PUNTIGLI

Seccatrice. Rompiscatole. Pignola. Noiosa. La vocina nella testa me lo ripete mentre salgo le scale della metropolitana dopo aver guardato il manifesto di Noino,  campagna per la sensibilizzazione contro la violenza sulle donne. Uomini che si rivolgono ad altri uomini. Uomini famosi e no. Che prendono la parola. Che dicono che non è così che funziona.
E allora, benedetta donna, cosa vuoi di più?, insiste la vocina. Non era quello che si riteneva necessario? Possibile, davvero, che su ogni azione tu debba trovare il dettaglio sbagliato, e focalizzarti su quello? Va bene che il diavolo è nei dettagli, ma tu esageri.
Esagero, la vocina ha ragione. E’ che non riesco a mandar giù il logo della campagna, quello che appare sulla O di NO. Una figurina di donna stilizzata con fasciatura sulla testa e braccio al collo. Lo so, non è che la rappresentazione di una realtà purtroppo diffusa. Però, mi fa star male, e provo a pensarci su.  Mi vengono in mente le parole di Michela Murgia su un’altra campagna, rivolta alle donne. Questa è rivolta agli uomini. Ma quella piccola donna a pezzi, a me, fa risuonare un sottotesto, e il sottotesto è “non vorrai mica ridurla così?”. E non mi piace. Perchè il sottotesto che vorrei è “cosa ti ha portato a comportarti così?”.
La campagna è importante, è seria, fa bene. E la mia voce nella testa ha ragione.  Però continuo a sentirmi a disagio. Nei prossimi giorni sarò in alcune città a parlare di L’ho uccisa perché l’amavo (Genova, Poggibonsi, Bari, Aosta, da qui al 30 novembre). Ho dovuto dire no a decine di inviti, alcuni dei quali rivoltimi in queste ore, per il 25 novembre. Come se “mancare l’occasione” della giornata contro la violenza sulle donne equivalesse a una brutta figura, paragonabile a non organizzare una tavola rotonda femminile per l’8 marzo. La voce nella testa dice, e ha ancora una volta ragione, che parlarne è indispensabile, e che solo parlandone le cose cambieranno, e quello che si sta pagando ora è il prezzo dovuto quando i discorsi escono dalla nicchia e arrivano al grande pubblico.
Ma desiderare che arrivino con le parole e le immagini giuste è così sbagliato? Desiderare che oltre alle celebrazioni del 25 novembre ci sia, ogni giorno, educazione, formazione, attenzione che escano dall’indignazione rituale e dal “brand” del femminicidio è sbagliato? Desiderare che una questione venga SENTITA e non sposata fra le mille altre è sbagliato? Desiderare che anche al femminicidio si applichi la riflessione fatta a proposito del razzismo (presa in carico del problema e non semplice automatismo) è sbagliato?
Forse, dice la vocina, e io mi arrendo. Sono seccatrice, rompiscatole, pignola e noiosa. Concludo ricordando che sul sito di Zeroviolenzadonne c’è una bella frase di Simone De Beauvoir: “Non si trasforma la propria vita senza trasformare se stessi”. La interpreto pensando che nessun mutamento sociale avviene senza che chi fa parte della comunità venga chiamato in causa fino in fondo. E, già che ci sono, vi ricordo di sostenere Zeroviolenza, perché senza staremmo peggio.

5 pensieri su “PUNTIGLI

  1. Cambiare il mondo è quasi impossibile
    Si può cambiare solo se stessi
    Sembra poco ma se ci riuscissi
    Faresti la rivoluzione
    (Cambia-menti V.Rossi)

