PUNTO DI ROTTURA

Mediterraneo, il film diretto da Gabriele Salvatores nel 1991, aveva in epigrafe una frase di Henri Laborit: “In tempi come questi la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare”. Poco prima, uno dei personaggi diceva: “Non si viveva poi così bene in Italia, non ci hanno lasciato cambiare niente… e allora gli ho detto… avete vinto voi, ma almeno non riuscirete a considerarmi vostro complice…. così gli ho detto, e son tornato qui.”
Parole che mi sono tornate  in mente poco fa, mentre ripensavo a quanto è accaduto ieri e nei giorni precedenti.
Non una cosa da nulla.
Avevo già scritto, in vari post, come sulla questione di classe (che è ora di tornare a chiamare con il suo nome) il movimento delle donne avrebbe conosciuto un momento di necessaria chiamata alla chiarezza. Questi sono tempi in cui è impossibile non prendere una posizione netta, in cui la varietà e differenza dei pensieri che si incontrano nel movimento avrebbe comunque dovuto confluire in un intento comune. In difesa delle più deboli che ancora più deboli stanno diventando, in difesa di diritti che vengono considerati non prioritari rispetto alle necessità economiche.
Quanto è accaduto a Torino e Firenze ha accelerato il processo, riportando clamorosamente in primo piano proprio la questione dei diritti, la questione del razzismo, la questione dell’antifascismo soprattutto, fin qui sopita, edulcorata, resa fenomeno di costume. Esattamente come la questione femminile, negli ultimi mesi, è diventata, che lo vogliamo o no,  fenomeno di costume.
Festosamente rosa, festosamente non corrosiva, irrilevante, salottiera.
Non è questo che sognavo, e con me molte altre donne. Certo, gli obiettivi comuni ci sono, e tali restano. Ma in questo momento non so come sia possibile pensare di perseguirli insieme laddove al dialogo e all’approfondimento si oppone la criminalizzazione, se a un’analisi sull’antifascismo si risponde con “merde” e “mentecatte” e “nuove barbare” o paventando, come sa chi ha seguito la discussione di ieri, il solito gruppo anarco-qualcosa che scatta come un sol uomo inseguendo bersagli improbabilissimi.
Quel che ci fa paura,  quel che non ci fa dialogare, è quello che non vogliamo vedere e capire. Liquidare il discorso sulla cosmesi del neofascismo come foriero di terrorismo significa averne paura. Sviare il discorso sui tagli alle pensioni parlando del femminile politico significa averne paura.
Io mi chiedo, vi chiedo: siamo capaci davvero, finita l’utilizzazione politica del movimento in esclusiva chiave anti-berlusconiana, di andare avanti per la stessa strada? Siamo capaci di non farci, ancora una volta, branco e di colpire nel mucchio, ciecamente,  perchè l’amichetta simpatica, la collega sempre sorridente, ci ha invitato a farlo? Siamo capaci di percepire i problemi reali delle donne invece di raccontarci, sui giornali, nei libri, sulle bacheche Facebook, che le donne sono migliori?
Siamo capaci di autocritica?
Io non lo so. Sono, in questo momento, amareggiata e pessimista come non mai. Non è tempo di fuggire: è tempo di essere oneste, fra noi, dentro di noi.

33 pensieri su “PUNTO DI ROTTURA

  1. Loredana,
    il pericolo del festosamente rosa, della confusione nel post-berlusconismo erano esattamente le perplessità di chi non si è sentita coinvolta da “Se non ora quando”. Non per via della teoria delle Mammasantissime del femminismo, solo una questione di istinto. Pure quelle di cp sono donne, no? pure la Fornero… ed io qui in mezzo che ci faccio?

