Due, fra le molte, sono le cose che mi colpiscono sul femminicidio di Sara Di Pietrantonio.
Prima: il testacoda etico sugli indifferenti che non si fermano, attuale bersaglio mediatico on e off line. Due giovanissimi, da quanto è dato capire, che peraltro non avevano visto, a quell’ora e in quella strada, la ragazza in fuga ma due ragazzi che discutevano. Forse. E comunque. Il punto non è “la gente cattiva non si ferma”. Il punto è: ancora una volta all’abbandono da parte di una giovane donna segue l’annientamento, l’assassinio, la distruzione.
Seconda: la convinzione che ci siano categorie maschili predisposte al femminicidio, o che comunque si trovano immerse in una cultura più maschilista di altre. E comunque. Il punto non è “l’assassino è una guardia giurata”, ma “l’assassino ritiene che il proprio legame con una donna sia riducibile a cosa, e quando quella cosa gli viene sottratta, la distrugge”. Qualcuno, ieri, ha addirittura scritto che chi fa un’attività artistica non uccide. Balle e straballe. Un solo esempio su tutti, ripreso da quanto abbiamo scritto Michela Murgia e io (no pubblicità, chi lo conosce lo conosce e chi no amen). E’ il 2003:
“Dai quotidiani si apprende che Marie Trintignant, attrice e figlia illustre, è stata ricoverata in coma a Vilnius, Lituania, dove stava girando un film su Colette: a ridurla male (l’eufemismo è per una faccia spappolata e un cervello quasi spento) è stato il compagno, Bertrand Cantat, rockstar, leader dei Noir Desir, amico di Manu Chao, simbolo della ribellione anni Novanta, impegnato a favore dei sans papiers. Le sue medaglie vengono enunciate al lettore mentre di Marie viene invece sottolineata la vita privata “molto irrequieta”, i quattro figli da tre padri diversi, l’aver dato volto, al cinema, a donne inaffidabili e fuggitive, “fuori di testa, con grande esperienza di vita e molto crudeli”, come Betty nel film omonimo di Chabrol. Cantat, che viene raccontato in preda alla disperazione (“la sua salute psicologica è fragile, ha bisogno di aiuto”, implora il suo avvocato) . dichiara che si è trattato di un incidente, che lei è scivolata in terra dopo uno schiaffo e ha battuto la testa. Che è stata “una follia, e non un crimine”. L’autopsia su Marie dirà che è morta per essere stata colpita più e più volte, per “fratture e schiacciamento delle ossa del naso, lesioni cerebrali e traumatiche del viso, emorragia dei nervi ottici”. Eppure, il quotidiano Liberation scriverà di Cantat: “Un amico non può cessare di esserlo di colpo, anche se ha tradito. Dobbiamo avere compassione per lui”. Compassione, e sconcerto, anche tra i fan. Possibile che un uomo colto, impegnato, militante, uccida a pugni la propria compagna? Possibile, e non sarà il solo”.
I femminicidi non hanno censo, non si legano al nascere e vivere in ambienti disagiati economicamente o culturalmente. Pensare che si tratti di casi circoscritti significa semplicemente allontanare il problema. Significa dire “a me non accadrà mai”. Invece può accadere, eccome. Perché esiste uno spirito del tempo che ci rende mostruosamente fragili, ed è in quella fragilità che va ad insinuarsi tutto quel che di tossico abbiamo, gli uomini – ma anche le donne – respirato in decenni di distrazione, chiamiamola così.
Come scriveva ieri Michela:
“C’è un rifiuto da parte di molti ad accettare che il maschilismo esista e faccia ogni anno decine di morti. Negarlo però è un modo per continuare a pensare che quelle morti sono tutti raptus, tutti gesti inconsulti, tutte eccezioni, e non la norma di una mentalità che ci appartiene da secoli. Poi c’è la resistenza ai programmi scolastici di educazione contro gli stereotipi di genere: a dire cos’è un uomo, cos’è una donna, come è amore e come si dice addio si impara, ma in Europa i soli paesi che non lo insegnano sono l’Italia e la Grecia. Disastrosa è anche la leggenda che esista una “Famiglia Naturale” con ruoli maschili e femminili immutabili, e quindi guai a chi sottrae. Infine, ma non certo per importanza, c’è il vergognoso taglio dei fondi ai centri antiviolenza, gli unici luoghi dove le donne trovano consiglio e rifugio”.
Quest’è. Poi, certo, domenica si vota e c’è un sacco di gente che si affanna a dire che “ben altri” sono i problemi. Ben altri. Già.
Ps. C’è una terza cosa, in effetti. La tendenza a responsabilizzare le madri. Colpa delle madri. Solo le madri. E i padri? E la famiglia intera? E il modello maschile che si respira?
Credo siamo a un punto di svolta. Ora che le transizioni sono la regola o ci mettiamo tutti in discussione, ma proprio tutti, e insieme, o non ci potrà essere alcuna nuova umanità da riscoprire o umanesimo nuovo che dir si voglia. E non ci sono figure specifiche a cui affidare simile compito. Tutti siamo dentro alla transizione, dala testa ai piedi, perché la svolta, il cambiamento si compia. Per come la vedo io è un processo di consapevolezza della comunità, non solo degli individui, perché specchiandoci nei continui fatti di violenza perpetrata ancora, in molti modi, si concepisca un diverso modo di potere.