PER FORTUNA C'E' LUI

Poco tempo, molte cose. Per fortuna c’è questo articolo di Stefano Rodotà apparso su Repubblica di oggi. Leggere, leggere.
Sulla copertina del primo numero del 2007 della rivista Time, dedicato secondo tradizione alla “persona dell´anno”, compariva a grandi lettere la parola “You”. Era dunque la sterminata platea degli individui ad essere eletta a protagonista. Ciascuno, però, nella sua irripetibile singolarità, perché in quella copertina era inserito un materiale riflettente che consentiva a chiunque la guardasse di riconoscersi come in uno specchio. Il mondo sei tu.
Ma, osservando meglio, quello specchio si rivelava come lo schermo di un computer, disegnato sulla copertina sopra la parola “You”. Il messaggio assumeva così un particolare significato. Ti riconosco come persona dell´anno perché ormai sei entrato a far parte di quell´apparato tecnologico. L´ordine uomo-macchina è rovesciato. Sei protagonista, e forse signore dell´ambiente che ti circonda, solo se ti fai macchina tu stesso, se in definitiva diventi una componente di quell´apparato.
Attraversiamo l´Atlantico e approdiamo, un anno dopo, in Germania, dove la Corte costituzionale, alla fine del febbraio 2008 decide sull´articolo di una legge che autorizzava la “perquisizione” dei personal computer da parte delle autorità di polizia, per investigarne i contenuti anche all´insaputa dell´interessato. I giudici tedeschi hanno dichiarato incostituzionale quella norma. Affermando che esiste un nuovo diritto fondamentale della personalità, che consiste nella “libertà e riservatezza dell´apparato informativo” di cui ciascuno dispone.
L´impostazione di Time viene completamente rovesciata. È l´umano che ingloba in sé la macchina, non il contrario, e il diritto ne riafferma la priorità. Ma ci dice soprattutto che nel mondo esiste una nuova entità, e così ci consegna una nuova antropologia. Una versione tecnologicamente aggiornata dell´homme machine, unica via per riconciliarlo con gli apparati tecnici che progressivamente lo accompagnano, lo ristrutturano, lo invadono?
Ma l´immagine che, nel modo più eloquente, ci introduce in questa dimensione è forse quella di Oscar Pistorius, un corridore sudafricano che, privo della parte inferiore delle gambe, le ha sostituite con impianti in fibra di carbonio e si è visto riconoscere il diritto di partecipare alle Olimpiadi. Cade così la barriera tra “normodotati” e portatori di protesi, e anzi si prospetta una nuova nozione di normalità, che non è più soltanto quella naturalmente determinata, ma pure quella artificialmente costruita.
Prendendo spunto proprio dalla conclusione di questa vicenda, un´altra atleta paraolimpica, Aimée Mullins, ha affermato che “modificare il proprio corpo con la tecnologia non è un vantaggio, ma un diritto. Sia per chi fa sport a livello professionistico che per l´uomo comune”. La nuova dimensione dell´umano esige una nuova misura giuridica, che dilata l´ambito dei diritti fondamentali della persona. E al diritto viene affidato il compito di garantire la più ampia e paritaria possibilità di accesso alle opportunità crescenti offerte dall´innovazione scientifica e tecnologica. Due grandi principi s´incontrano e si intrecciano. Quello di dignità, che si manifesta come il criterio di valutazione delle modalità e degli esiti della costruzione artificiale del corpo. E quello dell´eguaglianza che, una volta riconosciuta la legittimità della specifica costruzione artificiale, deve evitare che da ciò possano nascere discriminazioni, sia nella fase dell´accesso, sia in quella successiva della vita della persona che ha utilizzato gli impianti tecnologici.