  2. Cara Loredana,
    mi ritrovo molto nelle domande che poni in questo post. Vorrei nello stesso tempo rispondere subito, con l’urgenza e la sintesi comunicativa che il mezzo consente e richiede, e nello stesso tempo darmi più tempo per riflettere. Ero bambina negli anni settanta e sono cresciuta, politicamente parlando, negli anni ottanta. Sulla mia generazione, maschi e femmine, ha pesato l’eredità, la paura della violenza politica e anche la difficoltà di comprendere le ragioni e il contesto storico del passato recente e del presente. Chi non ha trovato oblio e rifugio nella crudele ed allegra abbuffata affluente che stava silenziosamente sgretolando, prima ancora che fosse davvero visibile, diritti e un sentire comune è stato spesso isolato e afono. Mi riconosco profondamente nelle ragioni di una nonviolenza che mi ha insegnato molte cose sulle radici e i meccanismi profondi ed occulti del potere, così come ha fatto, per me, il femminismo.
    Faccio fatica a ritrovarmi in uno spazio politico che ho pensato per molto essere il mio ma che ho sentito progressivamente sempre più cieco e sordo a diverse cose: al peggiorare drammatico delle condizioni di vita e convivenza, alla profonda crisi ambientale e di risorse e alle politiche repressive e di rapina messe in atto a livello planetario per scaricarla sul 99% (per semplificare e capirci), alla ricerca di un “altro mondo possibile” per dirla ancora con uno slogan.
    Sono grata a chi tiene aperto uno spazio di discussione libera – sul web accade, nonostante io non condivida la retorica della rete e sia consapevole di quanta pericolosa schifezza ci sia in giro.
    Se cessiamo di prendere distanza anche da noi stessi, di guardarci e guardare al linguaggio che usiamo, allora, come scrive Luigi Zoja in un suo bel libro, la paranoia, che è contagiosa e capace di grande mimetismo, ci trascinerà rovinosamente a valle come una valanga che si alimenta di se stessa. Certo, è estremamente faticoso, ma fa parte del dubbio “privilegio” di avere una cervello complesso e funzionante.
    Davvero, viviamo in tempi bui. E non abbiamo messaggi da lasciare a chi verrà dopo di noi.
    Paola

  3. Per punti poi corro via
    1. Io concordo con gli obbiettivi di fondo che tu persegui ma penso che vada riconfigurata la terminologia, perchè la terminologia influenza le proposte politiche che si fanno: classe non so se va bene, e se va bene per esempio va radicalmente ridefinita, perchè se la prendi di peso per come era usata prima rivela una forte inadeguatezza alla stratificazione sociale di ora e ai casini che presenta – come tante volte il dibattito qui ha dimostrato.
    2. Sulla questione della discussione di ieri e il sequel di oggi – anche qui la categoria fascismo boh, tu e le persone con cui ti trovi più
    in sintonia – per esempio Girolamo i Wuming, la usate in un modo che per certi versi trovo efficace, per altri confusivo – e che trovo rischi di mancare di aderenza alla realtà. Non sono poi molto convinta che sia possibile liquidare un processo storico composto da tante tranche come pura cosmesi. Tutto questo non mi convince, e non è l’unità degli intenti tra donne che mi possa per questo far condividere l’impostazione di Femminismo a Sud quanto meno su questo aspetto di analisi dei fenomeni recenti, o almeno del linguaggio utilizzato. Allora questa discussione mi fa chiedere: non bisognava segnalarlo? Non era lecito farlo in virtù dell’unità degli intenti? E’ lecita la posizione di chi critica un’altra femminista o un gruppo di femministe? Non ci prendiamo noi questo stesso diritto verso Terragni spesso e volentieri? (Io almeno per certo, non mi piace quasi sempre e rivendico l’importanza di farlo).
    3. Quindi penso – c’è da prendere proprio atto di posizioni politicamente diverse, e non trovo giusto usare la questione femminista per delegittimarle perchè questo non è democratico e lede la questione medesima. Si prende atto delle differenze e delle possibili coagulazioni e si lavora per una rete a maglie larghe, con coagulazioni mobili e provvisorie. Ma se speriamo che le femmine sono tutte uguali e usiamo lo scopo femminista per chiedere l’omologazione a un unico progetto politico, sotto sotto legittimiamo l’idea di un femminile poco strutturato non so se mi spiego.

  4. sì, sulla trasvresalità: da un bel po’ penso chela trasversalità femminile sia un potente strumento di azione politica quando è riconoscimento di una comune esperienza di un mondo tuttora pensato e costruito al maschile , ma che possa e debba trovare un suo limite, in senso positivo, nel riconoscere nello stesso modo che le stesse donne, come genere indifferenziato , sono anch’esse state pensate dagli uomini. Le donne sono diverse, fra loro, hanno diverse opzioni politiche a prescindere dal fatto che siano, come dice una mia cara amica, “portatrici sane di vagina”.

  5. “Si prende atto delle differenze e delle possibili coagulazioni e si lavora per una rete a maglie larghe, con coagulazioni mobili e provvisorie.” E’ il modo in cui penso vada impostato l’unico rapporto possibile tra donne politicamente diverse, una rete fluida, con tanti nodi, dalla quali si possa entrare o uscire a seconda dell’obiettivo contingente, fermo restando il quadro contenitore che è il sistema che per comodità chiamiamo democratico e che esclude chi non lo accetta (per es. chi si richiama al fascismo). Decidiamo se la discriminazione di genere colpisce tutte le donne, a sinistra e a destra, decidiamo se la discriminazione di genere attraversa le classi, al di là della loro ridefinizione. Se sì, avremo degli obiettivi comuni, come donne, con tutte le donne che li riconoscono, e magari saranno pochi. Poi altri ne avremo, e di più, con le donne che condividono le nostre stesse opinioni politiche, la nostra condizione, altre nostre consapevolezze, etc. etc. Basta riconoscere che la voler superare la discriminazione di genere non significa voler perseguire gli stessi obiettivi politici e la stessa idea di società: su questa materia ci divideremo, ci confronteremo, se volete ci combatteremo, possibilmente senza scomuniche reciproche, o anche con scomuniche.

