Su Repubblica di oggi, Laura Lilli recensisce Malamore di Concita De Gregorio. Copio, incollo e sospiro.
A che è servito il femminismo? A molto ma non tutto, è, di solito, la risposta. E cosa manca, ancora? Risposte frequenti: in primo luogo manca il lavoro. Siamo l´ultimo paese in Europa su questo terreno, anche se le nostre studentesse – in qualunque tipo di studi – in Europa sono fra le prime. E, insieme al lavoro, tutto quello che aiuta le donne a lavorare, come gli asili nido, i trasporti facili, le paghe uguali a lavoro uguale, ecc. E poi? E poi, manca il potere. Pochissime donne lavorano a livelli direttivi: manager, primario, ministro, ambasciatore, banchiere, presidente d´azienda, e così via. E meno che mai – figurarsi? In Italia? – presidente del Consiglio o capo dello Stato.
Questo sul piano della vita pubblica. Quanto a quella privata, si sa bene che è un disastro. E´ una esercitazione maschile alla violenza, omicidio incluso. Lo documenta bene l´ultimo libro dell´associazione Controparola (scrittrici e giornaliste), Amorosi assassini, uscito da Laterza ai primi dell´estate. Non per caso continuano a sorgere centri anti-violenza, dove le mogli picchiate possono rifugiarsi. Ma solo una minoranza di donne vi ricorrono. Poche donne denunciano le violenze. Perché? E perché gli uomini sono così violenti? Questa e molte altre intelligenti domande si pone Malamore /Esercizi di resistenza al dolore, il nuovo libro di Concita De Gregorio, che Mondatori manda oggi in libreria (pagg. 169, euro 16).
E´ un libro eclettico, scritto con passione, davvero “dalla parte delle donne (le “bambine” di Elena Gianini Belotti divenute adulte e consapevoli del grande lavoro che la generazione precedente ha fatto per loro, osserva la stessa autrice). Vi si trova di tutto: cronaca presa dai quotidiani (anche stranieri – spesso La Vanguardia) o dai telegiornali, interviste alle donne più disparate, dalla prostituta (che, libera da condizionamenti di qualsiasi genere, rivendica al suo mestiere la funzione di salvafamiglie), alla donna avvocato, alla politica di alto livello, alla psicologa. Miti antichi vengono raccontati ai bambini in versione riveduta e corretta (Circe era solo una donna bellissima e sempre sola, perché tutti l´abbandonavano e così, per trattenere gli uomini, li trasformava in porci e pacifiche belve. Solo, a cercare il pelo nell´uovo, non è chiarissimo perché gli uomini avessero la pessima abitudine di darsela a gambe). C´è la storia di Barbablù “la cui barba probabilmente non era blu, ma di un nero tanto scuro da sembrare blu”. Ci sono storie di “malasanità”: 23 aghi trovati, con una radiografia, da un medico recalcitrante, nel torace di una donna dalle urine piene di sangue.
E c´è anche – molto importante per capire le tesi di questo libro, così ricco da sembrare a volte discontinuo – c´è anche la storia della Rateta, una topolina pretenziosa, con un fiocco sulla coda, che aveva molti pretendenti, dal gallo al cane. Scelse il gatto, sebbene la mettessero in guardia. “Io lo cambierò”, afferma lei perentoria. Non aveva fatto in tempo a dirlo, che il gatto se l´era mangiata. Il che pone almeno tre domande. Prima: perché, fra tanti pretendenti, la topolina sceglie proprio il gatto, com´è noto golosissimo di topi? Seconda: è davvero possibile – magari con un po´ più di tempo – trasformare, sforzandosi, la natura dei gatti, e farne – che so – degli erbivori? Terza: qual era il piano della topolina?
Alla seconda domanda chiunque risponderebbe “No”, salvo esperimenti (per ora non noti) di ingegneria genetica. La risposta alla prima e alla terza sono più difficili. Secondo l´autrice, le donne della “nuova generazione del femminismo” sono dotate di grande presunzione ed orgoglio. Pensano di sapere ormai tutto, e in particolare che la reazione violenta dei maschi che si accaniscono contro di loro, derivi da impotenza e fragilità: si sentono re che il femminismo ha spodestato dal proprio regno. E, invece di accettare l´ormai proclamata “repubblica di eguali”, impotenti sul piano della legge, si accaniscono in vendette personali. Non a caso la maggior parte di violenze e assassini sono commessi o in famiglia (e la madre complice tace), o da “ex”: fidanzati, mariti, compagni.
