Per Repubblica di oggi ho scritto questo.
Settecentoventi ore, trenta giorni. I più pessimisti dimezzano a quindici. In Italia, il ciclo vitale di un libro equivarrebbe a una meteora. Negli ambienti editoriali se ne parla da diverso tempo: all’inizio dell’autunno furono i piccoli editori del Festival di Belgioioso a denunciare che l’esistenza di un romanzo o di un saggio stava diventando effimera come quella di una farfalla: se entro un mese non vende, si restituisce all’editore. Le cause? “Troppa offerta, ma soprattutto poco curata: occorre più attenzione a quello che si pubblica, la quantità non è negativa di per sé – sostiene Paolo Pisanti, presidente dell’Associazione Librai Italiani- Comunque, sessantamila novità l’anno sono una cifra incredibile rispetto a qualsiasi categoria merceologica, e senza soluzione di continuità. Un pasticcere sa che ci sono i momenti più impegnativi, come il panettone a Natale e la colomba a Pasqua. Noi non abbiamo pause. Non possiamo far altro che sostituire le quasi-novità con altre novità”. Tutto, dunque, si giocherebbe nell’arco di una manciata di giorni: non è troppo poco? “No. Perché per fare spazio ai nuovi arrivi abbiamo bisogno di liberare i magazzini, e prima ancora di passare dalla vetrina al banco e dal banco allo scaffale: ci sono tempi tecnici, e tempi finanziari. I pagamenti all’editore avvengono mediamente a novanta giorni. Se voglio fare un’operazione economicamente valida, devo vendere i libri prima di pagarli, ma in tempi così brevi è difficilissimo. Dunque, diventa antieconomico tenere un libro che stenta a decollare più di venti-trenta giorni: se fosse possibile pagare solo quello che si vende, o avere termini di pagamento più lunghi, le cose andrebbero diversamente. Infine, i numeri sono cresciuti troppo. Quindici anni fa un best-seller vendeva centomila copie: oggi, per essere tale, deve venderne un milione. Favorire un gruppo ristretto di autori danneggia il pluralismo della diffusione: sembra un paradosso, ma l’Italia non è il paese dei best-seller”.
Ma non è neppure il paese dei troppi libri, dice Cecilia Perucci, direttore editoriale di Corbaccio. “Anzi, teoricamente i libri non sono mai abbastanza. Sicuramente c’è stata un’accelerazione dei tempi, per esempio nel passaggio dall’edizione rilegata al tascabile. Ma non di copie: l’editore, ormai, lavora in base agli ordini che riceve dal libraio, che ha la parola finale sulla quantità. Certo, non tutti i libri possono vendere centomila copie: se hai la fortuna di averne tre o quattro l’anno, perà, puoi permetterti di investire in testi che hanno una misura diversa”.
E, forse, vita breve. La corsa alla pubblicazione rischia di essere un falso traguardo per l’esordiente: “oggi – dice Marco Zapparoli, direttore di Marcos y Marcos – sarebbe difficilissimo vendere un Calvino al suo debutto. Ci sono libri che possono essere apprezzati solo in tempi lunghi e sarebbe impossibile riconoscere la novità rappresentata da Calvino in una manciata di giorni”. Responsabilità dei librai o degli editori? “Diciamo che la situazione è divenuta tesa per mancanza di complicità fra libraio ed editore: più gli interessi sono solidali, più il libraio rifletterà prima di procedere alle rese. Cosa che non può avvenire se l’editore continua a battere moneta, ovvero a mettere fuori libri. Sa perché gli editori pubblicano sempre più titoli? Perché pensano erroneamente di poter compensare le rese che riceveranno e di far quadrare il budget: in poche parole, se in un anno non è stata raggiunta la fatturazione prefissata, in quello successivo si “picchiano fuori”, per usare il termine aggressivo oggi di moda, più titoli a una tiratura alta. I librai stanno al gioco per un po’, ma infine si stancano e rendono. Un abbaglio molto simile a quello degli swap finanziari: che alla fine si sono rivelati carta straccia senza alcun valore. Il libro ha un valore, invece: deve essere trattato con rispetto proprio perché ha bisogno di maturare. Cinque anni fa noi lanciammo la campagna Meno tre: passammo da diciotto novità di narrativa annuali a quindici. L’anno successivo siamo scesi a tredici. Andò benissimo e non abbiamo mai cambiato: anzi, nel 2011 festeggiamo i nostri trent’anni proprio con una collana che si chiama Tredici: perché le energie che prima mettevamo nella produzione, le abbiamo trasferite nella promozione dei nostri libri”.