  6. Zauberei, io e te non andremo mai d’accordo, questo l’ho ribadito più volte. Ma vedi, io non andrò mai a scrivere sulla mia bacheca facebook “quella mentecatta di Zauberei” come tu non andresti sulla tua a scrivere “quella merda di Jo”. Ci possiamo accalorare nelle discussioni, anche tanto, possiamo decostruire l’una il pensiero dell’altra, criticare abbondantemente le nostre posizioni e quant’altro ma non incitare gli altri al linciaggio, così, giusto per fare un esempio.
    Io sono la prima a desiderare tanti femminismi differenti e ad odiare l’omologozione e l’appiattimento: mi piace la pluralità di voci, la trovo una ricchezza. Ma il punto è un altro, a mio avviso: il punto è, parlando fuori dai denti, che nonostante il mio “teppismo” sono una persona (non una ragazza, almeno non più) che ha un’etica e se ho qualcosa da dire vado e la dico senza problemi, non ci scrivo su dei post rancorosi dove mi invento cose terribili (“immagino”, “suppongo”) perchè hanno attaccato la mia amichetta.
    A me piacerebbe tanto parlare di etica ma ho la sensazione che dovremmo ripartire dall’educazione, e questo preciso sentire si è acuito dopo essere venuta a conoscenza dello spettacolo indecoroso e osceno che si è verificato durante l’ultimo congresso dell’Udi.
    Non sono d’accordo su quanto afferma Lorella Zanardo in un post dove viene affrontato come reale il famoso luogo comune sulla litigiosità femminile, come se fosse una peculiarità genderizzata, se così fosse a quest’ ora gli esponenti di sesso maschile non avrebbero nessuna guerra sulla coscienza.
    E, si badi bene, nonostante io non sia d’accordo con questo pensiero della Zanardo ora non mi fionderò dentro un social network o dentro il mio cenacolino a scrivere o dire quant’è stronza la Zanardo perchè non la pensa come me, magari facendomi dare tante pacche sulle spalle condite da qualche sghignazzo di gente come me.

  7. Che i femminismi debbano essere una rete a maglie larghe è indubbio. Che, però, gli obiettivi comuni rischino di essere vanificati dalla mancanza di confronto, o dalla riduzione del medesimo, come diceva Jo, a insulto, è altrettanto, tristemente, indubbio.
    La questione, Zauberei, è che non si sta chiedendo di omologare i femminismi a un solo progetto politico: ma si sta chiedendo quale sia il progetto politico attuale di parte del movimento. Perchè non lo si è compreso. Non io, almeno.

  8. io so che hanno cambiato il significato alle parole, e so anche che per tutti questi lunghissimi anni hanno fatto di tutto per far sì che tutto, ma proprio tutto, appaia in fine accettabile.
    io so che hanno cancellato ogni voglia di reagire e che tutte le reazioni fin qui messe in atto erano in buona parte schieramenti da stadio, senza nessuna analisi di quello che sarebbe stato il “dopo”. E so anche che hanno cancellato la parola analisi.
    Fare dei distinguo ora mi sembra inutile e pericoloso. Le ultime generazioni confondono tutto in un gran calderone e usano le parole con la valenza modificata, trasformata, avariata.
    Fascismo ha un unico significato di cui, credo, i più anziani detengano il senso ed il significato e poco conta se intanto la società si è modificata.
    La questione femminile, politicamente parlando, non può più essere svilita e annoverata nel mucchio.
    Lo stesso concetto di “politico” ha bisogno di ritornare ad avere il suo reale significato.
    L’ignoranza dell’uno verso l’altro, delle nuove realtà culturali ed anche ideologiche non giustifica lo stravolgimento dei significati primari delle parole che indicano pericolo, schiavitù, privazione dell’autodeterminazione e della parola.

  9. Su confronto e progetto condivido, ma la loro mancanza, mi sembra, nasce dal volersi omologare a priori, dal volersi riconoscere come uguali ed unanimi come un “a priori”, come condizione di partenza prima di confrontarsi o di elaborare un progetto minimo, dal non voler accettare che su pochi punti dovremo convergere da posizioni diversissime, e incompatibili per il resto. E infatti il movimento non c’è, ci sono per ora i femminismi, che non fanno movimento, se non visti da fuori nel loro insieme. Certo non mi illudo che si rinuncerà all’insulto, ci sarà sempre chi non vuole confrontarsi a prescindere. Scusate i pensieri sparsi la logica deve ancora riassestarsi a quest’ora.