Più difficile rispondere alla terza domanda. Certo, si può parlare di condizionamenti culturali a scegliere comunque il matrimonio, a tutt´oggi ancora considerato per molte donne la migliore “sistemazione” nella vita. Condizionamenti che investono la segreta sfera affettiva, e che sono destinati a durare molto a lungo, qualunque diversa realtà la mente, la logica, l´analisi e la riflessione abbiano messo a nudo. Ma, secondo l´autrice, c´è qualcosa di più. C´è un “programma segreto” delle donne, spesso non noto nemmeno a loro, che si finge presunzione (“Io sì che so la verità, e dunque riuscirò a cambiare te che non hai capito niente”), ma che in realtà, sotto sotto, vuole essere fatta oggetto di umiliazioni, violenze, tradimenti, e, al limite, assassini. A suo dire, la topolina voleva in realtà essere mangiata dal gatto. Che si tratti del buon vecchio masochismo femminile, tanto noto a psicologi e psicoanalisti?
Non lo so, il libro sembra interessante, ma ahò mi pare un po’ troppo sintetico. Donne. Come se la determinazione bastasse a riempire le variazioni interne. Come se davvero fossero tutte famiglie post femministe quelle dove alligna la violenza. Come se le complesse determinazioni psichiche e sociali e culturali potessero tutte andare in secondo piano sotto l’emblema delle donne di questo paese e di questo momento storico.
Però sulla simmetria della violenza, e della scelta inconscia di partner violenti beh, in molti casi però è vero.
Da leggere. Concordo.
buona giornata
Elisabetta
Lettura interessante e di quelle che danno un po’ di respiro. Lo fanno trattenere, anche. Ho voglia di buone letture, di divorare libri che lascino il segno, un solco, una tacca sul mio legnoso cuore. Ho voglia di inzupparlo di buone storie, letteratura, e di sentire un buon sapore alla fine in bocca.
Una volta ho sentito una ragazza, decisamente coattella, dire di un tipo “non me ne frega niente se mi prende a schiaffi, io lo amo ugualmente”.
Da qui penso di aver capito alcune cose. Tipo che ognuno si sceglie il destino che si merita. Che, tranne rari casi in cui un dottor Jekyll si trasforma in Mr. Hyde, gli uomini violenti si riconoscono da un chilometro, e non c’è bisogno di mettercisi insieme per scoprirlo. Che già da adolescenti, le ragazze se vedono uno gentile, educato, rispettoso lo prendono per un coglionazzo, e se vedono uno stronzo con la S maiuscola lo vedono come l’uomo della loro vita.
Forse c’è dietro lo stesso motivo per cui gli italiani votano Berlusconi.
Ognuno va incontro al destino che si merita.
Fantastico Daxman. Che mi dici dei campi di sterminio, tanto per fare un solo esempio?
Dico che come al solito lei ha una stima trascendentale per il sottoscritto.
Tuttosommato ho ripetuto gli stessi concetti di cui si parla nelle ultime 9 righe dell’articolo.
Lo so, è difficile accettarlo, ma deve sapere che allo stesso modo in cui in Italia la maggioranza della popolazione preferisce una dittatura televisiva a una democrazia moderna, a quanto pare molte donne preferiscono buscarle da un marito che a vent’anni ritengono “uno con le palle” piuttosto che condividere sentimenti femministi e lottare per la parità dei diritti. Preciso, perché lei mi sembra non lo abbia colto, che con questo non difendo di certo i violentatori/picchiatori, anzi.
P.S.: lei continua a darmi addosso per le mie (lo riconosco) provocazioni. I blog sono così, c’è chi è daccordo, chi no. Non c’è una regola della netiquette che vieta le provocazioni. Gli insulti personali, sì. E io, almeno, non ho mai rivolto a nessuno insulti personali.
I blog sono così è una frase, mi permetta, insulsa.
Questo è il mio blog, non uno standard.
Mi sembra che da quello che lei dice, anche in questo commento, preferisca ragionare per standard.
E io li detesto.
Ma quali standard? Rispetto a cosa? Perché non è uno standard dire che il buono è solo Abele e il cattivo solo Caino? E non è imporre uno standard dire che chi non la pensa come me è un fascista/maschilista/clericale?