Annuisce, a distanza, Romano Montroni, principe dei librai, a lungo direttore delle librerie Feltrinelli, dal 2005 consulente delle Coop: “Il libro è come una pianta: diventa grande se lo innaffi tutti i giorni. Trenta giorni di vita? Può essere vero, ma dipende dalla libreria in cui viene collocato e dalla missione di quella libreria. Nelle Coop abbiamo sempre il trenta per cento di novità e il settanta di catalogo. Perché una filosofia di comportamento è necessaria: vedo troppi librai che per affrontare un problema finanziario fanno clic sul computer, tirano fuori l’elenco dei libri che hanno venduto meno negli ultimi tre mesi e rendono a più non posso. Una buona libreria deve sempre avere tre tipi di libri: quelli che si vendono molto, quelli che si vendono meno e quelli che servono a far vendere gli altri. E, soprattutto, un libraio deve saper riconoscere il valore di un libro indipendentemente da quanto vende: se a uno scrittore giovane dai fiducia, devi tenerlo. E non può mancare, in nessuna libreria, un testo di Calvino. Anche solo una copia”.
Anche se oggi, forse, vivrebbe la vita di una farfalla.
@Loredana se il ciclo di vendita del libro si è abbreviato lo si deve però agli editori e ai distributori, perchè se io ho uno spazio limitato e tu mi sforni centinaia di novità alla settimana io non posso fare altro che renderti ciò che non ha più posto, e le pressioni ci sono ti assicuro, se poi l’agente vive di provvigioni cederà certamente, quindi occuperà metri di libri di ricette e brunivespe per fare budget.E il resto?2 copie e amen
Ma per non fare implodere il sistema quale sarebbe la soluzione?Stampare meno libri?secondo quali criteri?si ricomincerebbe la guerra fra poveri a colpi di invidie e calunnie come diceva di GL. la vergogna è un articolo fuori mercato ormai!!!
Laura: la guerra fra poveri è altissima ora, con 60.000 novità l’anno. Non è la sovrabbondanza di offerta ad alimentarla, ma un’infinità di altri fattori, inclusa la deriva di Internet verso l’hate speech (la quale, a sua volta, è uno degli aspetti delle “passioni tristi”). Sto semplificando, ma non è certo l’ambito editoriale il solo dove si scatenano campagne contro questa o quell’esordiente cui faceva riferimento velato il commento di cui sopra.
Non ho mai detto, mi sembra, che ci sia una responsabilità unica: e lo ripeto. E’ un sistema che sta mostrando la corda.
Stampare meno libri potrebbe essere una delle soluzioni. Non l’unica.
(Io su tutte queste cose sono molto d’accordo con loredana per cui passo solo a salutare, aggiungo che il mio accordo lipperino ha avuto un superpicco quando all’ultimo commento ha criticato le malvestite, per lo stesso motivo per cui io non lo frequento più – mi sentivo in una specie di business delle passioni triste. E r daje alla croce rossa.
Poi vedo se riesco a concepire una cosa sensata che non sia stata già detta.)
E’ vero, però forse sarebbe ora di studiarlo da vicino questo sistema, analizzarne entrate e uscite, seguirne i passaggi, lo ammetto sembra un invito alla GdF, ma potrebbe essere una delle soluzioni, bisognerebbe davvero alzare il velo su tante situazioni perlomeno anomale, magari si potrebbe fare già una bella prima scrematura con gli editori a pagamento, sfoltire un pò il mercato.
