REALTA', REALISMO

Non ho ancora letto Gli incendiati di Antonio Moresco e mi riprometto di farlo al più presto. Nell’intervista rilasciata già diverse settimane fa ad Affari Italiani, però, mi colpisce un passaggio. Questo:
quella che abbiamo di fronte oggi è una realtà completamente sfondata. Di che ‘realismo’ stiamo parlando se non cogliamo questo aspetto della cosiddetta ‘realtà’?”
E mi colpisce al di là delle polemiche e della querelle, rimbalzata qua e là, scrittori versus critica o parte della medesima. Perchè una riflessione sul realismo – a dispetto di tutta l’acqua passata sotto i ponti nostrani – ci serve ancora.

55 pensieri su “REALTA', REALISMO

  1. Pasolini, in uno dei suoi ultimi scritti, ai tempi di Salo’, invitava gli artisti a mettere alla prova il Sistema con opere assolutamente estreme e inaccettabili, quasi invitando la censura e la repressione.
    Se io vado in un forum di berlusconiani so che non potrò toccare certi argomenti che fungono da cartina di tornasole – Putin, la Carfagna, il ponte sullo stretto, il federalismo – mentre per altri c’è una talvolta sorprendente libertà.
    Su questo forum vi sono degli argomenti che testano la pazienza dei commentatori e purtroppo sono quelli su cui mi viene più facile trovare da ridire: l’assoluta positività della Rete, i fumetti di supereroi, i videogiochi, Tolkien.
    In particolare, trovo sbagliato un concetto che mi pare nessuno contesti ma tutti i partecipanti prendano come vero: che la cultura italiana abbia represso, disprezzato, emarginato il fantastico in letteratura.
    Questa nozione, in se’, non sarebbe nemmeno controversa ma solo e semplicemente falsa. In fondo si tratta di una cultura in cui Italo Calvino è stato candidato al Premio Hugo, in cui Einaudi pubblicava antologie di fantascienza e di racconti di fantasmi, in cui buona parte dell’opera di Giorgio Manganelli era fantasy come pure di quella di Massimo Bontempelli, in cui Mario Soldati e Paolo Volponi hanno scritto romanzi di fantascienza e scrittori ‘realisti’ come Cesare Pavese sono stati molto attenti alle ragioni del mito, in cui Sanguineti curava la messa in scena dell’Orlando Furioso – opera che, a differenza della Divina Commedia, può essere considerata decisamente fantasy.
    La lista di M. propone un mucchio di autori che non hanno in comune nulla, ne’ lo stile, ne’ i temi, ne’ la visione del mondo ma solo, secondo lui, la fuga dal realismo (Joyce? France? Ma davvero?) – insomma, un concetto estremamente largo di fantastico che ben si accorderebbe con le larghe aperture di credito verso il fantastico da una parte non minoritaria della cultura italiana del XX secolo.
    Allora dove sta questa chiusura? Nel fatto che il rifiuto o il disinteresse non sono rivolti al fantastico ma a certi autori o generi anglosassoni molto specifici oggi di moda e che certi autori italiani si sforzano di imitare con limitato o nullo successo commerciale, del quale incolpano dei fantomatici ‘critici’ o dei non meglio specificati ‘operatori culturali’ e naturalmente gli editori che non vogliono correre rischi.
    Tutto qui il problema.
    In questi giorni sto provando a leggere un romanzo fantasy italiano contemporaneo di cui proprio qui avevo letto meraviglie. Non è terribile – è solo molto cupo e opprimente senza particolare motivo, una specie di fantasia a senso unico popolata da ombre, il genere di sentimento molto diffuso nell’adolescenza e che porta certi ragazzi a vestirsi di nero, a calzare scarpe Vans a scacchi e a pettinarsi con un ciuffo sugli occhi. Ovvero, I’m too old for this shit, come direbbero gli americani. Ma qualche settimana fa ho letto un romanzo di Gene Wolfe, del ciclo di Urth, che mi era sfuggito, ‘The Urth of the New Sun’, e mi si è aperto il cuore – ma purtroppo non è quello il modello che i nostri autori di fantasy paiono prediligere…
    (sempre per riprendere la lista dei ‘buoni’ di M. mi è venuta in mente una lista di ‘cattivi’: Manzoni e Cecov, Hemingway e Colette, Busi e Austen, Ellroy e Candace Bushnell, Sven Hassel e Rigoni Stern, Drieu la Rochelle e Socholov, Se questo è un uomo e Il Diavolo veste Prada, I ragazzi della via Pal e Gomorra – ci metterei anche Joyce ma M. l’ha inserito nella lista del ‘fantastico’…)

