POVERE, NOI

Uno. Mi ha colpito, leggendo il giornale di stamattina, che le storie degli “esodati” e dei vessati dai “ricongiungimenti onerosi”  fossero in prevalenza storie di donne. Per esempio:
Paola faceva la postina: oggi ha 60 anni, con le Poste – dal gennaio 2011 – ha concordato un esodo incentivato. Prima della riforma Fornero sarebbe andata in pensione nel dicembre 2013. Con le nuove regole ci andrà nell´agosto del 2019. Grazie alle deroghe fissate dal Milleproroghe potrebbe aver diritto ad un sussidio: ma gli anni da coprire sono sei. Un ammortizzatore ridisegnato sull´Aspi garantirebbe al massimo 18 mesi.
Ha maturato 32 anni di contributi, oggi ne ha 58. Da due anni e mezzo cerca lavoro ma non ne è riusicita a trovarne uno regolare. Elsa P., con la “vecchia” previdenza sarebbe andata in pensione nell´aprile 2014, con decorrenza dal 2015. Ma ora i tempi si allungano: grazie alle nuove regole dovrà aspettare il 2020. Ha una figlia che lavora come precaria, lei per campare fa le pulizie in nero
Lavorando con una ditta privata ha versato per 33 anni i contributi all´Inps, poi è passata a Postel e quindi per 7 anni ha versato all´Ipost. Nel dicembre 2010, con 40 di contributi maturati, ha lasciato il lavoro e chiesto la rincongiunzione all´Inps. F.B si è sentita male quando l´istituto le ha comunicato che dovrà versare circa 37 mila euro. Non lavora più, non ha ancora la pensione. Nessuno è disposto a concederle prestiti.
Ha insegnato per 37 anni in un istituto privato, dal 2001 la scuola è parificata, quindi i contributi vanno versati non più all´Inps, ma all´Inpdap. Nel 2010 E.F è collocata a riposo. Le viene riconosciuta solo la pensione diretta Inps (28 anni e 5 mesi). Viste le regole in atto non può richiedere la ricongiunzione (la pensione supplementare Inpdap non è prevista nei fondi esclusivi). Le hanno “scippato” nove anni di contributi.
Prima dipendente comunale, poi lavoratrice privata. A novembre 2011, fra Inpdap e Inps, R.P. ha maturato 40 anni di contributi. Pensa di lasciare il lavoro e chiede la ricongiunzione dall´Inpdap all´Inps (anche perché non le è consentita l´operazione inversa). L´istituto le invia una lettera con i costi dell´operazione: se verserà in una unica soluzione se la caverà con 215.362 euro. Se pagherà a rate la cifra, grazie agli interessi, salirà a 280 euro.
Consiglio di leggere il documento di Ingenere sulla riforma del lavoro: è una buona base da cui partire.
Due.  Tanto per sottolinare come la questione femminile (e del corpo femminile) abbia un posto di rilevanza nei discorsi politici. Parliamo di Stati Uniti, in questo caso, e  Huffington Post riporta le nove bugie più frequenti dei Repubblicani. Probabile che qualcuna verrà ripetuta anche da queste parti (grazie ad Andrea per la segnalazione).

5 pensieri su “POVERE, NOI

  1. Nel mio settore siamo in pieno fermento con le assemblee sindacali, il nostro contratto è scaduto, gli esuberi pesano moltissimo…abbiamo tutti paura.
    Tra l’altro, pare che stia vincendo il “no” per quanto riguarda la votazione del contratto accettato dai sindacati: per la prima volta i lavoratori non seguono le direttove dei sindacati.
    In particolare gli esuberi hanno smontato l’equilibrio che nel settore si era trovato mesi fa, e ovviamente la problematica è sorta proprio in seguito alal riforma previdenziale.
    Si naviga a vista ma io che presto sarò in maternità ho un motivo più per avere paura.

