Non ho ancora letto Gli incendiati di Antonio Moresco e mi riprometto di farlo al più presto. Nell’intervista rilasciata già diverse settimane fa ad Affari Italiani, però, mi colpisce un passaggio. Questo:
quella che abbiamo di fronte oggi è una realtà completamente sfondata. Di che ‘realismo’ stiamo parlando se non cogliamo questo aspetto della cosiddetta ‘realtà’?”
E mi colpisce al di là delle polemiche e della querelle, rimbalzata qua e là, scrittori versus critica o parte della medesima. Perchè una riflessione sul realismo – a dispetto di tutta l’acqua passata sotto i ponti nostrani – ci serve ancora.
Ho appena letto Gli incendiati. Il romanzo italiano più bello della stagione, a mio parere. Insieme a L’anno dei dodici inverni, di Avoledo, uscito in autunno. Moresco e Avoledo, due scrittori totalmente diversi – e sottolineo totalmente – che hanno però un solo tratto in comune: essere andati “oltre” il realismo. Averlo sfondato, o fatto implodere, nel caso di Moresco. Circumnavigato fino a una deriva di genere, nel caso di Avoledo.
E’ evidente che molta critica italiana è tuttora l gata a degli stilemi accademici di indubbio valore, ma troppo legati alla narrativa del secolo scorso.
Del resto, nulla di nuovo:è sempre stato compito degli scrittori aprire nuove vie letterarie. I critici i si accodano in un secondo tempo, om’è tipico del lavoro interpretativo. Ovviamente, e questo mi sembra il senso del post di Loredana, sarebbe gradita una maggiore cautela – e un po’ di umiltà magari – da parte dei critici all’atto di confrontarsi con la narrativa di questi anni, così magmatici e “sfondati”.
Scusate, è mio il commento sopra.
In realtà la ‘questione del realismo’ non si risolve liberandosi con facilità della ‘narrativa del secolo scorso’ (che immagino si possa riassumere in una semplice frase ad effetto, no?).
La domanda è: perchè tanti scrittori giovani e meno giovani credono davvero che la realtà oggi sia ‘priva di interesse’ o ‘sfondata’ o ‘non rappresentabile’ e quindi pretendono che vengano prese sul serio le loro divagazioni tolkieniane, i loro pastiche lansdaliani e i loro repechage lovecraftiani?
Non sarà che, molto semplicemente, la nostra realtà è per loro troppo difficile? E che queste teorie sull’impossibilità di raccontare il mondo moderno sono semplicemente delle scuse? E magari sotto sotto il disprezzo per il ‘realismo’ è disprezzo per una letteratura ‘da donne’?
(diverso il caso di Moresco: talento e buona fede, sì, ma avete provato a leggere Canti del Caos? Sì? Come vi siete sentiti alla fine? Più o meno fighi di quando avete fatto finta di aver letto tutto Infinite Jest? Vi ha intrattenuto? Oppure vi sentite esseri umani migliori?)
Seriamente, questa teoria (perchè di questo si tratta, di una teoria e non di un fatto) secondo cui la ‘realtà’ oggi non sarebbe rappresentabile secondo i canoni del ‘realismo’ andrebbe discussa invece di accettarla per convenienza o perchè ‘l’accettano gli altri’.
“le loro divagazioni tolkieniane, i loro pastiche lansdaliani e i loro repechage lovecraftiani”
Che c’entra questo repertorio fantasy-horror?
Qui si sta parlando di una rifondazione dell’immaginario letterario a partire proprio dal reale. Il nostro reale, però, quello di tutti i giorni, che è lontanissimo da quello – ad esempio – degli anni Settanta. Proprio il reale “sfondato” di cui parla Moresco. O il presente virtuale di Avoledo, giusto per rimanere agli esempi di cui sopra.
E’ la nostra realtà che si è smarginata e richiede quindi, come dire, altri realismi per rappresentarla. Tutto qui (ragazzi, questa volta i draghi non c’entrano nulla, via).