Non vorrei sembrare apocalittica ma questa guerra fra poveri di cui parliamo mi sembra si stia estendendo un po’ a tanti settori, nell’editoria forse fa più tristezza perchè è proprio da chi dovrebbe fare cultura che ci aspettiamo un altro livello morale, sono un’ingenua lo so!!
Laura, io lo sto facendo. O, almeno, ho cercato di fare un primo passo in questo senso. Quanto agli editori a pagamento, con altri blogger stiamo cercando di spiegare quanto sia deleterio rivolgersi a loro da mesi. I Mulini a vento (editori, librai, addetti ai lavori) stanno conducendo una giusta battaglia sul prezzo del libro.
Cerchiamo di mettere insieme i tasselli. Quanto al livello morale, occorre cominciare a pretenderlo in primis da se stessi. Magari, smettendo di dare credito a blog che incitano alla lapidazione come quello citato (e molti, molti altri).
Perdonatemi non vorrei apparire ripetitivo ma ci sono alcune considerazioni che vanno sottolineate. La prima è, almeno per quanto riguarda le grandi catene, quella di evitare di pensare che il libraio o la sua figura valga ancora qualcosa. Lo dico dopo sei anni di esperienza lavorativa e dopo la scuola librai Mauri. Io adoro il mio lavoro, non lo cambierei mai ma il mercato ci sta schiacciando. A volte devo litigare per tenere i libri della Weil (giusto per citare un’autrice che dovrebbe essere sempre presente in libreria) che sulla mia sede non vende e siccome non vende deve andare in resa. Nel frattempo arrivano centinaia di libri ogni settimana a cui devo trovare spazio. Di queste centinaia di libri, se va bene, ne partono (cioè ho alte vendite) uno o due titoli. Ne escono troppi, decisamente troppi. Ho conosciuto Montroni, ha una storia incredibile alle spalle, lo stimo molto ma sa bene che le cose non sono più come dice lui (e aggiungo purtroppo). Per quanto riguarda i libri vorrei fare due esempi. Il primo riguarda Marra. Il suo labirinto femminile (che Dio me ne scampi) non si può neanche definire libro ma siccome in TV lo pubblicizzano Mora e la Arcuri la gente me lo viene a chiedere. Altro esempio che forse susciterà le ire di qualcuno. Io leggo all’incirca dodici libri al mese (per lo più saggi) sono quello che il mercato libraio definisce un lettore forte. Quando ho letto il libro di Giordano, La solitudine dei numeri prim,i ne sono rimasto inorridito. Ora, è vero che le grandi case editrici puntano solo sui testi migliori o è vero che le case editrici hanno il potere di fare di un libro qualsiasi un best seller? Possibile che questo libro non abbia avuto una sola recensione negativa? Che tutti lo abbiano trovato un capolavoro?
Insomma io credo che dovremmo confrontarci con la realtà dei fatti. Vero è che le case editrici a pagamento non servono, nel 99% dei casi, a niente se non ad arricchire se stesse. Vero è che le grandi case editrici hanno persone che lavorano per loro che sono ottimi/e professionisti/e ma non è tutto oro ciò che luccica. Rimango dell’idea che si pubblica troppo, che si perdono grandi occasioni, che si punta soprattutto su quei libri che possono piacere alla massa ( basti a pensare a Federico Moccia o a Fabio Volo) e quindi vendere. Ci sono tantissimi scrittori e tantissime scrittrici che non hanno avuto l’opportunità di farcela. L’autocritica va benissimo, ci sono un sacco di persone che scrivono senza avere idea di come si faccia. Ma è pur sempre vero che ci sono casi a parte. Rimango dell’opinione che prima o poi il sistema editoriale imploderà e, nonostante sia il mio lavoro, credo che sia un bene. Magari poi si potrà ricominciare a parlare di cultura.
