POI INTERVIENE EVANGELISTI…

…e la sottoscritta torna a smentirsi rapidamente. L’intervista, a firma Luca Gabbiani, è uscita su Liberazione, ed è difficile resistere alla tentazione di pubblicarla. Anche perchè mi sembra che faccia chiarezza su diversi punti. Giudicate voi.

“Abbiamo fatto alcune domande sul dibattito in corso sulla “letteratura popolare” a Valerio Evangelisti, riconosciuto all’unanimità come il re della letteratura di fantascienza italiana. Il suo ultimo libro, pubblicato nella collana “Strade blu” di Mondadori, si intitola “Noi saremo tutto”: parla di mafia, ma il protagonista non è uno dei tanti buoni poliziotti che ci sono nei gialli letterari o televisivi. Evangelisti ha cominciato a scrivere nella mitica collana “Urania” e ora vede quei suoi libri, che hanno come protagonista un inquisitore benedettino, ristampati negli Oscar Mondadori. Si può dire a buon ragione, dunque, che Evangelisti sia uno scrittore “anche di genere”. Non solo: è anche “popolare”.
Ha seguito la discussione? Cosa ne pensa?
Tendenzialmente sono più per il versante Benedetti che Lipperini. Ma si tratta di forzature. Perché si parla di un oggetto molto impreciso. Si parla del solito Faletti, per esempio. Ma è veramente lui che mette in crisi la letteratura italiana? O forse la letteratura italiana ha già i suoi problemi interni a prescindere da lui? Intanto non è detto che un prodotto librario apparentemente più commerciale ne elimini uno che lo è apparentemente meno. Poi non capisco bene cosa ci auguriamo. Di trovarci a leggere cosa? Dove? Al caffè Greco? Forse piacerebbe a Arbasino o a gente così. Ma i tempi sono cambiati. Non è più fattibile.
Immagina un dibattito come quello in corso fuori dall’Italia?
Forse in Francia. Perché certi autori di primo piano sono legati alla letteratura di genere.
Per anni la cultura italiana, specie di Sinistra, ha visto la letteratura di genere come una letteratura di serie B. Adesso non pensa che si possa cadere nell’errore opposto?
Io dico solo questo: più è alta la qualità di un libro, più è difficile fare delle etichettature.
Non le pare che a volte il “genere giallo”, oggi, nelle terze pagine dei giornali e nelle quarte pagine dei libri, appaia quasi come l’unico capace di descrivere la realtà sociale italiana? Gli vengono spesso date delle connotazioni quasi di “nuovo romanzo sociale”…
Il giallo è un genere minore. Ha una formula sempre uguale. Consolante. Rassicurante. Generalmente con lieti fine. Per me è un sottogenere del noir.
Che libri le piacciono?
Quelli che mi piacciono di più generalmente non sono di genere. O non solo. Ma non è questo il punto. A me piacciono le grandi storie. Non sopporto troppo le mezze tinte. I libri a metà strada tra questo e quello.
Il “pulp” è stato un genere?
Adesso tutti pisciano sopra ai cosiddetti scrittori “pulp” italiani di cui tanto si parlava negli anni passati. Ma a me è sembrato un buon tentativo di svecchiare la narrativa italiana. Forse l’ultimo. Belle storie, spesso scritte anche bene. A me interessa. Interessava.
C’è una letteratura di genere che detesti?
Il Daciamarainismo. Quel genere letterario che percepisce come profondo qualcosa che non lo è e ha nascosto dentro di sé formule ripetitive. Insomma, il nemico, se proprio qualcuno vuole vedere un nemico, non è Faletti… E neppure il mercato editoriale. Ma la confusione tra il buono e il cattivo. E il vizio di fare generalizzazioni. Ci sono grandissimi scrittori di genere che sono grandissimi scrittori e basta. Come ci sono scrittori non di genere che vengono considerati grandissimi scrittori, ma personalmente non lo sono.

 

 

22 pensieri su “POI INTERVIENE EVANGELISTI…

  1. I libri sui quali si esalta e va in estasi ogni civilizzato…l’interesse di qualsiasi polis per i libri è innegabile. Essa dapprima insegna a leggere – lo fa per i suoi scopi -, poi ti dà in mano i libri. Anche qui i suoi scopi sono evidenti. Qualsiasi cosa vi sia scritta, il libro assicura la coesione sociale e la confusione mentale. Una volta era temuto. La Chiesa lo bruciava. La politica lo guardava vigile. Oggi le istituzioni lo benedicono, e guardano con ansia le statistiche come il cacciatore conta le quaglie nel suo carniere. In realtà la lettura diventa innocua in proporzione alla quantità di libri. Più libri si pubblicano, più l’atto di leggere perde la sua aura. Allo stesso modo più sono i lettori, più libri si pubblicano. Tutto sembra veleggiare verso il Regno. Ma si diffonde nello stesso tempo una incredulità verso il libro che lo rende innocuo. La sicurezza che un libro sarà seguito da un altro consolida una specie di cattivo infinito. Ci sono libri e sempre ce ne saranno. Questa certezza è perniciosa per il libro. Nessuno dovrebbe sapere se domani ci sarà ancora un libro. Questo lo renderebbe prezioso e mortale (Manlio Sgalambro)

