AVERE PAURA DELL'ALTRO: IL DIARIO VIRALE DEI WU MING

“Ci vuole uno che comandi”, dice oggi Matteo Renzi, e il brivido sale. Perché ricondurre tutto al solito uomo forte così richiesto fa quasi più paura di un’epidemia. Mi tengo il brivido e vi invito a leggere la seconda puntata del diario virale dei Wu Ming, su Giap!. Estrapolazione breve:
“C’era continuità tra i «decreti sicurezza» degli ultimi anni – «Minniti-Orlando», «Salvini» e «Salvini bis», che il governo Pd-M5S si guardava bene dell’abrogare – e quello sull’emergenza coronavirus, perché c’era una continuità tra retoriche. La fobia del contagio si era incanalata nel solco già tracciato dalle pseudo-emergenze legate all’immigrazione, e dalle campagne securitarie e sul «decoro». Ancora una volta il libro di Wolf si dimostrava prezioso.
Al virus si era data una risposta in chiave di militarizzazione del territorio, la stessa che si era sempre data a povertà, esclusione, disuguaglianze. Si era ricorso alla logica della «zona rossa», ma spingendola ben oltre i confini della zona da circoscrivere per contenere il focolaio. Si era data la caccia a presunti «untori» – il «Paziente Zero», sfuggente come Igor il Russo!  – alzando di diverse tacche il livello di paranoia.
Foto e racconti sui giornali descrivevano città vuote, piazze deserte. Spesso si trattava di luoghi scelti ad hoc: non i quartieri dove la gente viveva davvero, ma le strade del turismo e dello shopping. Zone in realtà già morte, al cui cadavere l’emergenza Covid veniva soltanto a togliere un dito di belletto. E lo stesso poteva dirsi per l’agorafobia da coronavirus, che ci pareva strettamente collegata all’ideologia del decoro. Laddove già si era diffusa una certa paura per i luoghi pubblici, magari velata di nostalgia, perché considerati «non più sicuri come un tempo», proprio là colpiva più duro il vuoto. Ma come per il razzismo contro i cinesi, non era il virus a indurre nuovi atteggiamenti: l’emergenza portava a galla verità nascoste dal tran tran quotidiano o rivestite da strati di retorica. Come scrivevamo ai tempi del terremoto in Emilia: a uccidere non è il sisma, ma la realtà su cui il sisma getta luce.
L’emergenza era come un interruttore, che d’improvviso aumenta l’intensità della luce e rende visibili contorni e gesti che altrimenti sarebbero rimasti nell’ombra. La quarantena, le zone rosse, i confini invalicabili, i posti di blocco, le limitazioni alla mobilità, le chiusure: i termini e le questioni erano identici a quelli di un’altra «emergenza», quella che riguardava profughi, migranti, richiedenti asilo. In un caso come nell’altro, i confini erano la risposta a un attacco di panico, dovuto al trovarsi smarriti, in mezzo a una folla sconosciuta, bombardati dall’insicurezza, disorientati dallo spazio. I confini erano le pareti alle quali si aggrappa chi si trova circondato dai suoi simili e ne ha paura: perché sono stranieri o perché sono infetti. Perché sono altri”.

Un pensiero su “AVERE PAURA DELL'ALTRO: IL DIARIO VIRALE DEI WU MING

  1. Interessante questa lettura politica, anche se esplicitare in maniera così diretta il parallelo tra emergenza immigrazione e corona virus, tra stranieri e infetti penso sia un po’ avventato, forse controproducente…
    Mi piacerebbe anche aleggere qualche altro tipo di diario, magari più semplice algido, un registro della quotidianità fatto da un pensionato che vive solo, e annota i titoli del tg1, le ultime foglie sul davanzale, le scalette della D’urso le espressioni dell’edicolante lo scortecciarsi delle serrande lo scoppiare dei rami.
    Sempre per sottolineare un lato positivo, ( che c’è sempre) mi viene da pensare che adesso la gente un po’ più di tempo per leggere ce l’ha, e forse verrà venduto qualche libro. Il che ci fa ri-pensare al famoso motto;
    Più paura= Più lettura=Più Cultura
    ( che infatti i progressi ci sono sempre stati durante le crisi..)

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