  10. Infatti, non siamo uguali e unanimi, e questo forse non si è detto abbastanza, nonostante le discussioni infinite.
    Ma, ripeto: siamo in un momento delicatissimo e non a caso parlavo del rischio di gender backlash qualche giorno fa. E’ adesso che bisogna darsi quei pur pochi punti comuni. E a tutt’oggi non mi pare che lo sforzo comune abbia portato a definirli.
    La vicenda di questi giorni è indicativa, anche se bisogna andare oltre, perchè il rischio è di reiterare il conflitto nei termini in cui è stato (pessimamente) impostato: chi sta con FaS e chi no. Il conflitto è altro. Ed è, ripeto: quali sono gli obiettivi? quale la politica? Al di là dei punti elencati per questa o quella manifestazione.

  11. claro Loredana.Ma non so,personalmente,per quanto potrò avere ancora la possibilità di connettermi in rete,dove cerco sempre di fare la mia parte.E nell’altrove spaventoso(non quello che ho sempre sognato)dove trascino le mie miserie,la sensazione è che avrebbero aderito al nazismo senza battere ciglio,se le circostanze della storia non li avessero portati a diventare un enclave a maggioranza assoluta democristana prima e sposa senza titubanze dei movimenti della libertà claustrofobicamente concepita di matrice televisiva poi.E da prigioniero di quest’ucronia non so nemmeno da che parte cominciare(sto romanzando un pochetto.In realtà è soltanto una città abbagliata dalla propria mediocrità)

  12. Forse rischio di cadere fuori tema, in ogni caso mi gira per la testa una cosa e vorrei sapere se il problema è reale o solo un’acrobazia astratta. Parto dall’assunto che il linguaggio è un terreno di battaglia, ci sono territori conquistati, sovrano con diritto di parola, rivolte e repressioni. Non c’è sangue ma i soggetti sociali possono essere cancellati o espulsi dai discorsi (M. Foucalt).
    Quindi gli scontri sono indicatori di uno stato di salute, mettono sul campo più identità. Detto questo, mi chiedevo per quale ragione il femminismo plurale non proponga una battaglia politica sulla discendenza dei nomi. Dare un nome significa possedere, ma perché il cognome dev’essere quello paterno? Gli uomini esprimono il proprio potere in tanti modi a cui ci siamo assuefatti, quello del nome è uno di questi principi di autorità sottaciuti. La problematica è chiara, la normativa da cambiare semplice, l’impatto culturale invece lo immagino molto forte (quante ipocrisie verrebbero fuori!). I partiti sono allo sbando, forse qualcuno in cerca di collocazione potrebbe anche appoggiare l’iniziativa. Non so, è un falso problema, non ne vale la pena?

  13. Essere donne non basta, non riconosco in me neanche un briciolo di quel “qualcosa di speciale” che dovrebbe accomunari tutte. voglio invece lavorare su patti chiari e minimi comuni denominatori che consentano la costruzione di una rete che contempli la pluralità, non pretenda pensiero unico e contemporaneamente sappia sarsi dei limiti. per chiarirci in quel comune denominatore non c’è posto per “il bipartisan” .
    credo anche che quel qualcosa di speciale che invece potremmo mettere in campo è il far nostra un’esperienza di tante, quel famoso “partire da sè” per provare a fare in altro modo, a non riprodurre schemi consolidati e non giocare a chi urla più forte. anche perchè tra le urla chi scompare è il modo fuori dai circoletti, dal tu hai fatto e io ho detto. Peraltro quel famoso “partire da sè” potrebbe essere metodo, dialogo, empatia da condividere anche con chi non è “portatrice sana di vagina”, io credo che le nostre riflessioni vadano allargate e condivise, messe in discussione e cambiate in un discorso sul genere che non veda più solo le donne a parlare solo di donne.

  14. @Maurizio: quello che hai posto tu (il triste destino del cognome materno) è uno dei tanti micro-obiettivi concreti che dovremmo darci e sui quali, di volta in volta, aggregarci. Si parla di liste? Ecco, famola una lista di cose che vorremmo e decliniamola in obiettivi concreti.
    Se uno esplicita gli obiettivi e evita di parlare a nome di tutt* senza essere investit@ da chi intende rappresentare, poi magari è più facile aggregare le persone (donne ma pure uomini, che la questione è di genere ma non riguarda solo un genere, daje su).