Altre immagini ci accompagnano, quotidiane e inquietanti. Il braccialetto al piede del detenuto agli arresti domiciliari, ma anche al polso dell´anziano per fornirgli assistenza; il “computer indossabile” al polso dei lavoratori, perché l´imprenditore possa “guidarlo” da lontano; i microchip sotto la pelle leggibili con la tecnologia delle radiofrequenze. Qui la mutazione dell´umano è evidente, e la prima riflessione riguarda la trasformazione della persona in oggetto continuamente controllabile a distanza, come un Tir o la mucca d´un grande gregge. Di nuovo, davanti a noi sono mutamenti che toccano l´antropologia stessa delle persone. Siamo di fronte a slittamenti progressivi: dalla persona “scrutata” attraverso la videosorveglianza e le tecniche biometriche si può passare ad una persona “modificata” dall´inserimento di chip ed etichette “intelligenti”, in un contesto che sempre più nettamente ci individua appunto come “networked persons”, persone perennemente in rete, via via configurate in modo da emettere e ricevere impulsi che consentono di rintracciare e ricostruire movimenti, abitudini, contatti, modificando così senso e contenuti dell´autonomia delle persone.
Che cosa è divenuta l´umanità dei molti lavoratori ai quali è già stato imposto di portare al polso un piccolo computer, che consente all´imprenditore di dirigere via satellite il loro lavoro, indirizzarli verso i prodotti da prelevare, indicare i percorsi da seguire e le attività da svolgere, controllare ogni loro movimento, individuare in ogni momento dove si trovano, in sintesi di controllarli implacabilmente? Le conclusioni di una ricerca inglese sono state nette: così si trasformano i luoghi di lavoro in “battery farms”, si creano le condizioni di una “prison surveillance”. Siamo di fronte ad un Panopticon su scala ridotta, che tuttavia anticipa e annuncia la possibilità di diffondere su scala sempre maggiore queste forme di sorveglianza sociale. Ma che cosa diventa una società nella quale è normale che cresca il numero delle persone “tagged and tracked”, etichettate e perennemente seguite?
Le risposte a questi interrogativi devono venire anche dal diritto, dunque da principi e regole. Il rispetto della dignità in primo luogo, che impone di non ridurre la persona ad oggetto, giungendo così a quella “degradazione dell´individuo” più volte richiamata dai giudici costituzionali italiani. Ma la dignità è anche misura della logica economica: dotare gli anziani di strumenti di controllo a distanza, per meglio salvaguardarne la salute, non può trasformarsi in abbandono sociale, considerando la tecnologia un mezzo meno costoso delle visite domiciliari. E il rispetto dell´autonomia della persona, dunque il diritto di decidere liberamente sul se e come utilizzare i nuovi strumenti. E l´eguaglianza nell´accesso alle opportunità grandi offerte dall´innovazione scientifica e tecnologica.
Il vero problema culturale e istituzionale è quello di valutare fino a che punto si è di fronte a vere discontinuità, che segnano un congedo da un altro mondo, e dove, invece, è possibile e necessario mantenere una continuità che consenta quel trascendere dell´umano di cui parlava Julian Huxley, impedendo così la nascita di un “doppio standard” nella considerazione dell´umano e del post-umano. Si manifesta la preoccupazione di chi segnala il rischio di una svalutazione dell´umano per effetto di una percezione del post-umano come portatore di un valore più forte, aprendo la via ad un conflitto, addirittura ad una “guerra”, tra umani e post-umani. Un conflitto, evidentemente, che nasce sul terreno dei valori di riferimento e che può essere evitato solo se si ha la capacità di mantenere fermi, e di proiettare nel futuro, i principi prima ricordati di dignità, eguaglianza, autonomia.
Ma l´umano non è sfidato solo dalla tecnoscienza. Viene negato e violato nella vita d´ogni giorno. Dobbiamo sempre chiederci, seguendo Primo Levi, “se questo è un uomo” davanti all´immagine terribile di uomini che, lungo “il cammino della speranza” verso terre che pensano accoglienti, cercano di sopravvivere in mare attaccati ad una tonnara; davanti al bambino rom sbattuto sulla copertina di un settimanale e etichettato con le parole “Nato per rubare”; davanti alle foto dei torturati di Abu Ghraib; davanti alle manifestazioni di disprezzo razzista verso l´”altro”; davanti ai fondamentalismi che cancellano la stessa identità femminile. A questo inumano il diritto cerca di opporre i suoi strumenti, troppe volte ignorati. E spesso i giuristi sono “senza cuore”. E i politici sono distratti o “realisti”. E´ compito di ciascuno di noi salvaguardare l´umano dal quale non possiamo separarci.