E chi li nega i casi a parte, Perseo? Certissimamente ci saranno molti autori che non hanno trovato la via per la pubblicazione e che la meritano in pieno. Molti però non vuol dire la totalità di chi grida “dalli al raccomandato” e scrive testi che non stanno in piedi.
La mia domanda è, ed è sincera: perchè “devi” dare in resa Weil? Non ci sono testi e autori di cui tenere almeno una copia in libreria? So che è difficile nelle librerie di catena, ormai, ma in quelle indipendenti?
In quelle indipendenti la cosa è diversa (ma purtroppo sono sempre meno). Ma noi che lavoriamo in catena riceviamo almeno dieci mail al giorno in cui ci viene detto cosa fare e come farlo. Il discorso dei testi e degli autori da tenere in libreria funzionava prima, ai tempi di Montroni. Ora ti dicono che se un libro non vende va reso. Punto. Poi è logico che molti di noi si oppongono ma quando ti arriva il direttore con la lista dei più venduti (chiamati altovendenti) da massificare (sig) e gli fai notare che il libro in questione è una chiavica e lui ti risponde che quella chiavica ti paga lo stipendio, che gli vai a dire? Guardate che Marchionne e il suo ricatto è solo la punta dell’iceberg. Sono d’accordo con le cose che molte persone dicono sul blog e non mi interessa neanche il discorso “raccomandato sì, raccomandato no”. Purtroppo è diventato una sorta di ritornello, sarà che la gente ha perso fiducia ormai, non mi interessa, ognuno si confronta con la sua storia. Ma non fate l’errore di pensare che le librerie (ripeto, almeno quelle di catena) siano un luogo in cui vale, prima di tutto, la cultura. Valgono i numeri e le vendite. Punto. E la stessa cosa avviene per le case editrici (o per alcune di loro, per non generalizzare). E, soprattutto, non pensate che un libraio abbia qualche potere decisionale perché non è così.
Allora tutto torna: pensavo lavorassi in una libreria indipendente, Perseo. In quelle di catena, sì, funziona in questo modo. Purtroppo. Ma i librai indipendenti qualche potere decisionale lo hanno ancora, vorrei sottolineare.
@perseo verrei a trovarti solo per la Weil, io sono impazzita per cercare i libri di Maria Zambrano(che è una filosofa spagnola ok poco conosciuta però è meravigliosa e non l’ho scritto per spararmi le pose come si diceva) e un commesso una volta per darmi Cervantes mi ha portato sotto lo scaffale della S!!!disavventure a parte ti capisco!!Si comincia a fare il libraio per un amore folle, quasi una malattia, per la letteratura e si finisce a fare il contabile!!
@Loredana ma io apprezzo il suo lavoro, solo che su alcuni argomenti mi scaldo un po’, ho un caratteraccio sorry!!!
Anche io, tranquilla 🙂
La mia esperienza, o chiamatelo il mio cammino personale, mi ha portato a convincermi di certe cose.
Ho iniziato un paio d’anno fa a scrivere assiduamente e a produrre un testo che è uscito con una casa editrice a pagamento. Lo so che queste vengono molto criticate e osteggiate, ma io sono contenta anche solo per un motivo, che è questo: tra i tantissimi titoli che Albatros sforna all’anno il mio libro è stato scelto per andare alla Fiera del libro di Mosca. Ora io mi chiedo, quale altra casa editrice l’avrebbe fatto? A loro sono grata per questo, ovvio. Poi le critiche le ho, ma non è il caso qui.
Altra esperienza: questa estate ho terminato di scrivere il secondo romanzo. L’ho inviato a degli editori “seri” e uno di questi mi ha risposto dicendomi che aveva fatto leggere il libro ne aveva tratto un giudizio positivo, che il modo di scrivere piaceva ma che dovevo modificarlo per renderlo commerciale. Questo modificare significava cambiare tutta la struttura e non l’ho voluto fare.
A questo punto ho detto basta e ho cambiato totalmente prospettiva. Io non sono una scrittrice di professione, diciamo che ogni tanto scrivo un libro, ma ciò su cui ho puntato il mio lavoro è un servizio di informazione e formazione come potete vedere dal mio sito.