  15. Giorgia, mi stava scappando una battutaccia sulla lista…Ma a parte questo, la questione è serissima. E non può che essere affrontata, a mio parere, se non partendo dagli obiettivi e non dal “sentire” femminile. Non solo perché riguarda donne e uomini, ma perchè quel tipo di approccio, esattamente come è avvenuto trent’anni fa, impatta prima o poi contro un muro.
    Io non credo che il movimento non esista, come è stato testè detto su Facebook. Credo che ci sia, che abbia voglia e urgenza di fare in misura ancora maggiore rispetto a un anno fa: proprio perché si è capito con chiarezza che fin qui è stato utilizzato per parlare dell’ex presidente del consiglio. Espediente giornalistico piuttosto prevedibile. Mi piacerebbe sapere dove sono tutte quelle testate straniere che venivano a informarsi della situazione delle donne italiane. Ebbene, non è cambiata. Si parlerà un po’ meno di escort, che peraltro non erano e non dovevano essere il problema. Ma tutte le altre questioni (welfare, lavoro, assistenza, salute e, sì, immaginario) sono ancora irrisolte. Il Gender Gap italiano non tira più?
    Dunque, questo è il momento per camminare sulle proprie gambe. Ci sono tante iniziative importanti in ogni parte d’Italia (penso a 2eurox10leggi, penso a tutto il lavoro enorme che fanno le singole e le associazioni di ogni grandezza). Ma bisogna rendere chiari e immediati i punti. E la questione di classe, ripeto per la milionesima volte, è quella che sottende questi punti. Per forza.

  16. scusate volevo scrivere un post più articolato ma ho pubblicato subito per sbaglio.
    Anche secondo me è indispensabile tornare a parlare di classi, di lavoro e anche di antifascismo. In modo particolare ora, che il governo e i media ci propongono madonnine in lacrime con le fattezze dei ministri donne per convincerci ad accettare la miseria in cui vogliono gettarci. Fornero che butta lì la modifica all’articolo 18 e poi blatera di essere stata ingannata dai giornalisti cattivi, che lei è tanto semplice e buona. Lo ripeto come un disco rotto ultimamente, ma continuo imperterrita: il famoso 1% non si fa alcun problema ad utilizzare le donne per perseguire i suoi fini, che sono aumentare i suoi profitti e il suo potere, a danno del restante 99% di gente che per campare deve lavorare. Lo si vede benissimo da quando al governo sono stati messi Monti e i suoi ministri donna finalmente competenti soccia guarda queste sì che sono donne in gamba. Queste sanno cosa fare, mica sono sceme come le puttane di Berlusconi. Bravo Monti come sei giusto e moderno.
    Il capitalismo si serve continuamente delle donne: le usa per vendere prodotti, ma anche per produrre in modo meno regolamentato e più insicuro, perché le donne sono più ricattabili degli uomini. Può pagarle di meno, può farle lavorare part time, può utilizzarle come fonte infinita di fatica domestica, per tagliare su tutto ciò che è pubblico.
    Alla manifestazione del 13 febbraio io questo discorso, da Bologna almeno, l’ho visto emergere. Perché ora fa paura?

  17. Perché, a mio parere, fino a poche settimane fa, fino alla caduta di Berlusconi, era un discorso “tollerato” ma non condiviso da parte del movimento.
    Il capitalismo si serve eccome delle donne: basti vedere la pressione che esercita, molto spesso non riconosciuto o ritenuto amichevole, sui blog delle mamme. Ora, se fin qui si è mediato, da parte di tutte credo in misura più o meno evidente, fra introspezioni (di parte del femminismo) e attenzione all’esterno (di molta altra parte) è venuto il momento di mettere le carte sul tavolo e dire: sono queste, che si fa?
    Grazie, Adrianaaaa. Era esattamente questo che mi stava a cuore.

  18. Io insisterei sulla questione di classe, di cui a mio avviso è ora di tornare a parlare seriamente, approfonditamente e non di striscio. Io sto cercando di porla in più sedi e per fortuna vedo che c’è chi se n’è accorta come me. Ho già postato un intervento simile su FaS e forse sarò ripetitiva, però torno a chiedere: come si può pensare che una donna comune come come, che lotta con una precarietà cronica che da lavorativa è diventata esistenziale, possa sentirsi rappresentata oppure ideologicamente o anche solo empaticamente affine a chi non ha la benchè minima idea di cosa significhi lottare per sopravvivere con 500 euro al mese? La retorica della precarietà in bocca a donne che 500 euro li spendono per una collana mi irrita pesantemente il sistema nervoso. Quello che mi separa dalle dive e donne di SNOQ non è tanto e solo una mera questione ideologica, ma è soprattutto LA NOSTRA DIVERSA COLLOCAZIONE SUI GRADINI DELLA SCALA SOCIALE, il che, inevitabilmente, comporta una distanza anche di obiettivi oltre che di pratiche di lotta. Per cosa hanno da lottare quelle che si dimenano su un palco o sopra una tastiera invocando un’eccellenza femminile di cui non si capiscono i motivi? Io lotto per la sopravvivenza ogni giorno e come me le migranti e tantissime altre italiane mie coetanee dai 30 ai 40 anni e oltre, laureate, masterizzate, specializzate e dalle esistenze totalmente precarizzate. Noi lottiamo per sopravvivere. E voi?