  2. Il documento di ingenere ha un titolo esemplificativo: una riforma che guarda al passato. Infatti, i provvedimenti in materia di lavoro mirano sostanzialmente a riportare la società a una situazione da anni 50, se non ottocentesca, ponendo in essere misure che corrodono il potere contrattuale e aumentano la ricattabilità di lavoratori e lavoratrici. Chi sono i beneficiari di queste riforme? I padroni (a me piace chiamarli così), di cui è espressione la classe dominante che scarica sui lavoratori e, soprattutto sulle lavoratrici, i costi di una crisi che spesso è agitata come uno spettro per giustificare provvedimenti che, in realtà, con la crisi non c’entrano nulla. Si veda il caso dell’articolo 18, la cui abrogazione viene propagandata come fattore necessario alla crescita. Lasciando da parte la retorica, mi piacerebbe che qualcuno mi spiegasse tecnicamente il nesso.
    In questo quadro, le donne sono le più colpite e non fa meraviglia. La ricattabilità, la precarietà, il ricorso (forzato) al di part-time, il basso reddito, sono aspetti del lavoro femminile da sempre, anche quando la situazione non era drammatica come adesso e allora si poteva fare a meno di parlarne, di riempirci gli spazi dei talk show, perché tanto il lavoro del maschio era salvaguardato e spesso lo stipendio della femmina era “il secondo”, quello per arrotondare e di cui si poteva anche fare a meno, volendo. Basti guardare alla scuola, universo che conosco molto bene, caratterizzato da sempre dalla precarietà. Mi pare, dunque, di poter affermare con un certo margine di sicurezza che siamo nel mezzo di un processo di femminilizzazione del lavoro, per dirla con Cristina Morini, il cui libro devo ancora leggere e su cui si potrebbe sviluppare una bella discussione, che sicuramente offrirebbe degli spunti importanti da cui ripartire.
    Un’ultima cosa, fuor di polemica. Il panorama lavorativo delle donne non può e non deve essere ridotto alla questione della maternità, che senza dubbio è una tematica importante, ma non la centrale. Il problema centrale è la conquista di un’autonomia e di una libertà delle scelte esistenziali, autonomia che non si dà senza un reddito sufficiente a sopravvivere. E ci sono donne che, nonostante lavorino, non riescono a bastare a se stesse con il proprio reddito, anche quando le mansioni che svolgono sono altamente qualificate (penso alla mia coinquilina, 28 anni, architetta in uno studio privato, 600 euro mensili in nero). Quali sono le conseguenze di non riuscire, con il proprio stipendio, a bastare a se stesse? Anche su questo sarebbe bello discutere.

  3. Mi è appena venuta in mente una proposta di inchiesta elaborata dal laboratorio Sguardi sui generis, con l’obiettivo di partire dal genere quale “terreno su cui costruire una comunanza capace di ricomporre un soggetto politico” che poi è quello che interessa me, perché lo considero un passo imprescindibile, senza il quale tutti gli altri tentativi di incidere sulla realtà rischiano di cadere nel vuoto.
    http://sguardisuigeneris.blogspot.it/2012/03/impresa-e-genere-elementi-di-contro.html#more

  4. Le donne sono quelle che rinunciano prima, o che sono incentivate a farlo prima. Come associazione di categoria stiamo studiando la fuga dal mestiere di archeologo/a, e abbiamo notato, in base ai dati del nostro censimento che, se in percentuale totale le donne sono il 72%, la percentuale diminuisce drasticamente se si considerano coloro che continuano a fare archeologia dopo i trenta/trentacinque anni. Non mi sembra che ci voglia molto a capire perché.

  5. pian piano ci si sta finalmente accorgendo che non basta essere (apparentemente) morigerati nei toni e nei modi e non portarsi a letto ragazzine per essere buoni governanti e che la famosa equità che magicamente doveva essere stabilita era una bufala.
    Sul massacro delle pensioni, ben più devastante dell’articolo 18, massacro passato con finte opposizioni dei sindacati, in particolare sulla immane tragedia degli esodati, compresa solo da chi ha SEMPRE fatto fatica a far quadrare i conti, non starei proprio a fare una questione …. come si dice? di genere.

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