  2. Io non liquiderei così facilmente nè Dacia Maraini nè Alberto Arbasino. La prima perchè ha scritto – anni fa, d’accordo – due bellissimi libri, che si chiamano L’età del malessere e La vacanza. Non solo, ma anche perchè è una delle poche autrici – non parliamo degli autori – in un paese come l’Italia in cui lo scrittore difficilmente prende posizione che si occupi – magari su richiesta, ma se ne occupa – di fatti reali. Io ho sentito solo lei, – e anche di recente – a invitare le donne a non fare retromarcia su certe conquiste. Che se devi fare un aborto non devi andare dalla mammana. Forse per un uomo non saranno cose importanti, ma sono problemi reali. In quanto ad Arbasino, ha scritto L’Anonimo Lombardo e Fratelli d’Italia che da soli, giustificano la validità dell’autore. Tondelli che piace tanto si è ispirato a lui e tanta letteratura “camp” . Poi, forse sono invecchiati male, i due…

  3. In realtà, Valerio non ha mai scritto vera e propria fantascienza. Ci sono elementi fantascientifici nel ciclo di Eymerich, ma convivono con il gotico, con la fantasy, col romanzo storico. Il ciclo del “Metallo Urlante” – che io adoro – è l’epopea del capitalismo americano (e mondiale) in chiave di western soprannaturale. Il western fornisce il paesaggio archetipale, il pantheon afro-cubano è la materia prima dell’allegoria. “Noi saremo tutto” (a tutt’oggi il miglior romanzo di Evangelisti) è un romanzo storico, la vicenda della degenerazione di un uomo, la storia di una famiglia (la versione nero-putrida di romanzi come “Le correzioni” di Franzen etc..)

  4. Genna, se vale sempre l’invito per le domande a Sharpe, gli chiedi: 1. che libri sta leggendo in questi giorni (se romanzi ti fai dire esattamente quali); 2. se gli piace il cinema: se si, che tipo (Nouvelle Vague, americani 60-70 Scorsese, De Palma, Corman…) ; se gli piace il cinema italiano degli anni ’60 e 70 (Fellini, Bertolucci, Visconti, Rosi) . Grazie.

  5. Cara Lipperini,
    scusa l’intervento radicalmente off, ma tu che hai il potere (o la visibilità, se preferisci), scrivi su Repubblica che i nuovi tascabili Einaudi fanno ribrezzo. Fa’ qualcosa, ti prego. La nuova edizione di Vergogna è agghiacciante, per non parlare dell’Animale morete. Di’ qualcosa di sinistra, di sinistro. Ferma questo scempio!

  6. Evangelisti dice cose di buon senso.
    Io aggiungo (perché è una mia fissa) che del daciamarainismo non è tanto responsabile daciamaraini, quanto chi la tratta, sui giornali, come fosse una che fa letteratura.
    E’ una che scrive, come tanti. In modo tiepido, vecchio, completamente inutile. Forse anche “popolare”. C’è a chi piace. Benissimo. E’ la prova che il dibattito ha preso una piega abbastanza provinciale. Popolare-non popolare. Destra-sinistra. La qualità è altrove. Dentro, fuori, a latere, a prescindere dal popolare. Che non è e non potrà mai essere misura di valore. Non discrimina un bel nulla. Viene dopo. Interessa la sociologia, o il marketing.
    Ciao
    Eziosenzaqualità

  7. Per me vale che esistono libri scritti bene e altri scritti male, non ci sono libri immorali, parafrasando il sempre giusto Oscar Wilde.
    In quanto a “Noi saremo tutto” , be’, non è fantascienza: ma Evangelisti mi sembra si sia allontanato parecchio dalla sf già da tanto tempo. Insieme a “New Thing”, “Noi saremo tutto” è tra i romanzi più belli che ho letto nel 2004.
    Popolare puo’ diventare anche un libro che non è “popolare”. Tendenzialmente odio i libri scritti male o per moda.
    Saludos
    Iannox
    P.S.: Valerio… ma l’intervista? ^___^ Te la sei dimenticata… guarda che io ancora aspetto. (non si sa mai, magari legge)

  8. …e chi non è con noi è un servo del potere. Un po’ tutti gli interventi che provengono dall’ambito di Nazione Indiana mostrano sintomi più o meno gravi di sindrome da accerchiamento. Che abbia ragione chi dice che si riduce tutto a una lamentela perché i loro libri vendono poco?