  19. La questione di classe è quella che colpisce le donne per prime. Ma li avete letti i saggi che parlano di decrescita felice che ruolo prefigurano per le donne? Sapete di quello che avviene in America dove si parla felici e trillanti di “New Domesticity” causa crisi?
    Le donne precarie, che sono un’infinità, si troveranno anche alle prese con questo. E proprio quelle che lavorano in tante redazioni di case editrici (e non solo) con “finte partite Iva”. Me ne parlava dieci minuti fa un amico. Vi riporto la sua mail:
    “Partita IVA: cancellate tutte le facilitazioni sulle partita IVA minime *e* ridotte. Di fatto, io dal 2012 sarò equiparato a tutti gli effetti (irpef, irap, etc. etc.) a un professionista che fattura centinaia di migliaia di euro l’anno, con tanto di dipendenti e via discorrendo.
    E ancora: balzello sulla partite IVA “dormienti” o quasi inattive perché possibile “strumento di evasione”.Pensa alle quantità di finte partite IVA (finte perché di fatto sostituiscono contratti a termine) che lavorano, per dire, nelle case editrici. Non si potranno più permettere di lavorare”.

  20. permittimi una correzione: non “si troveranno”, ma ci si trovano, anzi ci trovIAMO, già. Personalmente, la mia condizione non è diversa da quelle dei e delle migranti con cui, guarda te, mi ritrovo a condividere spesso casa. Che poi sono quei migranti e quelle migranti (e le migranti, soprattutto) fatt* oggetto di esplosioni di violenza come quelle di Firenze, da cui si sono originate ampie e più o meno interessanti discussioni in rete. Allora, siccome c’è un filo rosso che unisce violenza, precarietà, sessismo, razzismo e differenza di classe (e io queste problematiche le vivo tutte nella mia quotidianità) forse è il caso di cogliere quei legami e cominciare a nominarli. Non tutte sono capaci di farlo, chè non tutte sanno che significa avere paura di prendere l’autobus e tornare a casa da sole la sera. Non credo che lo sappiano la Terragni o la Comencini, per esempio. Allora, cominciamo a dare voce e parola a chi sa cosa significa, invece di lasciar parlare quelle che hanno l’autista e la villa blindata.Una spaccatura, anzi più d’una, nel fronte delle donne c’è, esiste già.Non viviamo tutte nella villa blindata, anzi, la maggior parte di noi si sbatte per raccattare i soldi per l’affitto di una mezza topaia. Io non ho paura di queste differenze, perchè sono già dal lato più esposto della barricata e so di non essere sola.

  21. Per quel poco che può valere la mia opinione, penso che Loredana Lipperini abbia posto la questione con una lucidità che, purtroppo, non è facile da trovare.
    Vedere nella questione di genere la drammatica manifestazione di un problema “di sistema”, che porta a mettere in discussione le radici profonde della società e dell’economia in cui siamo immersi, significa dare a quella questione il respiro ampio che merita, svincolandola dalle strumentalizzazioni di circostanza e facendola sopravvivere alle successive e quasi ovvie rimozioni.
    Anch’io penso che sessismo, razzismo e omofobia, pur con tutte le loro specificità (che sarebbe da settari negare), acquistino tutto un altro peso se vengono inquadrati nella questione della lotta di classe, per un fatto molto semplice: la lotta contro tutto questo non è soltanto la lotta contro un’attitudine culturale, ma è un modo per mettere in discussione l’assunto secondo cui dovremmo limitarci a “contrattare” la lunghezza delle nostre catene, anziché ambire a spezzarle una buona volta.