  2. Per fare le cose bene occorre essere precisi e pignoli. L’importante è distinguere le situazioni in cui è necessario esserlo, da quelle in cui si può lasciar correre. Il tema della violenza sulle donne non è, a mio giudizio, uno di quelli sui quali si possa lasciar correre.
    A me, per esempio, disturbano due dettagli del video “Lella” de L’Orchestraccia. Lo trovate qui: http://video.repubblica.it/dossier/femminicidio/l-orchestraccia-canta-lella-rock-contro-il-femminicidio/145865/144385?ref=HRESS-16
    Il primo: sono rappresentate, tra le altre, le donne che in seguito alle violenze diventano disabili. Giusto, corretto. La violenza è spesso causa di disabilità. Ci si è però dimenticati di rappresentare le donne disabili che subiscono violenza: non ci sono dati ufficiali, ma è stato ampiamente documentato che le donne disabili (soprattutto, ma non solo, quelle con disabilità psichica) sono più esposte a violenza delle altre donne. Sono di più, ma sono raccontate di meno.
    Il secondo: è corretto che la donna divenuta disabile in seguito alla violenza “si liberi” simbolicamente dalla sedia a rotelle (nello stesso modo in cui le altre donne “si liberano” dall’occhio nero, dalle cicatrici, ecc.). Ma quella sedia a rotelle lasciata sola sulla scena finale diventa il simbolo unico della violenza sulle donne. Peccato che per le persone con disabilità essa sia invece uno strumento di autonomia, e che quello stigma negativo che accompagna da sempre le sedie a rotelle talvolta si estenda anche a chi la utilizza. E se provassimo a smettere di rappresentare le sedie a rotelle in modo negativo? Se trovassimo altri simboli per rappresentare la violenza?
    Come vedi, cara Loredana, quanto a pignoleria, sei in buona compagnia:-)
    Ti abbraccio
    Simona

  3. Cara Loredana, rispondo alle tue riflessioni sulla campagna noi no per diversi motivi: la simpatia e la stima che ho per te, il piacere di esprimermi sulla tematica che sollevi, ed il fatto che le promotrici su Roma della campagna siamo noi di BeFree. Noi che, come sai, ci battiamo da tempo per una narrazione non convenzionale della violenza contro le donne. E peccato che tu non fossi a Roma venerdì scorso, al nostro convegno “Per aiutare davvero la ragazza che sbatte nelle porte”, dove le nostre elaborazioni hanno ottenuto considerazione ed ampiezza di riflessioni da parte di politiche intellettuali operatori e operatrici Dei servizi territoriali anche a partire dal mio libro “Seduzioni d’amore – per una narrazione non convenzionale della violenza contro le donne”. Appunto.
    E tu sai che la nostra critica spazia in tanti ambiti: quello delle leggi, quando sono improntate ad una idea securitaria e disattente alla dimensione strutturale della violenza di genere; ma anche alle modalità della accoglienza alle donne che la subiscono, spesso rivittimizzante e basata su stereotipi. E siamo anche quelle che, su richiesta delle Comunicattive di Bologna, abbiamo proposto al Comune di Roma NoiNo. Portando a casa, insperatamente, anche l’adesione della Regione Lazio, ed una evidenza mediatica che neanche osavamo sperare. Sollecitate dalle tue critiche cortesi ci sentiamo di dirti che NoiNo ci piace. Perché chiede ai uomini di prendere parola e di metterci la faccia. Ed il fatto che diversi di loro siano famosi produce un effetto straniante rispetto alle costruzioni identitarie maschili consuete. E questo è, a nostro parere, cosa buona, perché la violenza contro le donne è essenzialmente un problema degli uomini, ed è ora di dirlo. Poi c’è quella donnina stilizzata nel cerchio della O chi ti sollecita la curiosa vocina perplessa che descrivi. Ebbene, quella mutilatina ha per me tutto un altro significato. È una sorta di avatar femminile, non ha connotati, e’ chiaramente un simbolo. Per me, evoca l’immagine antica del soldato che torna a casa dopo vicende che hanno visto rifulgere il suo valore, che l’hanno offeso nel corpo senza distruggerlo. O addirittura quello che, fischia il vento e infuria la bufera, torna a casa da fiero vincitor… Insomma, quella immagine parla di resilienza. Non donne definite e ritratte con le mani alzate, con i lividi e le ferite, mentre un uomo onnipotente e invisibile le picchia. Non donne ritratte in modo tale da essere ancora più vittimizzate ed esposte all’offesa di un’ inutile e ipocrita pena. Per questo c’è piaciuto NoiNo e l’abbiamo promossa. Perché tra pragmatica, educativa, ironica, non fa sconti a nessuno, e blocca i maschi sul margine di domande che li
    debbono attraversare, imponendo loro di immergersi dentro al mistero che spesso il loro io rappresenta. Posso dirti che i maschi si mettono in fila per farsi fotografare con i materiali della Campagna, che ci chiamano per diventare testimonial. Ora io non so spiegarti il complesso di cose che può spingerli a farlo non so farlo nè voglio farlo. Ma sento dentro di me che tutto questo potrebbe potrebbe da qualche parte e in qualche luogo che mi sento autorizzata a pensare positivi. .