8 pensieri su “PER FORTUNA C'E' LUI

  1. Molto molto bello – mi ha stupita.
    Mi ha ricordato – per una curiosa assonanza – il libro che sto leggendo adesso e che pone su una continuità sociale – collocati sempre sugli estremi opposti – i miti collettivi dei soggetti reali, e la significazione con cui percepiamo le vicende di chi vive il tentativo di migrazione, la marginalizzazione sociale. L’icona di Lady D vs l’esperienza della ex Jugoslavia. In una desiginificazione globale, in una distanza globale delle vicende invece assai significative. Ora sto semplificando troppo, forse perchè non ho ancora tutto molto chiaro. Il libro comunque è di Rosi Braidotti. “In trasformazione. “

  2. Gli argomenti intercettati dall’analisi di Rodotà sono troppi e troppo interessanti per poterli restringere nel semplice spazio di un commento.
    Ci provo, con alcuni di essi.
    E’ qualche anno che l’incoraggiamento all’uso della tecnologia è diventato un vero e proprio spintonamento all’accaparrarsi delle ultime attrezzature immesse sul mercato.
    Dal quale, fortunatamente, riesco a tenermene abbastanza al di fuori.
    Si è passati dal tentativo di convincere a comprare solo per la invenzione-novità ai fini dei vantaggi prima sconosciuti che essa, ora, offre, all’installazione in ciascuno di noi della non del tutto consapevole idea che la tecnologia sia sempre e comunque di comodità e di utilità. Abbiamo acquisito il diritto di essere tariffati you and me con la macchina.
    Concetto infettivamente ed effettivamente introiettato con l’autoalimentarsi del messaggio pubblicitario e la crescita esponenziale delle potenzialità – utili o meno ai fini della quotidianità – dei prodotti tecnologici. Grazie ad esso siamo al paradosso di essere in grado, infatti, di inutilizzare mediamente il 75-80% delle “comodità” installate nell’attrezzo acquistato.
    Passando dai telefonini e pc – attraverso i quali da un bel pezzo che siamo tagged and tracked, interessanti a questo proposito alcuni aspetti trattati nel saggio The dark side of the google, Ippolita copyleft 2007 – agli arti ed organi in parte o del tutto artificiali: la personale percezione è invece che il momento dell’approdo della specie ai lidi del post umano non comporti conflitti con la specie originaria. Diventata essa una minoranza risibile, saremo già una genìa diversa.
    E’ la navigazione in tale direzione che comporterà scontri generazionali. Sono i diversi stadi “tecnologici” che la nostra specie attraverserà, che daranno fuoco alle polveri della supremazia.
    Magari mi sbaglio, ma finchè un cuore, un braccio di plastica ed una rotula in titanio costituiranno semplici isole appartenenti alla nazione corpo, penso che andrà più o meno tutto, ehm, bene.
    E’ il passaggio dallo stato di necessità – ho il cuore a pezzi, lo sostituisco – allo stadio della possibilità di diventare più forte per più tempo – mi installo un cuore di plastica perché così ottengo più resistenza alla fatica – che innesca il meccanismo perverso della lotta per la supremazia. Anche in campo sortivo nasceranno nuove forme di illecito che daranno adito a rivoluzioni nei regolamenti. Già cominciati nel nuoto con la tecnologia dei costumoni come seconda pelle.
    La legge, questo punto, avrà il compito, ancora una volta, di tutelare i diritti della specie in via di estinzione, che non potrà o non vorrà permettersi, poco cambierà, di diventare macchina.
    Quando, ancora più in là, potremo sostituire integralmente il vecchio derma con uno più durevole e protettivo per i sintetici organi interni, nascerà il nuovo karma post umano, fino a quel tempo sconosciuto.
    Saluti, e salute

