano viene scoperto nelle sue trame e segnalato dalla stampa pubblica come sanguinario seminatore di morte. In un attimo l’intera famiglia viene coinvolta dallo scandalo. Naturalmente coi proventi dell’attività il mercante ha potuto garantire lussi e agiatezza a quegli stessi figli che ora lo additano come il cinico ‘mostro senza scrupoli’. Il finale è un azzeccato affresco sullo spirito perbenista e moralistico della società occidentale.
    Il mercante, scosso da uno scrupolo di coscienza rimette alla famiglia la decisione di proseguire la sua attività, chiarendo loro che senza quell’impiego egli non avrebbe più potuto garantire il livello di agiatezza sociale di cui avevano beneficiato fino ad allora. L’epilogo te lo lascio indovinare.

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