Non faccio spam da nessuna parte, anche perché è inutile, non serve ad incrementare le visite né a rendersi simpatici. I lettori si acquisiscono solo se si è capaci di fornire contenuti interessanti e utili a chi legge. Curo il sito solo da quattro mesi, ci vorrà tempo per crescere. E’ un lavoro, ore di navigazione e di lettura in internet e poi di scrittura post.
Per quanto riguarda l’autopromozione io ho una visione tutta mia, non sopporto le regole del marketing per quanto efficaci possano essere, perché implicano una visione dell’essere umano che non condivido; l’autopromozione che posso fare è quella che sto facendo anche qui con voi, cioè scrivo, interagisco, mi confronto, al di là di tutto, perché mi piace farlo. Se sarò capace di stabile un contatto con voi che mi leggete e se le cose che scrivo e il pensiero che ci sta dietro vi interessano o vi incuriosiscono tanto poi da acquistare altre cose che ho pubblicato ben venga, ma non lo è lo scopo principale per cui sono qui, come da altre parti.
La mia vita si basa sugli incontri non sui bilanci. E questo mio intervento così autobiografico, va al di là dell’autobiografia, vorrei che il mio comportamento fosse espressione di uno stile, che è diverso dall’avere un brand. 🙂
Forse sarò dura, Elisa. Che il tuo intervento qui fosse autopromozionale era intuibile: e qui l’autopromozione non è gradita. Da sei anni si tenta di fare discorsi, in questo blog. Discorsi per il bene comune, non per il bene personale dei singoli.
Sulle case editrici a pagamento ho già detto molto e non intendo aggiungere altro se non che non voglio che si faccia promozione qui su nessuna di loro (e questo è un warning: se si ripete, metto in moderazione). Per le motivazioni, ci sono vari post dedicati.
Aggiungo che la tua esperienza non vale per l’esperienza di tutti. Per un editor che ha risposto in questo modo, ce ne sono cento che hanno tutto l’interesse (ripeto, non il buon cuore, l’interesse) a non veder sprecato un talento. Quando il talento c’è.
Certo Lipperini è la mia esperienza, io non posso parlare che di questa. E se vorrai entrerò ancora qui per scrivere il mio pensiero, non per autopromuovermi, ma per interagire. Se poi questo non è gradito pazienza, puoi cancellare i miei post, non mi offendo, accetto, il sito è tuo e io sono ospite.
Molto bene. Ma tieni presente che l’esperienza del singolo non è, automaticamente, l’esperienza di tutti.
mbè credo che i libri di calvino ce ne siano a batticuore, o no?
Se poi i libri durano una settimana o trenta giorni è perché le case editrici pubblicano troppi scrittori senza concedere a chi merita veramente la sua vetrina. Se io avessi tra le mani il nuovo Mc Carthy non ci penserei un secondo a far battage a discapito di altri autori meno importanti possibilmente anche inseribili in collana. Ma di Mc Carthy raramente se ne trovano, quindi gli editor se ne fottono, la merce merita di durare anche meno di trenta giorni (spesso, non sempre).
Il problema del libraio che fa melina colle rese dei libri riguarda sempre quella fetta settoriale di lettori che vanno in libreria alla ricerca di ‘un libro’ e non ‘del libro’. Si possono fare sempre le ordinazioni. Bisogna solo sapere che esistono autori che valga la pena ordinare. Se la casa editrice punta alla quantità, questo gioco è più difficile e ci perdono tutti.