P.S. Non volevo liberarmi della letteratura del secolo scorso. Nè di quella settecentesca, se è per questo. O di quella rinascimentale o del meraviglioso medioevale. Ci mancherebbe altro. Solo dire che non possiamo interpretare – poniamo – DeLillo col metro di Benedetto Croce. Ovvio, no?
Chiara, è che Sascha ha il dentino avvelenato con tutto ciò che rientra nella sfera non del fantastico, ma del “non tangibile”. Web incluso. Ergo, ha semplicemente colto una nuova occasione. 🙂
Ps. Che poi, volendo essere seri, qualcuno dovrebbe dimostrarmi che attraverso lo sfondamento del reale non si rappresenti il reale, appunto.
Ecco, quando parlavo di teorie: perchè mai non si potrebbe interpretare DeLillo col metro di Croce? Se quel metro era valido per interpretare Verga e D’Annunzio allora è valido anche oggi per DeLillo e Pynchon; se non lo era allora non lo è nemmeno oggi. Si tratterebbe solo di aggiornare il vocabolario e lo stile.
Altrimenti perchè concetti come questi
http://it.wikipedia.org/wiki/Benedetto_Croce#Estetica
sarebbero meno validi oggi di allora?
A meno di non voler dire che oggi abbiamo Internet e il telefonino e la base sulla Luna e il teletrasporto e quindi Croce non può dirci nulla perchè aveva solo il telegrafo e i treni e i biplani – ma allora estendiamo il discorso. Cos’ha da dirci oggi (inserire il nome del proprio scrittore o filosofo o poeta preferito morto da almeno trent’anni) non avendo avuto la fortuna di vivere nella nostra Eta’ dell’Oro?
Appunto. 🙂
Signora, a parte le mie paturnie senili, la questione è seria.
Perchè certe teorie sulla morte del romanzo e l’irrappresentabilità del reale oggi – popolari ai tempi del Gruppo 63 – devono essere accettate oggi senza discussioni?
Perchè la realtà, oggi, sarebbe impossibile da rappresentare rispetto a quella del 1960? Perchè è diversa? Ma quando mai la realtà non è cambiata?
In fondo, rimanendo nell’empirico, i cambiamenti tecnologici e sociali che ha vissuto mia madre sono di gran lunga più vasti e radicali di quelli cui ho assistito io…
Non confondiamo i piani, signore. Delle teorie del Gruppo 63 – posso approfittare per rendere omaggio a Edoardo Sanguineti, che è appena scomparso? – si è dato conto giorni fa con l’autocritica di Angelo Guglielmi: non è affatto vero che siano accettate supinamente. Così come il “canone” di Croce è, come ogni prodotto del pensiero umano, ridiscutibile.
L’idea che la realtà sia sempre identica a se stessa è, quantomeno, sconcertante.
scivolo sul botta e risposta lipperini-sascha perché mi viene in mente che la realtà cambia eccome mentre credo sia molto simile nel corso del tempo la natura umana: sentimenti, stupori, “stare nel mondo”, ecc ci avvicinano ai nostri simili di migliaia di anni fa. Così credo ad esempio che la letteratura “fantastica” interpreti questo “immutabile umano”: parla di noi, del nostro crescere, delle paure, l’invecchiare, l’amare.
Sui canoni, vero che si possono discutere, non sono dogmi. Un dubbio: è che ormai mi sembrano un po’ corti, se anni fa fondavano un pensiero che interpretava il mondo per decenni, oggi abbiamo canoni che durano lo spazio d’un mattino veramente! Velocità per una realtà che ormai si supera da sé?!
Sul realismo in letteratura non dico niente perchè dovrei dire troppo.
Restando all’intervento di Chiara Palazzolo, e avendo letto entrambi i romanzi che cita, mi sembra di poter dire una cosa.