Io detesto chi predica diritti civili e razzola fascismo.
Non ho letto il libro ma dovrebbe essere interessante, anche se ormai, per chi legge di questi argomenti e di questi argomenti si interessa, non c’è nulla di nuovo. La mia impressione è che le analisi dei problemi siano tante, ma la nostra capacità di cominciare a vivere diversamente sia davvero scarsa. Per quel che mi riguarda (e forse questo è il freno maggiore per tutte noi) la potenza dell’educazione e dei condizionamenti culturali sommata alla fatica del continuo opporsi diventino, alla lunga, un peso veramente insostenibile, che, ci porta, dopo un po’, a desistere dai nostri frustranti tentativi. C’è chi dura di più e chi di meno.
Mi sta a cuore un altro argomento: il lavoro fuori casa delle donne ed i servizi ad esso connessi. Non sono mai riuscita a considerare questo problema slegato dal tentativo di costruire una società impostata in modo totalmente diverso da quella attuale. Io credo che non funzioni, e che non funzionerà mai per noi, cercare di inserirci in un mondo impostato e costruito su una mentalità e su esigenze maschili e per di più nello sforzo di conformarci ad atteggiamenti maschili. Bambine/i e ragazze/i di oggi patiscono (e lo dico perché lavoro in campo educativo) lo stress di essere continuamente sballottati fra scuole e agenzie educative e/o ricreative varie, costretti fin da piccoli ad un ritmo faticoso anche per gli adulti. Moltissime madri sono esaurite dal ritmo di vita, scontente e piene di sensi di colpa. A tutte noi manca la tranquillità e un ritmo di vita più lento, che non possiamo recuperare concedendoci una settimana all’anno in una spa (se possiamo farlo), pronte poi per ricominciare da capo. Penso che dobbiamo lavorare quotidianamente per cambiare lo stile di vita che ci sta travolgendo.
A me pare che quella del maschio re che si sente spodestato dal suo regno dalla donna femminista, e reagisce con violenza, sia una storiella che non regge.
Se fosse la spiegazione giusta del fenomeno, a furia di ripeterla su ogni giornale, in ogni talk show televisivo, in ogni film – avrebbe già sortito il suo effetto. E invece siamo ancora qui a parlare di maschi violenti, e che non hanno argomenti (o se ce li hanno, restano inascoltati) quando sono chiamati a spiegare il motivo della loro violenza.
Non ho nemmeno io una risposta alternativa. Sono soltanto un maschio non violento, e metto lì un dubbio. Potrei essere io quello che si sbaglia.
Guido Tedoldi
Una cosa che ho molto apprezzato del libro della “nostra eccetera” è stato l’insistere sulla mala educazione (chiamiamola così) che ci viene impartita (in modi diversi a seconda delle epoche ma a quanto pare con gli stessi contenuti), sia alle femmine sia ai maschi; Loredana ha sottolineato molto bene la valanga di luoghi comuni che ci si riversa addosso. Per questo parlare di donne che “preferiscono buscarle” se non è uno standard ci va molto vicino; sono certo che preferirebbero di gran lunga NON buscarle, ma dietro quella donna ci sono (anche, non solo ma anche) almeno vent’anni di educazione (familiare e collettiva, perfino scolastica) che hanno portato fin lì. E a questo punto lo “scegliere” il proprio destino può diventare una faccenda molto complicata.
Ancora con questa storia che le donne che subiscono (o la gente, o il popolo, fate voi) sono solo delle sprovvedute vittime di un’educazione che ha fatto loro il lavaggio del cervello? Mica siamo più negli anni ’50, in cui i modelli alternativi di donna erano ancora tutti da costruire. Adesso i modelli ci sono e sono alla portata di tutti, anche nell’immaginario collettivo. Ne è la prova, per dire, la protagonista di Kill Bill, un film tutt’altro che di nicchia o di denuncia sociale, o il fatto stesso che a pubblicare un libro come quello dalla “eccetera” sia una major dell’editoria e non una piccolissima casa editrice indipendente.
Per non parlare del fatto che la stessa “eccetera” parla dei media e di tutti gli enti che “influenzano” culturalmente non come le cause ma come i segnali del problema.
