ANATEMA LAICO

C’è un racconto di Ray Bradbury,The Scythe, dove un uomo riceve una terribile eredità che inizialmente non comprende: una falce, come da titolo, e un appezzamento dove il grano cresce in modo discontinuo, e soprattutto marcisce appena viene tagliato. In cambio, avrà casa, animali, cibo per la propria famiglia. L’uomo, dunque, falcia, e il grano ricresce, velocissimo, e marcisce, e ricresce. Ogni giorno. Infine, l’uomo capisce che ogni spiga tagliata è una vita, e che è lui a dovervi porre fine. E quando si troverà costretto a tagliare quelle di sua moglie e dei suoi figli, impazzisce e distrugge più spighe che può, verdi o mature non ha importanza. Allora, le bombe piovono su Londra e si accendono i forni di Belsen, e il grano cade in una pioggia di lacrime. Ma lui non si ferma.
The Scythe mi torna in mente pensando all’odio e a quanto l’odio sia divenuto la nostra condizione esistenziale e la nostra condanna. Giù la falce, colpisci e attacca, tutto e tutti, fingendo di riderne o provando a balbettare una motivazione. Questo mi torna in mente, quella pioggia di spighe e sangue. E questo sarà un post che parlerà di sangue, e anche di lacrime, e di chi usa sangue e lacrime per i propri fini.
L’ultima in ordine di tempo a essere colpita dalla valanga di odio è Lidia Ravera, di cui chiedono le dimissioni No Choice e laici di ogni sorta, furbetti e furbette, politici e tricoteuse della rete, tutti coloro che hanno conti in sospeso con lei, o con i femminismi, o con la propria stessa vita, non ho idea e non mi interessa.
Dovrei ricapitolare tutta la vicenda, e un po’ tentenno, perché il discorso di partenza mi sembrava molto semplice, ma si è andato gonfiando come una vela, fino a stravolgerlo, quel punto di partenza, che poi è la decisione di Matteo Renzi di dedicare un’area del cimitero ai bambini non nati, o meglio di sistematizzare e ufficializzare e aggiornare, magari proprio adesso, il regolamento che la prevede, perché la possibilità di seppellire i bambini morti in utero o venuti al mondo già morti esiste già, e io lo so, e fra un po’ vi spiego anche perché.
Ora, quella decisione di Matteo Renzi si adombra immediatamente di veleni politici, e questo dimostra quanto sia divenuta tossica la discussione sui partiti e soprattutto sul Pd. Essendo cane sciolto, come il commentarium sa, e un cane che dopo la vicenda Rodotà e quella del DL femminicidio non voterà Pd neanche se si candidasse a guidarlo Stephen King, mi auguro di poter prendere la parola su questo senza ricevere accuse di sostenere questo o quest’altro aspirante premier. Gli altri interventi sul punto (le donne Pd, Marina Terragni, la stessa Ravera) sono stati letti in questa chiave. Ma quello che Ravera ha scritto è stato distorto fino a farla sembrare una sprezzatrice dell’altrui dolore, una che vuole seminare le vie delle città di neonati insepolti. Cosa ha detto, dunque? Ha fatto riferimento allo splatter di chi chiede a gran voce, e non parliamo dei genitori ma dei movimenti che fingono di supportarli,  i cimiteri dei non nati.
Splatter. Wikipedia, dai, è facile. Nel cinema si definisce così quel sottogenere horror basato su scene con schizzi di sangue, (to splat) e lacerazione di corpi, con conseguente fuoriuscita di interiora.
Ora lasciatevi condurre su un social network. Guardate cosa postano, i seguaci di Luca Volontè, di Olimpia Tarzia, i Movimenti che si autodefiniscono per la vita, i singoli fanatici. Guardate , se potete.
Fanno come hanno sempre fatto, solo che un tempo usavano i manifesti e i volantini, e bambolotti coperti di vernice rossa da tirare addosso alle donne che vanno nei consultori, o da mostrare a chi ha abortito, e ora usano la rete, che è più veloce ed efficace. Perché non è importante leggere l’articolo originale di Lidia, basta un pio virgolettato. Guardate, guardate cosa fanno. Postano fotografie di feti fatti a pezzi, un piedino di qua, la testa staccata dal corpo di là. Usano come avatar il profilo di un bambino morto. Ti sbattono in faccia sangue e orrore, e urlano. Quanto urlano, i Luca Volonté, le Olimpie Tarzia, i Movimenti per la vita, coloro che sembrano parlarti appunto di vita, e invece grondano violenza da ogni sillaba.