Elisa… a questo punto ignori che i libri di qualcuno (sul cui valore stendere più di un velo pietoso), sono arrivati ad infestare anche il “lidl”. ma non vogliamo proprio prendere in considerazione, il ché i libri si trovino a momenti, anche dal macellaio sotto casa? ditemi ciò che volete, ma vedere le librerie sostituite persino dalle tabaccherie… oh, mi da un fastidio che non immaginate… e magari vado anche contro gli interessi della diffusione cosiddetta “capillare”, però, a conti fatti, in una tabaccheria vige troppo la legge della jungla, dove la meritocrazia, è un bel lemma da cercare sul dizionario…
web scouting??? scusate se faccio outing, ma nelle condizioni alcoliche in cui versa il mio cervello, sono portato ad esser schietto: ma se scrivono tutti!!! cribbio (espressione “presa in prestito” dal cavalier condorelli!!!), se in un panorama di 55 milioni e più, consideriamo che sono in 60 milioni, i “provetti scrittori”, mi viene il panico al solo pensare di mettermi nei panni di un “web scout”… brrrr…
C.E. a pagamento? beh… auguri! con buona pace dell’evasore fiscale di turno… una banda di ladri “legalizzati”. tante promesse, tante millanterie e pochi fatti… intanto, godendo dell’enfasi di un giovane autore, la prima cosa che chiedono sono i… CASH. “ti mantengo sul sito!”… “ti faccio fare delle interviste”… “ti mando qui, ti mando là…” pesce fritto e baccalà… poi una volta intascati i dané, la correzione di bozze è uno scandalo, ed oltretutto, con le varie scuse, stampano addirittura meno copie di quante pattuite. ditemi quello che volete, ma vedere case editrici, spuntar fuori dal nulla, non fa altro se non testimoniare questo tsunami di carta straccia. sono tantissimi, anche troppi, i bravi autori – ed autrici, of course – che restano i “bravi talenti del quartierino”. chi ha detto – nella sciocca filosofia zen – che la vera ricompensa consiste nel viaggio, a mio avviso sbaglia di brutto: la vera ricompensa, per un autore, sta nell’arrivare al cuore delle persone, nell’essere letto e dalla sua lettura, dare il via a delle considerazioni… o come direbbe Calvino, citato finora: riuscire nell’intrattenere e/o divertire il lettore che ha diritto, visto che ha pagato, di svagarsi. questa è una piccola interpolazione, che però, nella presentazione de “il visconte dimezzato”, trova la giusta dimensione di pensiero che l’immenso Italo ha voluto fornire della sua morale.
A mio personalissimo avviso, c’è troppo uno spirito di pura vanagloria, che non corrisponde più, o per dirla da telefonista, “si è disallineato” dal suo intento primario, che è quello di “emozionare”… pensiamoci un attimo: da quant’è che non parliamo più di un libro con la “elle” maiuscola? (mi riferisco ovviamente, ad un progetto italiano).
Saluti a tutti.
Il libro, il nuovo banalissimo e comunissimo trend. E’ diventato moda quindi deve essere giovane, deve colpire e poi passare per far posto a quello che è ancora più giovane. Che tristezza. E la qualità? Chi parla ancora di qualità? Ci siamo davvero completamente dimenticati della qualità dei libri di autori come Montale, Pivano, Vittorini? Grazie a persone competenti e capaci come loro sono giunti a noi libri rivoluzionari di importanza mondiale come quelli della Parker (tradotta da Montale), Lee Masters (tradotto dalla Pivano con l’aiuto di Pavese) e di gran parte della letteratura americana tradotta da Vittorini. Perché non far capire che il trend passa ma la qualità rimane? Sono iscritta alla facoltà di lingue e letterature straniere, mi sto per laureare e per tre anni sono stata bombardata di nozioni, di libri straconosciuti ma per i miei professori non importa come sono arrivati questi testi qui in Italia, ‘tanto l’importante è che sono arrivati’. Ora mi sto impegnando a cercare un argomento per la tesi e sto riscontrando una notevole ottusità per il tema da me scelto, semplicemente perché l’autrice che voglio prendere in esame è poco conosciuta in Italia. Mi consigliano di fare qualcosa di più ‘alla moda, sei una brava’ mi ripetono ‘ scegli di scrivere qualcosina su un’autrice già affermata in Inghilterra così se mai pubblichi pure e subito hai successo’ (per non parlare dei temi che mi propongono solo perché sono una ragazza e quindi dovrei prendere in esame un certo tipo di questioni che per le donne è più ‘facile’ affrontare. Bah). Scherziamo? Dove sono gli ideali, dove è andato a finire lo studio motivato e sostenuto da valori nei quali si crede? Forse le mie parole hanno il peso di uno sfogo più che quello di un commento e forse non è neanche tanto in linea con l’articolo però avevo il bisogno di condividere il mio pensiero.