  22. Gentile Lipperini: mi chiamo Mattia, sono un ragazzo di 30 anni e le scrivo per un’esigenza personale. Mi sento molto vicino agli argomenti trattati in questi giorni, li vivo e respiro nel quotidiano e mi sento in dovere di parlarne. Non deve essere travisato il mio pensiero, deve essere un contributo costruttivo, in quanto tale scevro da doppi sensi, incertezze o mascheramenti. Totalmente esposto per poter essere chiaramente e lucidamente criticato!
    1)Non credo assolutamente allo sdoganamento di casa Pound.
    2)Penso che si commetta un errore molto grave a parlare di fascismo.
    3)Ci sono problemi che vanno discussi ed affrontati assolutamente.
    4)Il movimento dovrebbe confrontarsi con se stesso su alcune questioni che soffrono una carenza dialettica; lessicale e di inquadramento socio culturale.
    Casa Pound non è stata sdoganata da nessuno in particolare, il nostro paese soffre di una grave carenza di chiarezza storica. In questo contesto ci si trova a scontrarsi con questioni di massima importanza utilizzando termini quali fascismo o antifascismo; prestiti di una questione irrisolta. Gli Italiani, per ragioni storiche nel dopo guerra si sono trovati senza quadri dirigenti: hanno dovuto sopperire. Hanno vissuto realtà rurali in cui si sono mischiati interessi comunitari ad interessi personali, odi che si sono radicati e pregiudizi di sofferenze non risanate, identificati in spauracchi mantenuti vivi tra le mura domestiche e rispolverati a nuovo appena i tempi l’hanno consentito. Sto parlando di simboli, il simbolico che rimane a retroguardia di un immaginario che reclama le proprie figure. Sto parlando di gente che si è presentata ad elezioni, vincendole, alimentando la retorica dei comunisti cattivi e ladri. Di una sinistra che urlava “al lupo al lupo” prima che B. salisse in carica e che si è fatta trovare impreparata quando è caduto. Sto parlando di gente che reclamava i propri nemici tra le file di “terroni” in casa propria, spalleggiati da Roma padrona, che poi sono diventati albanesi, rumeni e mussulmani. Gente che ha trovato fuori dalle logiche di coerente pratica, di una politica sana, le giustificazioni per poter reclamare un posto in prima fila alle prossime elezioni, il dopo-Monti!
    Questo è il sottobosco in cui crescono e vengono affrontate problematiche e difficoltà quotidiane. Di chi se le trova sotto casa e non trova spesso una rete sociale e politica di interventi atti ad affrontarle.
    Mi domando come sia possibile che la grande maggioranza degli Italiani soffra un disagio esistenziale, culturale e sociale che si offre ad abusi di questo genere, senza che vi sia un’avanguardia culturale in grado di arginare il fenomeno; offrire argomenti atti alla discussione ed al confronto. Perché ci si è fatti trovare impreparati? Perché sento parlare di fascismo/i, quando mio zio che fa fatica a votare e non legge un libro l’anno ha lo stemmino di Mussolini tra i souvenir nell’armadio e la Madonna del fascio nel portafoglio? Non sa neppure lui il perché ma lo trova simpatico, un gesto di poco conto in quanto slegato da implicazioni politiche poiché non ideologiche. Come lui molti! Parte di amici e colleghi di lavoro, che uso frequentare nel tempo libero poiché gente comune, tanti tra i tanti, appartenenti alla mia rete di frequentazioni quotidiane (sono quelli che incontro al bar, coi quali esco a bere una birra,che guardano quello che può guardare tutta Italia in tv e comprano i giornali in edicola, che ha dovuto confrontarsi con intellettuali quali Sgarbi!!), che non dstinguono un giapponese da un cinese o da un peruviano, parlando di problemi di immigrazione con toni volgari e sprezzanti avvalorati da quotidiani di diffusione pubblica i quali creano opinione e fanno tendenza; implicitamente o meno. Vallette di partito! Questo è un pezzo d’ Italia!
    Sia chiaro: non amo spendermi in dibattiti con queste persone(e forse fa parte del problema),ma quello che non è avvertito e condiviso come proprio, amico e utile, viene osteggiato fortemente come nemico; altro; il problema. Un problema di consonanza empatica avvertito spesso da studiosi quali G.P.Charmet o G.Priulla. Gente che capisce le parole ma non conosce ne distingue i differenti piani della comunicazione in cui questa società frammentata, figlia dello zapping e della psicologia delle masse, si trova immersa.
    Divisa.
    Liquida e con pochi riferimenti.
    Probabilmente bisognosa di figure chiare e ben definite, frutto di uno story-telling che non può occupare più di quei 60 secondi utili a far passare l’intro di un brano musicale.
    Anche il movimento di cui parlate mi sembra diviso e poco coerente su alcune questioni fondamentali: perché tra donne ci si trova divise?
    Come testimoniato da risposte a questo blog e da twitter.
    Come è possibile che un movimento in quarant’anni faccia fatica a trovare spazio di dialogo tra le ragazze più giovani? Rischi di soffocare sotto un linguaggio e relativi usi che spesso non passano nell’immaginario comune? Tra ragazze e donne! Ho come l’impressione che ci si trovi a discutere con profonda serietà di cose che sono rimandate nel quotidiano, non perché poco sentite, ma perché rinviate a data da definire da priorità diverse. Se sei giovane, laureata/o e fatichi a trovare un lavoro che ti renda autonoma/o come puoi pensare a costruirti un futuro? (Questi è Freud,niente di nuovo all’orizzonte). Se il welfare state è la famiglia stessa come faccio a chiamarmi fuori con le mie esigenze,individualità e concreta possibilità di praticare la differenza?
    Vorrei ampliare ed approfondire,mi scuso di essere stato prolisso o aver mischiato certi piani, ma lo spazio è poco.
    Gradirei un feed back se possibile.
    Questo vuole solo essere uno stimolo, un inizio per continuare.
    La questione è complessa ed intricata, non si può tutto e subito.
    Ringrazio per l’attenzione.
    Gentilmente
    Mattia