Non sono splatter? Accidenti, se lo sono. Trasformano in spettacolo sanguinoso ciò che è scelta privata, dolore privato. Calano la falce, e la fanno sanguinare. Dai, un braccino, guarda bene, un piede, guarda questa testolina decapitata. Lo fanno. Non serve segnalarli. I social rimuovono le tette e non un feto in pezzi. Dunque continuano, in nome di Dio. Un Dio che immagino sgomento, se esiste. Non credo che nessuna religione al mondo possa giustificare tutto questo. Nessuna, a meno che ci sia non la fede dietro, ma un’oscuro desiderio di annientamento altrui, la voglia pruriginosa di sentirsi, attraverso l’orrore, i giusti che purificano il mondo nelle fiamme.
Ora. Si può dissentire o meno sulle parole usate da Lidia Ravera. Non è affar mio. Non faccio le pulci agli scritti degli altri. Ma partire da qui per scatenare questa corsa del branco affamato è cosa davanti alla quale non riesco a tacere.
Dunque, prendo la parola.
Prendo la parola anche per un altro motivo, e non solo per solidarietà assoluta nei confronti di Lidia. Leggete le critiche che le rivolgono, su twitter o facebook. Vertono tutte sullo stesso punto. Le donne che hanno perso un figlio sono offese e ferite. Eccomi, è successo a me, dimissioni. Come osa, attacca le donne, dimissioni. Certi arrivano oltre l’immaginabile: ti auguro che ti muoia un figlio, dimissioni. Certi altri  ne approfittano per dire eh eh io sto con Renzi, dimissioni: e sono le mezzetacche che stanno saltando di gran carriera sul carro del presunto vincitore, ci scappasse uno strapuntino. E ancora, giù sul pedale della ferocia straziata. Croci con l’orsacchiotto. Giocattoli su piccole tombe. I nomi dei bambini morti.
Qui, non ce l’ho fatta più a tacere, perché ho provato una rabbia inestinguibile, signori che vi dite Pro Life (che raccogliete firme e organizzate concorsi nelle scuole, nel frattempo, ebbri di odio).
Perché io sono una di quei genitori che ha perso non uno, ma due bambini. 1985, il primo. Si chiamava Gabriele. Un’emorragia ha devastato il mio ventre al settimo mese di gravidanza. Stavamo morendo entrambi. Lui è vissuto sette giorni. Non ho mai visto il suo volto, non ho voluto. So che aveva i capelli rossi. 1986, il secondo. Si chiamava Andrea. Gravidanza monitoratissima, ma un nuovo distacco di placenta all’ottavo mese lo uccide, si perde il battito, secondo cesareo d’urgenza. So che aveva i capelli neri.
Gabriele e Andrea sono stati sepolti senza alcun problema. Gabriele riposa insieme a mia nonna, in un loculo di Prima Porta. Andrea, in una parte dello stesso cimitero dove sono i bambini morti alla nascita o poco prima. Questo, ripeto, nel 1986. Non ho dovuto né pregare né supplicare: la sepoltura, già allora, era un atto dovuto. Un atto dovuto, ripeto. Non c’è alcun bisogno di alzare la bandiera del diritto. Quel diritto c’è. Seppellite i vostri piccoli senza fare di chi avete amato un vessillo. E’ vostro, lo avete amato, lo avete aspettato e non c’è più, o non c’è mai stato. Ma questo non deve essere l’arma contro gli altri. Il dolore non è un’arma. Non deve esserlo.
Invece, nell’orrore in cui ci stiamo trasformando, sembra che sia necessario, per essere autorizzati a parlare, esibire il proprio dolore. Mostrare le mani macchiate di sangue, strapparsi i visceri e arrotolarli attorno ai polsi come braccialetti votivi. Guardatemi, mondo, leggetemi. Sono una madre orbata. Sono una madre che soffre. Quindi, ho diritto di parola. Questo mi sento costretta a fare, e allora lo faccio: a esibire il mio antico dolore come un ornamento, a salire su quel disgustoso altare che volete costruire intorno al lutto, soprattutto a quello delle  donne. Guardatemi, lo sto facendo.
Lo faccio e dico:  vergognatevi. Voi. Luca Volonté, Olimpia Tarzia, Pro Life o No Choice, voi associazioni laiche che chiedete il cinque per mille, ginecologi, psicologi, aspiranti scrittori o scrittori da quattro soldi, furbette e furbetti. Vergognatevi. Non vi permettete di parlare in mio nome e di dire che Lidia Ravera ha offeso tutte le donne che hanno perso un figlio. Il mio lutto è mio. Non vi appartiene e non permetterò a nessun avvoltoio di trarne profitto per le proprie crociate. Del resto, è scritto anche nella vostra religione: “Se qualcuno afferma che l’empio è giustificato dalla propria fede, sia anatema”.
Vergognatevi, e curate il vostro cuore prima che marcisca, come le spighe di Bradbury.