Mentre Avoledo (che conosco abbastanza bene, come scrittore e come persona) nel suo ennesimo (bel) romanzo ha messo in campo la sua poetica, legata alla ricerca di una surrealtà capace di integrare e di far comprendere la prosaicità del reale, il romanzo di Moresco mi ha lasciato interdetto. E’ un attraversamento forsennato di tutti i luoghi comuni del romanzo di genere (l’incontro fatale, l’erotismo morboso, il crimine organizzato che assorbe la politica, la sparatoria di venti pagine come scontro all’Ok Corral, i protagonisti non morti che imperversano contro i vivi, fino all’agnizione letterale dell’incendio terminale). Da parte di uno scrittore che la critica esalta ma che il grande pubblico ignora (i suoi editori preferiscono creare casi letterari con thrilleronio complottisti, esordienti ventenni o replicanti dell’attimo figgente), lo interpreto come una via di mezzo tra la vendetta e lo scherzo. Il libro si legge con curiosità, con voracità direi, perchè la prosa è comunque quella di uno scrittore di talento, ma alla fine ti chiedi se ci è o ci fa.
Poi ti ricordi la storiella su Talete, il filosofo: a furia di sentirsi dire che i filosofi chiacchierano perchè non riescono a fare i soldi veri, Talete durante un’annata eccezionalmente buona per le olive noleggiò tutti i frantoi, così nella zona fu il solo a macinare e fece un sacco di soldi con l’olio. Se fosse così, Moresco ha divorato gli stereotipi del genere per risputarne una caricatura che li snobba, intermezzo comprensibile e accattivante, anche se non mi esalta: realismo o non realismo, oggi siamo troppo poveri di senso per poter vivere di barzellette o parodie.
In caso contrario, non è quel grande scrittore che si dice: se questa è la sua convinta versione dell’allucinazione collettiva che i media c’insegnano a chiamare realtà, mi tengo il Genna di “Dies Irae” o “De profundis” per tutta la vita.
Appunto bisognerebbe innanzitutto capire cosa intende Moresco con il termine di “realtà sfondata”, e qual’è il senso che attribuisce a questa frase la nostra gentile padrona di casa.
Certamente il presente è esploso in miriadi di frammenti, di microcosmi autonomi ed interdipendenti, pretendere che possa esistere ancora un’idea semplice e compatta di realtà, identità e attualità è risibile.
Quindi quale è la realtà? Come e quale si rappresenta? Ogni sguardo è lecito, è vero che se qualcosa è da buttare, queste sono le categorie.
Certamente se viviamo in un presente frammentato, trasversale fino alla vertigine ed esploso, è vero che anche il passato di trenta o cento anni fa non è riducibile alle mere testimonianze di quel passato vere o verosimili.
La storia la scrivono i vincitori e gli scrittori ma anche gli sconfitti e gli analfabeti la vivono, voglio dire che quante meravigliose e terribili realtà del passato sono esistite e perdute per sempre nell’inevitabile lontananza dagli sguardi.
Nel 2004 ci fu una meravigliosa mostra sull’arte medievale organizzata da Le Goff in cui si scompaginavano tutte le certezze sull’arte di quel periodo mostrando opere che erano ben diverse da come ci si aspettava in quei luoghi e in quei secoli.
Quindi magari, muoviamo guerra alle categorie, fregio e scheletro di tanta critica e ri-agganciamo le opere scritte da persone vere al pubblico fatto di persone altrettanto vere, senza lasciare alla critica il ruolo di dogana empirea che sceglie cosa sia lecito far passare o meno.
La critica, secondo me, è sana quando lega e aggiunge anche oltre le intenzioni degli autori, scoprendo e creando sinapsi tra le cose.
Invece di inciampare sui binari morti quanto sarebbe meglio creare collegamenti per far comunicare zolle culturali diverse?
Quanto sarebbe più utile creare coi classici l’humus necessario per comprendere il presente anzichè usarli come scudo fino a che morte non sopraggiunga?
Ci si potrebbe interrogare sul rapporto tra Verga e Saviano per la forma od il linguaggio o confrontare il cristianesino in Tolkien, Dostoevskij e Ariosto.
Allora si riossigena il tutto e la critica riacquista un ruolo cardine di senso.