  23. Mattia, ecco il feedback e un ringraziamento per tutte le questioni che poni. Poni problematiche enormi e mi scuso se darò solo una risposta parziale.
    Parlo del movimento delle donne: la vicenda che ha occupato queste giornate di discussione è esemplare. Sembra la chiusura a riccio in difesa della colleganza (purtroppo) e invece denota una diversità di visioni che invece di arricchire, divide.
    E’ tutto vero: la mancanza di memoria storica, la mancata riflessione e resa dei conti morale sull’Italia fascista e razzista, il tiriamo avanti come si può, senza lavorare sull’immaginario comune, appiattendosi sul presente, senza prospettive, senza progetti, ognuno e ognuna attento e attenta al proprio orticello. Il rinviare a data da definire. Tutto.
    Cosa si fa? Se lo sapessi, sarei una donna felice. Ma so che incontrarsi e discuterne è comunque un passo. Per questo mi auguro che continuerai a portare qui le tue riflessioni e il tuo contributo. Grazie, ancora.

  24. Cara Loredana,
    ho letto il tuo post e anche tutti i commenti seguenti.
    Si parla a tutto tondo, mi é sembrato. Su proposte concrete e di linguaggio.
    Vorrei soffermarmi sull’utilizzo delle parole perchè è ben più di una scelta linguistica. Sappiamo che le parole possono essere pietre e come le pietre feriscono. Ho sentito amarezza e sofferenza nel tuo post. Questo mi spinge a scrivere. Perchè è una sofferenza e un’amarezza che ho provato anch’io. Da parole che provenivano da altre donne. Addirittura ho lasciato spento il mio pc per settimane (e mesi) interi. Ho dovuto prendere le distanze e ristabilire contatti umani autentici. Contatti diretti con donne autentiche, una a una. E’ necessario fare chiarezza, prima di tutto con noi stesse. E’ necessario confrontarsi con persone che hanno voglia di farlo. Non è necessario essere sempre d’accordo. Ma è necessario avere rispetto. Utilizzare l’insulto, la calunnia, travisare la realtà con la sola “evidenza” di scrivere pubblicamente in un blog o su Facebook non è né prova di verità, né prova di legittimità. Questa tecnologia che è un grande strumento, anche per conoscerci, (e le prova è anche quella di scrivere qui in questo momento), va ridimensionata a partire da una sana auto-censura. E’ necessario, secondo me, continuare a privilegiare gli incontri reali, anche a piccoli gruppi. Costituire piccoli cerchi di donne, dove ognuna si può sentire alla pari con le altre e dove ognuna guarda le altre “in faccia”. Chi usa le parole come un manganello, è poi, a mio modestissimo parere, alla pari con chi lo utilizzava per far tacere il dissenso. Fascista.
    Non mollare Loredana, c’è bisogno di te e di tutte le altre. Abbiamo bisogno di trovare il posto giusto dove incontrarci.
    Maria

  25. Maria, è quel che desidero. Un certo uso del web è obiettivamente tossico, fomenta onnipotenza, narcisismo, provoca conseguenze di cui non si ha neanche consapevolezza. Un abbraccio.

  26. Potrei risponderle che, semmai, io vedo nelle sedi che hanno ben più visibilità di questa agitare lo spauracchio di altri nemici: tornano le Br! Il terrorismo rosso si sta ricompattando! Attenzione al pericolo terrorismo! Se fossi paranoica, direi che questa sì è una pratica distraente. Se fossi ancor più paranoica, guarderei con dolore e sospetto all’improvvisa serrata di ranghi (ranghi “alti”) nel movimento delle donne, alla costituzione di gruppi nuovi che propongono nomi molto poco scomodi in materia di parità, di informazione e di rappresentanza, con la quasi totale dimenticanza, come diceva ieri nel suo post Lorella Zanardo ( http://www.ilcorpodelledonne.net/?p=9045) , del lavoro fatto da altre donne in anni in cui, che strano, predominava la distrazione.
    Ma non penso di esserlo. Dunque, si vada avanti. E auguri.

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