59 pensieri su “ANATEMA LAICO

  1. Chiedo scusa, credevo che fosse partito un mio primo commento, in cui ringraziavo di cuore Loredana Lipperini per aver condiviso quanto scrive, a maggior ragione perché immagino quanto le sia costato farlo con una platea di egregi sconosciuti. Ora vedo che anche Ravera racconta parte del suo privato, per spiegarsi meglio.
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    Purtroppo il clima che si respira su questi argomenti in Italia è particolarmente velenoso e per questo comprendo le reazioni rabbiose – come è stata quella di Ravera a mio parere – dettate dall’esigenza di difendere il proprio diritto a non vivere un sentimento di lutto, quando esistono movimenti di opinione “proLife” che vogliono importelo.
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    Preciso che non mi sto riferendo all’associazione CiaoLapo, che conosco da tempo e che mi è sempre sembrata molto seria, accogliente e non giudicante, ma purtroppo gli avvoltoi “proLife” hanno colto la palla al balzo, diffondendo un discorso per cui tutte le donne si sentono in lutto, che la donna normale si sente in lutto (altrimenti è un mostro, ça va sans dire), e che esiste un solo modo per vivere il lutto.
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    Immagino che sia normale pensare che tutti abbiano le stesse nostre reazioni di fronte a un evento, lo fa anche Ravera, ma su questo punto inviterei gli attivisti a riflettere, perché ho letto anche nel loro forum i racconti di donne che hanno scelto un’IVG e che raccontano i maltrattamenti subiti dal personale, e scommetto quanto volete che questa polemica renderà ancora peggiore il clima già pesante che si respira negli ospedali…
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    Invece, se posso permettermi una critica nel merito al corsivo di Ravera, quello che si capisce da quanto leggo è che lei pur essendo assessora non conosce la normativa nazionale vigente riguardo alla prassi sulle sepolture di embrioni e feti. A quanto capisco cioè, la polemica è montata sulla decisione dell’amministrazione Renzi di applicare la normativa vigente nel comune di Firenze. Il che diciamocelo, dice parecchie cose su come stiamo messi in materia di laicità.

  2. Confesso una certa carenza informativa in materia e quindi mi scuso in anticipo, nel caso finissi per dire qualcosa di fondamentalmente sbagliato. Però ci sono alcune cose che proprio non ho capito, e quindi condivido la mia riflessione. Invitando ovviamente chi ne sa di più a correggermi. Temo di spararla grossa, ma la dico: non ci sarebbe niente di male nel concedere a chi lo vuole di tumulare un embrione anche di pochi giorni. A chi lo vuole. E questo, in teoria, farebbe il regolamento di Renzi. Però mi chiedo: perché un’area specifica del cimitero e non la tomba di famiglia, che quasi tutti hanno dal momento che sfido chiunque a dire che non ha nessuno sotterrato al cimitero? E siamo sicuri che poi questa possibilità non diventerebbe l’ennesimo randello nelle mani dei pro-life (come se invece io fossi contro la vita) per vessare e torturare donne prossime all’IVG agitando i loro già turbati sonni con il senso di colpa per la mancata sepoltura del “prodotto abortivo”, come lo definisce la delibera di Renzi a cui però nessuno fa le pulci come si fa invece con i “grumi di materia della Ravera”? Dubbi come i miei, che in Italia sono legittimi, provano solo una cosa: che il dibattito intorno alla maternità, alla genitorialità e alla sessualità è stato avvelenato e reso impossibile dai movimenti per la vita, e solo da loro. Il loro integralismo, il successo che hanno avuto nell’imporre (non trovo un altro termine) e rendere conveniente in termini di carriera l’obiezione di coscienza, la lotta senza quartiere contro la 194 hanno messo sul chi vive quanti tengono alla libertà di scelta e alla laicità dello stato. E’ loro, e soltanto loro, la colpa di questo stato di cose. Per cui non vengano adesso a lamentarsi della levata di scudi contro quella che, nella loro vulgata, è niente più che un’opzione concessa a famiglie addolorate: quell’opzione in più si tinge di un ben preciso significato politico, nel paese che vuole togliere alle donne il diritto all’IVG. A meno che non riconoscano, gli stessi no-choice, che anche i matrimoni tra persone dello stesso sesso sono nient’altro che un’opzione in più offerta a persone che si amano, senza nessuna esternallità negativa sulle famiglie tradizionali. Ma in questo caso, chissà come mai, loro non ci credono alla lettera della proposta. In questo caso sono loro a denunciare il contenuto politico dell’iniziativa. Contenuto politico che, a quanto sembra, appare e scompare come i conigli dei prestigiatori, a seconda delle convenienze. Provino a darsi una calmata, questi violentissimi alfieri della vita; provino a smettere di sobillare e condizionare un paese intero e il suo sistema sanitario. E vedranno che li potranno avere, i loro orticelli per embrioni. Senza nessuno che gli rompa i coglioni.

  3. Grazie, Loredana, per questo bellissimo pezzo, che mi ha commosso per ragioni personali e condivido fino in fondo. Grazie per la generosità e la lucidità.

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