Buona giornata a tutti.
Provo a fare un ragionamento di questo tipo. I 60.000 titoli all’anno consideriamoli come 60.000 informazioni diverse, come posso io selezionare tra tutte queste info, tra tutti questi bit, l’informazione che mi interessa? Il bit che sto cercando? Per i libri ci sono le categorie, che riducono il range. Se cerco nella narrativa (che poi è la categoria più frequentata dagli esordienti) cosa avrò… 40.000 titoli (dico un numero a caso). Questi 40.000 bit a loro volta possono essere divisi in genere (noir, rosa, fantasy, triller), così la ricerca si assottiglia. Mettiamo che mi interessi il genere fantasy. Quanti titoli nel genere fantasy ci sono?… boh, 10.000, diciamo. Questo genere può essere a sua volta suddiviso in fantasy storico, high-tech, manga, erotico, ecc. Se mi interessa il genere manga vedrò quanti titoli ci sono. Ne trovo 3000, diciamo. Che sono ancora tantissimi. A questo punto posso dividerli in autori italiani e autori stranieri. Mettiamo che mi interessino gli italiani. E diciamo che trovo 1500 titoli di fantasy manga scritti da italiani. Possiamo ancora eliminare i nomi noti (se ce ne fossero e se stiamo cercando autori nuovi). Rimangono mettiamo 1000 titoli di esordienti che scrivono fantasy manga. 1000 titoli sono ancora tanti, ma se si riuscissero a trovare tutti in un catalogo sarebbe un grande aiuto, invece dobbiamo scegliere di spulciare i cataloghi di tanti editori “seri” o a “pagamento” o a “print on demand”. Mettiamo che decidiamo di visionare sono quelli pubblicati da editori “seri”. Quanti titoli dovrò scorrere? No so, 400, per esempio. 400 titoli di autori italiani esordienti che scrivono fantasy manga pubblicati da editori “seri” (credo siano meno, ma è per fare un esempio di metodo di selezione). Si può ancora mettere un filtro e dire voglio cercare solo i titoli pubblicati dalle 5 maggiori case editrici. Quanti titoli rimarranno? Diciamo 50.
Con questa cifra puoi permetterti anche di andare a leggere le schede libro e sono certa che nel giro di poco tempo si riesce a trovare quell’unico titolo che interessa veramente e per il quale siamo disposti a sborsare qualche euro per averlo.
Non so se avete avuto la pazienza di seguirmi fino a qui, ma il nocciolo del discorso è che spesso è una questione di percezione. I 60.000 titoli dell’inizio inquietano chiunque, è una cifra che ci travolge e ci sconforta, ma applicando dei filtri di selezione, in modo semplice e tranquillo, ci troveremo davanti cifre molto inferiori e facilmente gestibili… e così tutto tornerà nelle nostre mani. La massa di informazioni si può gestire, senza pretendere di bloccare la quantità di informazioni all’inizio per paura di non riusce a trovare ciò che cerchiamo e per paura di vedere la spazzatura mischiata al cibo buono.
posso dire anche la mia? posso chiedervi una cosa? a me nel contratto c’era scritto editing e correttore di bozze. bene il mio libro è uscito con refusi. io lo sto sponsorizzando comunque. ma mi spiegate perchè i correttori di bozze non fanno il loro lavoro? secondo non ci rimette l’autore, ma secondo me un libro corretto male danneggia la casa. mi è stato risposto che non essendo più soldi, perchè lo stao non finanzia più la cultura, loro non posso permettersi due correttori allora c’è solo un correttore che legge il libro una volta e lo manda in stampa. mi rispondete anche a questo?