Daniele Marotta
“In caso contrario, non è quel grande scrittore che si dice: se questa è la sua convinta versione dell’allucinazione collettiva che i media c’insegnano a chiamare realtà”
Non ho capito bene. Io l’ho trovato grande, come libro. Tu no. Ma la tua affermazione perentoria – non è quel grande scrittore che si dice – dà ad intendere che la tua opinione è superiore, non si sa bene perché, alla mia. Qualitativamente superiore, intendo.
C’è da rimanere a bocca aperta, davvero.
Quello che mi chiedo io è: in narrativa c’è davvero bisogno di realismo? O non è forse meglio puntare sul verosimile?
@chiara palazzolo
Te la canti e te la suoni da sola: nessuno aveva in mente di considerarti inferiore a chicchessia. Quel “si dice” stava per “molti dicono” non per sminuirti neh, ma non è che tu sia La Critica Italiana.
Faccio il mio esempio preferito, parlando di rapporti fra fantastico e realtà: American Gods, di Neil Gainman.
Gainman immagina che gli dei antichi di tutte le culture vivano oggi negli Usa depotenziati dal fatto di non essere creduti e indistinguibili o quasi dai comuni mortali. Succede però che dei ‘nuovi’ dei li vogliano uccidere e questi dei sono incarnazioni di quelli che Gainman giudica i mali del mondo presente: la televisione, la tecnologia, l’avidità etc
Fin qui, tutto bene e Gainman è sopra una spanna, come scrittore, ad altri del suo genere.
Ma perchè non è possibile prenderlo sul serio? Perchè è uno scrittore commerciale che deve evitare di offendere sezioni troppo ampie del suo potenziale pubblico: i ‘cattivi’ devono essere del tutto finti e far sentir bene i suoi lettori. Così si cita appena di passaggio Gesù Cristo e si mette in ombra il fatto che gli Usa sono il paese più cristiano d’Occidente: se Gainman ammettesse questo fatto tutto l’indirizzo del romanzo dovrebbe cambiare, dovrebbe decidere da che parte sta Dio, se è un dio come gli altri, come Anubis o Thor o Shiva, oppure se è il Dio della tradizione cristiana che avrebbe qualcosa da dire sulla lotta descritta da Gaiman. Gaiman non è realista perchè per ambientare le sue fantasie deve ricorrere a un mondo di cartapesta, fondamentalmente falso.
Esempio dello stesso tema trattato da uno scrittore diverso: Le Tentazioni di Sant’Antonio, di Flaubert, dove gli dei antichi (Geova compreso) muoiono tutti uno a uno, orribilmente, e a ucciderli è Cristo, da cui nasce il mondo moderno, con l’ateismo, la democrazia e soprattutto la scienza (ed è pure un libretto divertente e pazzo come Gaiman, non può essere, perchè uno scrittore d’intrattenimento come lui non può mettere in pericolo la possibilità di un videogioco o di un film di Hollywood).
Personalmente ritengo che la piega presa dalla discussione sia un po’ assurda.
La migliore narrativa è sempre riuscita a trattare temi universali a prescindere dall’ambientazione “realistica” o “fantastica” delle storie che sceglieva di raccontare.
Ho solo parlato bene di due romanzi italiani che mi sono molto piaciuti e subito mi si taccia di – addirittura – La Critica Italiana. E con un’intemperanza di tono non da poco. Mah. A volte un minimo di educazione…
Buonasera.
Ma “Gainman” è il nome di uno scrittore che guadagna?
A mio modestissimo parere American Gods è un romanzo confuso, vuoto e quel che è peggio, povero di idee e di sense of wonder. Sugli ‘dèi depotenziati’ hanno scritto opere più significative (e romanzi pieni di meraviglia e immaginazione) Tim Powers, Roger Zelazny, Michael Moorcock, Le Sprangue e De Camp, nonché appunto, lo stesso Gaiman in Sandman con ben altra ispirazione e ben altri risultati.
Questo per dire che Gaiman è in effetti diventato uno scrittore commerciale, uno scrittore che scrive spesso in una prosa sciatta e scadente, affollata di personaggi di cartapesta proprio quando cerca di raccontare la ‘realtà contemporanea’; è invece un discreto favolista dato che la sua conoscenza, anche da un punto di vista stilistico e ritmico, della favola tradizionale è eccellente.