Io insisto a dire che il problema non è solo femminile. E’ un problema che antropologico italiano. E’ l’esigenza da parte della maggioranza delle persone di essere comandati dall'”uomo forte”, che dà sicurezza e poco importa se mena (con le violenze nel caso delle donne, o con il regime allargando il discorso alla “massa”).
Non siamo più negli anni Cinquanta. Ma non stiamo messi meglio. Kill Bill è UN ESEMPIO. Vediamo quanti altri se ne tirano fuori: sono vivamente interessata.
Per inciso: io ho sempre detto che i segnali “sono” la causa, messi insieme. L’antropologia è fatta di modelli culturali, non di altro.
Solo nell’immaginario? Su due piedi, la Ripley in Alien, Wonder Woman nei fumetti (la vera versione femminile di Superman), la guardia del corpo di colore in Strange Days, la donna con la gamba/mitra in Planet Terror, le protagoniste di A Prova di Morte, tutte le sportive che hanno vinto nelle olimpiadi di Pechino e hanno trovato un’immensa vetrina nei media, Thelma e Louise (un po’ vecchiotto), il soldato Jane, la protagonista indiana di Sognando Beckam, qualunque cosa abbia fatto Milla Jovovich con Luc Besson, lo spesso citato Lady Oscar, i nuovi cartoni della Legione dei Supereroi in cui maschi e femmine hanno tutti superpoteri e sono tutti allo stesso livello, la protagonista di Persepolis. E ce ne sono ancora altri che per ora mi sfuggono (in effetti ho completamente tralasciato la letteratura). Ma in sostanza sono tutte cose che basta andare al cinema, in libreria o su internet per accorgersene. E’ ovvio che c’è la TV che rema dall’altra parte, ma non si può più dire che sia l’unica alternativa.
Complimenti. A parte che si potrebbero fare molti distinguo sulla metà dei personaggi citati, come mi sono permessa di fare nel libro.
Suppongo immaginerai che l’elenco opposto occuperebbe molte, ma molte più righe, giusto?
Anche no. Se posso permettermi, una delle cose che contesto al suo libro è quella di cercare solamente negli eccessi, e di innalzare i casi eclatanti a normalità. E’ ovvio che Uomini e Donne o le Winx e derivati sono ciò di cui si parla di più in ALCUNI media che vengono seguiti da un certo strato di popolazione che in Italia tende a essere la maggioranza. Ma non è nemmeno vero che siano TUTTI così. Allo stesso modo non mi sembra che i nomi da me citati siano prodotti di nicchia, e non c’è un organo della catto/plutocrazia maschilista che censura i prodotti culturali di dissenso femminista.
A proposito dei distinguo. Un’altra cosa che critico del suo libro è un certo tipo di fondamentalismo “femminista” per cui necessariamente una donna, per affrancarsi dall’oppressione maschile, deve trasformarsi in un uomo, come se poi i valori maschili abbiano chissà cosa da essere invidiati. Prendersela poi con il colore rosa in sé o con l’uso di poteri magici da parte dei personaggi femminili mi è sembrato davvero un estremismo fine a se stesso (come se non ci fossero uomini che indossano cose rosa o personaggi maschili magici). Per esempio, io odio Kill Bill e la sua protagonista, ma allo stesso modo in cui odio Rambo.
🙂
Mi sa che lei ha letto un altro libro. Comunque, ogni interpretazione è benvenuta.
Vorrà dire che continueremo ognuno con la propria “vecchia storia”: io con quella dei condizionamenti culturali, lei con quella delle donne che amano solo gli Stronzi (anche se, la prego, lei continui a essere “gentile educato e rispettoso”: avrà capito da sé che è molto meglio).
Guido tedoldi, e volendo anche Daxeman e chi vuole ancora.
Non si può analizzare un fenomeno del genere usando come metro solo se stessi, le proprie relazioni e le persone che abbiamo accanto. Anche se sono un ottimo punto di partenza. L’indagine istat sulle donne di cui molto si è parlato, ha riportato questo dato interessante e su cui vale la pena riflettere: la violenza sulle donne aumenta nei centri urbano e nel nord italia. Incrociando questi dati con quelli occupazionali, e con altri forniti dalla medesima indagine istat in cui molti items concernevano lo stile di coppia e di relazione, si apprende che c’è un rapporto di proporzionalità diretta tra occupazione ed emancipazione da una parte e violenza sulle donne dall’altra. Questo non vuol dire che tutti gli uomini di Milano siano aggressivi e maneschi, ma che alcuni di essi tendono ad esserlo di più rispetto ai compagni di un paese delle Sicilia che ancora (per poco credo) vivono in una divisione di ruoli ordinata e simmetrica senza destabilizzanti confusioni.