  9. Trovo centrale il *tono* delle affermazioni di Valerio.
    Quanto all’intervento di Moresco, il passaggio più illuminante è secondo me non di Moresco, ma di Gramsci, un’analisi straordinaria su cui bisognerebbe meditare tuttora: “A proposito di Baudelaire, per esempio, Gramsci si interroga se è stato il suo distacco dal movimento operaio a determinare la sua nevrastenia o se non è stata piuttosto la sua nevrastenia a determinare il suo distacco dal movimento operaio”.

  10. A me non pare che Moresco stia scomunicando nessuno. Espone la sua visione – o, se volete, il suo punto di vista. E pone delle questioni. (Non credo si tratti di fare a gara a chi è più rivoluzionario. E non c’è più un Comitato Centrale, inch’allah).

  11. Sì, effettivamente Evangelisti parla da “scrittore” – uno che ‘costruisce mondi’, per usare un’espressione che non mi piace, ma che non so sostituire – gli altri purtroppo, soprattutto di recente si limitano a “bozzetti di genere” o a “rappresentazioni di costume”. Sì.

  12. Ho tagliato un po’ con l’accetta, ma quando leggo NI certe rispostacce, certe punzecchiature, certe polemiche, mi danno l’impressione che dicevo.
    In ogni caso, x capire le derive del presente, più che Gramsci sulla Lecciso, sarebbe interessante consultare Reich su questo dibattito qua, che nel frattempo si è evoluto in modo meraviglioso:
    http://italy.indymedia.org/news/2005/02/729174.php

  13. Hark!, Franco…
    Moresco è Moresco e Biondillo è Biondillo. Tutti e due scriviamo su NI. Ma
    Antonio è responsabile delle sue parole, io delle mie. Non fate di tutt’erba un fascio.
    Non c’è nessuna sindrome di accerchiamento (almeno da parte mia).
    E poi: se vendi troppo ti accusano di vendere troppo. Se vendi poco ti accusano di vendere poco.
    Devo re-incollare la cover di Antoine? 😉

  14. Avevo quattordici anni, quando mio nonno, produttore cinematografico, venne in casa con un soggetto che, a suo dire, aveva le carte in regola per diventare un film di successo. Io, nonostante l’età, mi appassionavo soltanto con i film di Luchino Visconti e di Michelangelo Antonioni. Se proprio volevo divertirmi, c’era Federico Fellini. Consigliai mio nonno di non sporcarsi le mani con quella robaccia, altro era il cinema che al suo posto avrei prodotto. Ma non mi diede retta, né quella volta, né quelle successive. Realizzando film destinati a scavalcarsi, di anno in anno, per occupare il primo posto nella lista dei maggiori incassi di tutti i tempi. Se c’è qualcuno che vuol ridere, potrà farlo con più gusto dopo aver saputo che il primo di quei titoli era “Lo chiamavano Trinità”. Oggi faccio l’editore e, un po’ meno, lo scrittore. Le mie scelte sono ancora quelle di un ragazzino che si muove a colpi di sogni. Meno presuntuoso, certo, ma sempre più convinto. Il grande successo non c’è ancora stato. Forse un giorno arriverà. Comunque credo non sia giusto dedicargli le ragioni più profonde del proprio lavoro. E forse è una perdita di tempo anche ogni teorizzazione sul tema. Il grande successo di un libro non dipende da chi lo scrive o da chi lo pubblica. Se il mercato dell’editoria equivale, mettiamo, a mille, il grande successo non è conquistare ottocento punti. Con la potenza di alcune promozioni e di alcuni uffici stampa ci si arriva facilmente. Il grande successo è salire a cinque, sei, diecimila. E’ infrangere la barriera delle previsioni. Ma si tratta di un fenomeno che nessuno può organizzare. Accade perché il quel momento deve accadere, sfuggendo ad ogni controllo. E non è detto che il livello letterario dell’opera debba essere necessariamente basso. Ogni storia ha un suo percorso segreto, così come è segreta l’attesa dei lettori. E in un mercato vasto come quello attuale è tanto assurdo pretendere che solo i bei libri abbiano successo, quanto lo è scansare l’ipotesi che un vero capolavoro ne abbia più degli altri. Tornando alle mie esperienze familiari, potrei concludere che il vero evento, quello che rimane scritto nella storia, commerciale o/e culturale è difficilmente prevedibile. Mio nonno stesso, pur ipotizzando un successo, non arrivò mai ad immaginare ciò che realmente sarebbe accaduto.