Guardare al Gaiman scrittore come un autore originale vuol dire parlare unicamente dell’importanza dei suoi ‘temi’, ovvero delle sue idee, dimenticando però 1) quanto è sciatto il realismo attraverso il quale veicola la parte mitologica ; 2) che ci sono ‘fatasisti’ commerciali diversi anni luce di distanza più avanti di lui.
E no, non bisogna conoscere tutti gli autori di tutti i tempi per parlare della “letteratura e gli dei”; basta aver letto Lord of Light di Roger Zelazny, per avere un’idea di cosa vuol dire essere originali in fatto di narrativa e divinità.
Ossequi.
Ma anche:
“Quell’orribile forza” di C.S. Lewis (Adelphi)
Sul realismo in letteratura, prima di un’opinione una domanda:
E’ più realistico il racconto che ingloba elementi della cronaca passata o presente, potenziandone la portata fino a darne una rappresentazione “monografica”, o il racconto fantastico che snobba entrambe ritenendo propria vocazione costruire un simbolo dell’Intero?
Nel secondo caso, Tolkien sarebbe più realistico di De Cataldo. O no?
Ovviamente per me è così.
In effetti Tolkien sosteneva che l’universo letterario da lui creato non fosse affatto “altro” rispetto al nostro, ma un’immagine del nostro stesso mondo, quindi in un certo senso reale. Il punto è che la grande narrativa tratta temi universali, generali, a prescindere che lo faccia attraverso un’ambientazione realistico-contemporanea, o storica, o fantastica, etc. Occhio a non confondere la sostanza con le etichette e le classificazioni.
Povero neil gaiman di dritto o di rovescio ce lo infiliamo sempre.
Il gusto personale è una cosa, io non amo la prosa di Michael Moorcock per esempio perchè la sua visione per il mio palato è troppo psichedelica, mentre adoro Gaiman per l’aver infranto l’idea ecologica di classica à la tolkien che il fantastico venga schiacciato dalla modernità (ecco il presente che si rinnova) sostituendo l’idea che il fantastico coabiti con la modernità.
Il giudicare Gaiman commerciale perchè noi avremmo coinvolto Gesù in ‘american gods’ e pretendere giudicare scelte poetiche dell’autore mi sembra come dire che paperino e di sinistra e topolino è di destra. Inutile è tipicamente italiano.
Se ancora siamo a dividere il mondo della cultura tra ‘chi guadagna’ e chi ‘è duro e puro’ credo che ci rimarranno ben poche chances di capire la contemporaneità.
Non esiste non realistico, tutto il raccontare parla della realtà di chi racconta. Non c’è fuga possibile dalla realtà.
Cerchiamo di capire quale è la realtà che si cerca di afferrare…
D.
E’ buffo perché interpretando rigidamente i termini di Binaghi, mi verrebbe da dire che “Quell’orribile forza” è il peggio dei due mondi. Interpretazione di parte di elementi della cronaca passata e presente potenziata (deformata) per farla diventare simbolo dell’intero.
…diciamo ‘contemporaneità’ piuttosto che ‘realtà’: secondo me Gaiman non la sa scrivere e non la sa contaminare con la realtà mitologica. Almeno in prosa (ci riusciva nei fumetti). Credo dipenda dai suoi modelli letterari, e anche dal suo tipo di talento: gli è molto più congeniale il racconto puro, tradizionale, che non il romanzo.
Siamo finiti su Gaiman. Certo Gaiman non è Dostoevskij, American Gods ha i suoi bachi per probabilmente non diventerà un classico della letteratura.
Il problema è mettere gli autori in gara, pretendere che ci sia competitività. Che uno sia buono e l’altro una schiappa. Che la schiappa in realtà sia un astuto venditore di fumo in malafede altrimenti come potrebbe guadagnare tanto rubando, di fatto, il posto al sole, magari al povero autore buono e puro.
Gaiman ha la sua cosa da dire a volte peggio altre meglio, ma non siamo certo in grado di fargli l’esame di abilitazione alla letteratura, possiamo leggerlo o meno, tutto li.