  3. Probabilmente qualche geniale programmatore di kataweb ha smanettato troppo. Ho visto altri blog di questo dominio e sono nella norma, per cui si tratta di una jella ad hoc.
    Però, essendo questo un template standard, non dovrebbe essere complesso recuperare l’originale e copiaincollarlo sul template del blog. In automatico la grafica tornerà quella di prima (credo).
    L’articolo m’è parso assai interessante ed inquietante al contempo. Ci sono parecchi temi, e come si notava è difficile stare appresso a tutti.
    Quello dell’umano e la tecnologia mi ha toccato più degli altri.
    Il caso Pistorius, per esempio.
    In Italia se n’è parlato a lungo. C’è che diceva sì, chi diceva no. Io mi trovo contrario alla sua partecipazione ai giochi Olimpici. Ogni gara deve garantire ai blocchi di partenza le stesse condizioni e le stesse chances di vittoria a tutti. A prescindere se le protesi siano più o meno vantaggiose, mi pare chiaro che non possano essere comparate con le gambe umane. E non parlo in termini teorici.
    Questo ovviamente non implica che Pistorius o chi per lui non possa in assoluto partecipare alle Olimpiadi. Secondo me dovrebbe (come ha fatto)partecipare alla gara paraolimpica. Poi si può discutere se questo termine “para-” sia politicamente corretto o scorretto. Si può discutere sul perché le paraolimpiadi non avvengano nelle stesse settimane dei giochi. Ma è evidente che sul piano fisico le protesi di Pistorius non assomigliano in niente a delle gambe umane.
    Il problema si porrà, and here falls the donkey, quando la bio\eugenetica riuscirà a creare le gambe perfette, grazie a manipolazioni del DNA durante la fecondazione.
    E’ quello che ha tentato di raccontare il bel film “Gattaca” qualche anno fa. In un futuro, per nulla improbabile, esisteranno i “mutati” e i “normali”. E pian piano la popolazione mondiale vedrà l’ascesa dei “mutati”.
    Cosa allora si potrà considerare umano? Chi o cosa sarà l’umanità?
    Mi viene da pensare che prima o poi tutte le rivoluzioni tecnologiche che ancora oggi ci fanno sussultare finiranno per essere considerate nella norma. Non più effetti speciali, bensì effetti normali. Come al Cinema.
    E’ vero che questa è la prima volta che dentro il corpo umano vanno ad accadere queste mutazioni, e quindi per la prima volta l’uomo potrà artificialmente modellare la base naturale. Al di fuori del nostro corpo, la tecnologia in centinaia di anni ma soprattutto negli ultimi due secoli è riuscita, tra le altre ottime cose, quasi a distruggere un pianeta. Non da sola, ovviamente. Dentro di noi i risultati potrebbero essere, soprattutto agli inizi, altrettanto disastrosi.
    Per cento anni il Papa si scaglierà contro. Ma fra cinquecento?
    Io penso che il diritto (penale anche) debba fungere da grillo parlante per lo coscienze di scienziati e finanziatori. Che troppo facilmente possono lasciarsi abbindolare dai miliardi e dai sogni di gloria.
    Evitare che si facciano passi troppo lunghi, evitare che si compiano sperimentazioni su vasta scala senza aver preparato un piano b (tipo: se i primi mutanti venissero fuori male? dove li mettiamo?). Cercare di educare la civiltà, occidentale e non, al concetto di “mondo in prestito” dalle generazioni che saranno.
    Potrà il diritto fare qualcosa? Per ora ha nicchiato, spesso intervenendo troppo tardi. Ghettizzare il progresso tecnologico si è sempre rivelata una mossa errata.
    E poi vedremo.
    Volenti o nolenti, i concetti di normalità e di umanità – come già adesso accade – si amplieranno. Saremo costretti a questo passo. Roy Batty 26 anni fa ce l’ha dimostrato.
    Vorrei continuare per ore, ma adesso taccio e spero che il thread continui.

  4. L’articolo di rodotà mi arriva come un dono inatteso per delle cose su cui stavo lavorando. Grazie, per fortuna c’è questo blog
    C.

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