  15. Grazie a Roberto per la storia raccontata e la saggezza. Quanto all’intervento di Antonio Moresco (e sì, ha ragione Biondillo: quanto viene scritto su NI dai singoli non può essere generalizzato), è in effetti la parte finale a colpirmi. Questa: “Sembra, da molti degli interventi che si sono susseguiti in queste settimane, che se una cosa esiste ed è dominante e assume i caratteri dello status quo non può che essere in qualche modo accettabile, se non buona. L’unico atteggiamento ragionevole, maturo e sociale è uniformarsi o perlomeno porsi con essa in dialogo costruttivo. Invece si può anche fare diversamente, non uniformarsi, non entrare in dialogo costruttivo, dire di no, anche se ciò che ci sta di fronte è o appare infinitamente più potente di noi. Si può anche dissentire, disobbedire, pensare diversamente, comportarsi diversamente. Si può anche essere non organici, “antisociali”, inattuali, se la “società” in cui siamo immersi ci fa orrore, tenere aperta la nostra ferita, acceso il fuoco, continuare a pensare, a sognare che anche all’interno di questa stessa società e questo orrore e persino dei singoli che ne fanno parte ci sia in qualche remoto punto della loro persona un’eguale ferita e uno stesso fuoco, che in nessun altro modo noi possiamo sperare o sognare di raggiungere se non mostrando in modo indifeso la nostra stessa ferita e il nostro sogno.”
    Moresco ha ragione: ma per quella che suol chiamarsi formazione sono abituata, se non ad entrare in dialogo costruttivo, a capire quello che combatto. Nessuno, mai e nessun momento, ha sostenuto che bisogna sostituire Proust con le Lecciso. Scherziamo? Da settimane, e qui mi rivolgo ad Alderano, si discute sul concetto di attenzione al popolare, non con la passiva accettazione di quanto viene proposto dal cosiddetto sistema dominante. E’ diverso. E il famoso intervento di Sanguineti andava in questa direzione: capire, per poi combattere. A me sembra che le cose fossero abbastanza chiare: ma evidentemente mi sbaglio.
    Quanto a Lomu: chi è che avrebbe il potere, scusa? 🙂

  16. Certo, Loredana. Infatti ho commentato, di là, dicendo che la distinzione pop/folk è inoppugnabile. E, qui sopra, ho detto che per me non è in corso una gara per il più rivoluzionario. Io propugno la necessità delle differenze – non solo: delle contraddizioni – nella prassi sociale, figuriamoci nella letteratura. E’ una questione di sensibilità personale, che mi fa aderire alle parole di Moresco, alla sua tensione ad un altrove ‘senza passare per il via’ – alla sua inattualità (in cui non posso non ritrovarmi, visto che io stesso mi dico di sentirmi inattuale).

  17. F.T.M.
    O sono fuori tema o sono fuori tempo massimo o sono fuori e basta. In questo caso credo di essere fuori tempo Massimo, ma voglio portare alla Vostra attenzione un piccolo dettaglio che non mi sembra sia stato preso in considerazione nel corso del dibattito su popolare/non popolare vendite/fallimenti e politiche editoriali.
    Si è parlato di molte cose tra cui best sellers e dati di vendita e non si sono presi minimamente in considerazione i prestiti bibliotecari. Molte delle persone che conosco si rivolgono alle biblioteche sia per problemi economici che di spazio.
    Di spazio? Sì, spesso al magro stipendio si accompagna la vita in mono o bilocali sempre più piccoli e i libri, anche se amati, ingombrano.
    Se qualcuno è in grado di dire cosa legge il ‘popolo’ delle biblioteche gliene sarei grato e forse potrebbe essere interessante anche per altri.
    Grazie, scusate l’ennesima intrusione
    Con affetto

  18. spettatrice, credo in effetti che esistano studi sui libri più prestati. Cerco di ricordarmi dove ne ho letto. Sicuramente al Festival di Mantova esiste Scrittori in prestito, che premia lo scrittore più letto in biblioteca, ma credo esclusivamente in Lombardia. Mi pare che nel 2004 abbia vinto Valerio Massimo Manfredi.
    Alderano: ma infatti, il senso di tutto quanto era ed è nel confronto, non in una improbabile gara. E’ solo sul “serrate i ranghi” che provo un certo turbamento…

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