Il nostro oggetto dovrebbe essere la realtà o la contemporaneità o tutti e due, e dovremmo usare l’arte per capirla meglio, anche i pezzi buoni di opere medie, e non fare le pulci agli autori, mettere in dubbio la loro dignità di autori o pretendere di pesare il rapporto tra l’opera e il suo autore.
D.
….mmmmno, nessuna competività tra autori immaginari: ho il dente avvelenato con Gaiman perché mi piaceva (quando scriveva Sandman) e parecchio; da quando si è messo a scrivere prosa è sceso, e se interpellato spiego i percome e i perquindi. Di fatto se ne parlo vuol dire che lo prendo seriamente, il che era il punto della discussione, prendere seriamente gli scrittori non (solo) ‘contemporaneisti’; e seriamente dico: è un pessimo scrittore (fantamitologicorealisticontemporaneo, fate voi).
Fine OT che siamo in casa d’altri.
(inchino col cappello piumato).
@Marco
Neanche per me “Quell’orribile forza” è un capolavoro. Lo citavo come esempio di “resurrezione” della mitologia (celtica) che accorre in salvezza di un mondo in balia del diabolico (tecnocratico)
Ancora sul realismo.
E’ evidente che il concetto di realtà o si evolve, soprattutto attraverso l’introduzione di nuovi media, come ha mostrato una volta per tutte McLuhan. Ad esempio non avevamo veramente idea di che cosa fosse il mimetismo finchè non ci siamo trovati di fronte a un Reality Show. L’errore di certa critica letteraria è quello di rimproverare alla letteratura di non obbedire ai dettami delle sintesi di un tempo. Ma dopo il cinema chi sente il bisogno delle quaranta pagine di Victor Hugo (I miserabili) sulle fogne di Parigi?
Però mi chiedo: che cosa rende realistico un racconto a prescindere dalle tecniche rappresentative che mette in opera, che cambiano col tempo? La mia risposta è sempre la stessa: la volontà di conoscenza, più è pura, più è sinottica, mentre la compromissione con una diagnosi più che legittima ma elaborata in sede diversa da quella estetica rende la “visione” negativamente selettiva. L’intenzione politica fa solo male all’arte, che riesce ad essere veramente politica solo quando non cerca di esserlo a tutti i costi.
Grazie Binaghi per non esimersi mai dal spiegare tutto a quattro gatti. Ci dica anche quattro sinonimi di realismo e quattro contrari.
Faccia il polpettone, poi.
un sinonimo di realismo è l’accettazione di quello che passa il web
cioè (anche) nani, ballerine, e buffoni riparati da un nickname
Il contrario è incazzarsi, sperare di incontrarne uno in giro e stenderlo con un calcio rotante alla chuck norris
In breve: molti definiscono il termine ‘realismo’ come ‘tutto quello che non mi piace’, oppure ‘roba vecchia’ a cui contrappongono il ‘fantastico’, inteso come ‘tutto quello che mi piace’, oppure ‘roba nuova’.
E non mi sembra una bella cosa.
Quanto poi al bisogno di evasione oggi, in questo mondo così brutto, beh, c’è solo da riprendere la vecchia metafora del versare acqua in mare…
Sascha, chi, di grazia, afferma questo? Chi sostiene che il fantastico sia, semplicemente, “evasione”? Chi sostiene che sia “contrapposto” al realismo? Mi sembra che le tue equazioni siano, nell’ordine: semplicistiche, prevenute, disinformate, provocatorie.
di più,
chi sostiene che il realismo sia “quello che non mi piace” e il fantastico “sia quello che mi piace”?
(cioè si wow mi piace, fantastico !!! spero parlassi in questo senso…)
dicci chi sono e gli regaliamo un vocabolario di italiano.
D.
In letteratura il “realismo” non esiste. Esiste la “sospensione dell’incredulità”. E la soglia che fa accettare al lettore il patto che l’autore gli propone, è diversa in ciascun lettore. Per il resto non ci sono altri vincoli.
