QUELLI CHE INVITANO A ESSERE COMUNITA' DOPO AVERLA DISGREGATA

E no, non posso parlare di altro, e non ne ho voglia. Dunque, nella prolungata pausa dai miei viaggi (non mi ero resa conto di quanto mi fossi abituata, negli ultimi anni, a viaggiare continuamente), leggo e provo a pensare. Leggo molti appelli di direttori di giornali, di politici, di studiosi che invitano a essere responsabili, a essere una comunità. E mi arrabbio.
Non mi arrabbio soltanto per l’incredibile giravolta dei quotidiani e per il reframing di cui ha magnificamente parlato Vera Gheno qui. Mi arrabbio perché le comunità non si costruiscono in un giorno. E tutto quello che ANCHE dai giornali è stato fatto in questi anni è disgregare le comunità stesse. Ne parlammo, con Massimiliano Coccia, a dicembre, in quei giorni d’orrore che seguirono la morte delle due ragazze a Ponte Milvio: coloro che hanno  la responsabilità pubblica delle proprie parole, dovrebbero sapere che devono comportarsi non solo secondo un’etica professionale, ma secondo un’etica sociale. Che devono per primi essere portatori di quell’essere in una comunità che accusano gli altri di aver dimenticato. Vale per la cronaca, vale per la politica, vale per l’epidemia di oggi.
Noi siamo disgregati. Quasi dieci anni (italiani) di social network ci hanno illuso di essere sociali, appunto, e ci hanno rinchiuso nel nostro io. Quale senso di responsabilità possiamo avere oggi, nel momento in cui ci è stato detto e ripetuto di pensare solo a noi stessi e al massimo alla nostra famiglia (ricordate? “La società non esiste: esistono individui, uomini, donne e famiglie”, Margaret Thatcher, 1987). Sarà vero quello che mi raccontava stamattina una persona cara, della signora in coda in farmacia che dice al telefono: “Ho fatto il tampone, mamma, sono positiva, non muoverti di casa”? Non lo so, ma è plausibile. Perché quel che è stato sgretolato consapevolmente ha bisogno di tempo e cura e serietà per essere ricostruito. E, no, gli editoriali non bastano.
“In un giorno di quegli anni qualcuno ebbe a dirmi che per la nostra generazione il giuoco era ormai chiuso. Diradate le illusioni, aver noi dato ormai quanto era possibile; morti i migliori o avviliti nella lunga agonia poi seguita; scelte, impegni, decisioni ridursi a difesa, o ad oltraggio, della propria giovinezza, la speranza volgersi in rancore; molte nostre forze, spese nello sforzo di comprendere quando l’età avrebbe dovuto essere di opere; le compagne imbiancate ai capelli; e già troppo tardi per tentare altra vita”. […] la nostra “vita” era finita. Il passato poteva esser stato un errore, il futuro era molto remoto. […] In quegli anni gli inverni furono o mi parvero molto lunghi. […]Erano inverni profondi, faticosi. Le rovine che avevamo intorno come l’allegoria di un riscatto possibile sparivano per dar luogo ad una città opulenta e meschina. Spariva l’Italia popolare e orgogliosa delle sue piaghe che un tempo aveva scoperto e amato se stessa fra resistenza e dopoguerra; […] e un’altra Italia veniva avanti, avviluppata nel cinismo dei settimanali, bruciata dalla speculazione […]. Eppure bisognava impararne l’avvenire. Volevamo sperare di decifrarvi i destini personali e generali. Perché il mondo, come dice Schlegel, è e rimane la nostra unica spiegazione”.
Franco Fortini (ovviamente)

Un pensiero su “QUELLI CHE INVITANO A ESSERE COMUNITA' DOPO AVERLA DISGREGATA

  1. Quante persone conosci nel raggio di 100 mt da casa tua? Probabilmente nessuna, a volte nemmeno quelli del pianerottolo. Nel quartiere, ricco o povero, ci si dorme e basta. le relazioni umane quando ci sono, si sviluppano negli ambiti di lavoro, di studio sport viaggioetc, quasi sempre distanti. Ma una comunità ha bisogno anche ( anche) di un territorio di uno spazio. Le ragioni di questo sradicamento sono principalmente economiche, ma anche religiose e culturali. I social accompagnano (e a volte tolgono anche consapevolezza) a questa solitudine. Ho saputo però che stanno avendo abbastanza successo delle pagine facebook, collegate alla via dove si abita. Social street, sembra una buona idea ma sempre pericolosa., come quella ad es. di difendersi dai ladri con le pistole…( non esageriamo

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