  4. Cara Loredana,
    ci teniamo a risponderti (come Comunicattive) perché stimiamo molto il tuo lavoro. Ci spiace che il tuo post si concentri solo su quel particolare e non sul complesso della campagna, che è una delle prime che non mette in primo piano l’immagine di una donna vittimizzata (come hai giustamente detto la donnina è un dettaglio, fortemente stilizzato e fumettoso, proprio per distinguersi dall’occhio pesto e per comunicare un’immagine di resistenza, come giustamente dice Oria), ma la faccia degli uomini, quella faccia così invisibile nella comunicazione sociale sulla violenza di genere. Una delle poche che si concentra sulla violenza psicologica, snocciolando il vocabolario della violenza per far capire che violento non è solo chi picchia, stupra o uccide, e che la violenza riguarda i comportamenti quotidiani. Tu dici: Ma desiderare che arrivino con le parole e le immagini giuste è così sbagliato? Noi siamo convinte che umiliare, minacciare, spiare, tormentare, perseguitare, controllare, isolare siano parole giuste per descrivere quello che della violenza non si vede, e che ancora di più oggi con l’uso distorto del termine femminicidio rimane in ombra. Rispetto il tuo parere, ma ti chiedo di approfondire il lavoro che abbiamo fatto, perché davvero lottiamo ogni giorno contro gli stereotipi comunicativi sul tema della violenza, abbiamo coinvolto migliaia di persone e di uomini soprattutto, a discutere di violenza, molto prima che il femminicidio diventasse un brand. NoiNo.org non è frutto di “indignazione rituale”, ma della volontà di una fondazione coraggiosa (la Fondazione del Monte di Bologna) che ha deciso di investire su questo tema parlando agli uomini, quando ancora pochissimi media parlavano di violenza, nasce dall’unione del lavoro di professioniste/i della comunicazione che hanno ben presente gli stereotipi, tra cui appunto noi, un gruppo di donne che da ormai un decennio ragiona sull’aspetto mediatico della violenza e sui rischi degli stereotipi che rappresentano le donne come vittime e gli uomini come mostri. Proprio in questi giorni stiamo concludendo un progetto nelle scuole a Bologna in cui abbiamo mostrato tante campagne antiviolenza e ragionato con i ragazzi su questi stereotipi, cercando di stimolare la loro creatività… e grazie a Roma Capitale e Regione Lazio che hanno condiviso il senso profondo di questo progetto la campagna può ora parlare a tantissime persone. Spero che avrai modo di navigare il sito e la pagina facebook di noino.org, e ti chiedo se davvero quel piccolo dettaglio rende ai tuoi occhi questa campagna uguale a tutte le altre.. Rispetto alle parole con cui chiudi il tuo post, ti assicuro che noi la questione la sentiamo parecchio, non la sposiamo tra mille altre, l’abbiamo presa in carico e ci lavoriamo ogni giorno, facendo quello che tu invochi: educazione, formazione, attenzione. E, aggiungo io, lotta politica.

  5. Elisa, Oria. Ho scritto che la campagna è importante e che è bene che sia stata avviata. Ma, trattandosi di argomento delicatissimo in una fase dove il brand, comunque, è ormai tale, trovo anche corretto esprimere le mie riserve. Buon lavoro!

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