In parte io credo anche che Daxeman abbia ragione (anche se devo dire la parola “coattella” mi ripugna e mi rinvia a una serie di impressioni sgradevoli) e in una percentuale consistente di casi, c’è una reciproca scelta inconscia tra persona violenta e persona soggetta a violenze. Non è la totalità dei casi, e le cause sono moltissime. Ma come ci sono uomini reiteratamente violenti, ci sono donne che in successione si prendono uomini che presto o tardi manifestano le stesse tendenze violente. Credo che si potrebbe anche ragionare su come la cultura plasma la patologia.
E’ come se la cultura offrisse dei codici al malessere di esprimersi. Come se un disamore per se, uno squilibrio – in un senso come nell’altro trovasse in certi comportamenti un codice per esprimersi.
Per tutti: non scherziamo, non ho mica detto che il mio punto di vista rappresenta l’unico rapporto causa effetto nelle violenze. Le violenze, come tutti i gravi fenomeni storico-sociali, hanno più cause. A mio parere, però, quella di cui ho parlato io è la principale in quanto un ramo di un vizio nazionale assai radicato e trasversale.
Ma per me è più importante puntualizzare che non è vero che non ci sono alternative o altri modelli.
A proposito del termine “coattella”: ovviamente esiste anche la variante maschile (che, se è per questo, è quella più in uso) e l’ho adoperata unicamente per inserire un personaggio da me conosciuto in una categoria che, piaccia o no, esiste. Vi inviterei a non gridare “al sessista” non appena vi pare di vederne l’ombra.
E se chiedessimo alle donne che hanno smesso di buscarle: “Stavate meglio prima o ora, ragazze?” Io credo che ben poche tornerebbero nella tana dal lupo.
Le donne maltrattate non denunciano per una serie di motivi e una serie di problemi, ma stanno male. Convivere con la paura non rende più sveglie e dopo anni di soprusi la personalità delle persona che subisce è spesso piegata e “piagata”.
Chi esce di prigione, chi viene liberato dopo un sequestro, o chi torna (o tornava) a casa dopo la detenzione in un campo di concentramento, con quali fantasmi era costretto a misurarsi, con quali traumi, con quali sconvolgenti ricordi? Se poi la persona in questione avesse scelto un certo tipo d’uomo anche in base a eventuali problematiche pregresse… te la raccomando! Provate solo a pensare allo sconvolgimento e alla insicurezza che ci lascia addosso uno scippo. Finiamola di considerare le donne maltrattate come delle idiote, perchè sono in realtà delle vittime
talmente conciate da dover essere aiutate a capire che non sono loro a ” meritarsele ” perchè è addirittura da lì che si deve partire per aiutarle
a considerare con occhi diversi la loro realtà.
Non sono anonima, nella foga non ho indicato il mio nome.
E che pensava ar sessismo daxeman, figurete:) anche coattello me irrita.
se proprio mi vuoi addossare degli improperi che giudichi anacronistici, scegli “classista”.
Ci andrei piano col parallelo con i campi di concentramento – per favore.
Perchè, nessuno ebreo e non è finito in un lager pensando che la cosa fosse diversa da quella che era, aveva una razionale valutazione della realtà distorta da cose che non voleva vedere. Tanto meno aveva pretese salvifiche. Le dinamiche in atto sono ben altre.
Nei lager non ci si torna. Ma – da come ho appreso nella mia esperienza al telefono rosa – moltissime donne Falilulela tendono a ritrovarsi nelle stessa identica situazione. Non tutte, per carità. Ma molte e molte.
Se no saqrebbe tutto anche più semplice.
quella donna che dice mi picchia ma lo amo sta probabilmente con uno che dice la picchio ma la amo, i condizionamenti culturali e sociali agiscono sulle donne come sugli uomini, mi chiedo, com’e’ che si parla della “coazione a ripetere” delle donne nel trovarsi partner violenti e non si parla di quella di uomini picchiatori recidivi?