  2. Sascha, io queste chiusure manichee su queste sito non le vedo.
    Per inciso Gaiman lo detesto (adesso). E i supereroi pure. E sempre per inciso Gene Wolfe è uno dei miei scrittori preferiti. Però mi ritrovo più nelle parole della padrona di casa che nella tua arroganza che divide i buoni e i cattivi, come le schiere di soldatini con cui evidentemente giocavi.
    In proposito posso chiederti: da chi è pubblicato G. Wolfe in Italia? Da Adelphi- come meriterebbe? E Chesterton -quello che non scrive padre Brown- da chi? E Voyage to Arcturus? (se lo scrivo in inglese una ragione ci sarà). E chi lo sa in Italia che William Morris ha scritto un poema in prosa? E The Once and future King chi lo conosce qui? E Ligotti? E …
    No, il fantastico non è SEMPRE stato marginalizzato in Italia; ma lo è stato spesso, e lo è ancora (quanto fu popolare nella cultura del suo tempo la scelta di Calvino di scrivere i Nostri Antenati? e Buzzati? com’è che ancora adesso a stento c’è nelle antologie scolastiche? quanti hanno letto e capiscono davvero I dialoghi con Leucò di Pavese? E non c’era qualche contemporaneo che sosteneva che quelle di messer Ariosto erano tutte ‘castronerie’?), e vale la pena discuterne senza fare vittimismi.
    Quanto a te sarai anche un provocatore ma provochi con poco garbo e con scarsissima chiarezza intellettuale.
    Ossequi.

  3. La lista di M. propone un mucchio di autori che non hanno in comune nulla, ne’ lo stile, ne’ i temi, ne’ la visione del mondo ma solo, secondo lui, la fuga dal realismo
    No. Io ho proposto un mucchio di autori che hanno ben poco in comune, a parte il rifiuto della concezione di realismo ridicolmente ristretta di cui TU hai parlato. Perché è ovvio che le sperimentazioni di Joyce e Beckett, così come di gran parte dei modernisti e postmodernisti, nascono esattamente dalla convinzione che i codici del romanzo naturalista ottocentesco non sono più adatti a descrivere in maniera efficace la realtà. Per cui l’unica cosa che li accomuna nella mia scelta è il rifiuto di quel modello, non l’appartenenza ad altri.
    Faccio molta fatica a vedere Ulysses, Finnegan Wake o Molloy in termini di romanzo realista alla Balzac, ma se tu ci riesci…
    France? Ma davvero?
    Mais oui. L’Île des Pingouins. La Révolte des anges.
    sempre per riprendere la lista dei ‘buoni’ di M.
    Guarda che qui le liste di proscrizione le fai solo tu. Se tu stessi ad ascoltare gli altri, invece di combattere i tuoi mulini a vento, magari ricorderesti che la prima volta che abbiamo discusso ho citato Cechov e Katherine Mansfield e per ragioni del tutto diverse, Thomas Pynchon fra i miei autori preferiti.
    Ma sei capace solo di ragionare per stereotipi.

  4. En passant i nani e le ballerine e i buffoni ringraziano Binaghi (così preoccupato dai nickname altrui, le mando il CV, se vuole). La sua ironia è pari al suo realismo. Rarefatta, sciatta,come tutta sta santa querelle di depressi bipolari. Rispetto ad altri/altre che pontificano di brutto lei è, in ogni caso, veramente modesto. La rispetto tanto.

  5. @sascha: a mio avviso è questa la frase ‘incriminata’: “in particolare, trovo sbagliato un concetto che mi pare nessuno contesti ma tutti i partecipanti prendano come vero: che la cultura italiana abbia represso, disprezzato, emarginato il fantastico in letteratura.”
    Il fantastico in letteratura non è stato emarginato tout-court dalla cultura italiana e nessuno qui mi sembra che prenda questo concetto per vero. I già citati Calvino e Buzzati – giusto per citare due “grandi” e “popolari” – hanno costruito sul fantastico gran parte se non tutto il loro successo. Ma ci sono altri esempi di scrittori che si sono cimentati col fantastico almeno in un momento della loro vita artistica, anche se magari non ne hanno fatto la loro bandiera. Da Pirandello a Savinio a Bontempelli a Tomasi di Lampedusa a Flaiano. E lo stesso Eco, per esempio, ne Il pendolo di Foucault non mi pare sia stato molto “realista”.
    Per contro non si può negare che esistano in effetti aspetti (o sottogeneri) del corpus della letteratura fantastica che sono stati tradizionalmente marginalizzati, e mi riferisco soprattutto alla fantascienza. Ma qui il discorso si fa complicato. Come spunto iniziale posso dire che a mio avviso, gran parte di questa marginalizzazione sia dovuta alla mancanza di una tradizione culturale scientifica. Per il resto, lancio il sasso e nascondo la mano, lasciando a voi la parola, che il commento è già abbastanza lungo. 😉

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