Le critiche sul realismo della letteratura mi fanno sorridere, se penso che il primo esempio storico di narrativa che sia giunto a noi sia la “fabula”, che è tutto tranne che realista. Quando la letteratura descrive il reale, è comunque metafora. E la metafora non è mai realtà. Quanto all’ambientazione, poi, quella è addirittura un accessorio.
@sascha: coloro che fanno quella distinzione, non credo capiscano molto di letteratura…
In breve: molti definiscono il termine ‘realismo’ …
forse molti, ma ti assicuro non miocuggino.
ma “evasione” è proprio un termine così terrificante?! Nel senso che, ho “evaso” parecchio leggendo Camus, “evado” pochissimo leggendo ad esempio Pullman (che quindi ho abbandonato……..)!
Noto en passant che D.M. è riuscito nell’impresa tipicamente italiano di tirare in ballo la destra e la sinistra.
Ricapitolando. Tutto inizia con una battuta di Moresco sul fatto che la realtà oggi sia ‘sfondata’ e che quindi non si possa parlare di ‘realismo’ per descriverla. E’ una versione abbastanza futile di un vecchio discorso, un tempo popolare fra i teorici della ‘morte del romanzo’ secondo i quali la realtà d’oggi non sarebbe rappresentabile secondo i canoni del romanzo ottocentesco. La cosa appare talmente ovvia che ne’ Moresco ne’ quanti gli danno ragione sembra sentire il bisogno di darne una spiegazione (casomai si rimanda a chi la diede tempo addietro) considerandolo in pratica senso comune. La mia opinione è che si tratti di quel senso comune che, per esempio, giudicava le donne inferiori e ‘irrazionali’, cioè una cosa creduta da persone cui conviene.
E la convenienza sta nell’evitare di misurarsi con modelli ingombranti e troppo alti e difficili (è più facile scrivere come Kafka e Conan Doyle di quanto lo sia scrivere come Tolstoj e Balzac) come pure, se davvero la vita moderna sia più difficile da rendere di quella passata, evitarsi la difficoltà insita nel ‘realismo’ – e qui si rimanda al Baudelaire del ‘Pittore della vita moderna’ in cui il rifugiarsi nel fantastico o nello storico per evitare di doversi confrontare col moderno è definito esplicitamente come debolezza e mancanza di talento…
Noto en passant come Melmoth si firmi col nome del personaggio di un romanzo fantastico su cui il tuo nume tutelare Balzac ha scritto una fanfiction.
Noto en passant che anche Kafka è un autore commerciale (o, quanto meno, scrive facile).
E noto vieppiù che ho capito qual è il canone di Sascha: quel che piace a lui, e punto.
Di grazia, qual’è il canone ‘oggettivo’?
Se esprimo delle opinioni esprimo le MIE opinioni – di chi altro dovrei esprimerle? Presumo anche che le mie opinioni siano basate sulla realtà, se no non le esprimerei, ma essendo umanamente fallibile potrei sbagliare.
Quanto a Balzac che scrive una fanfiction si può dire che smise presto, quando scoprì che poteva (più o meno) vivere scrivendo cose che gli piacevano sul serio e così facendo creare un mondo invece di limitarsi a parassitare i successi commerciali del momento.
Seriamente, Balzac aveva una forte propensione al fantastico, genere fra l’altro in voga all’epoca, e ne scrisse anche poi però fece qualcosa di ben più interessante, cioè descrivere il suo mondo, con i suoi conflitti e passioni e interessi, rendendolo romanzesco, tanto da far sembrare oggi la sua Parigi una città incantata, molto più della maggior parte della narrativa ‘fantastica’ del tempo, tipo quella del povero Maturin. E naturalmente i suoi personaggi, presi lungo tutta la scala sociale, vivono di vita propria, più luminosi del normale, invece di essere ‘archetipi eterni’, ‘funzioni narrative’ o puri e semplici clichè cinematografici.
(e insomma, come fareste se non mi assumessi, come Riccardo III, la parte del cattivo?)
(e insomma, come fareste se non mi assumessi, come Riccardo III, la parte del cattivo?)
Personalmente io farei abbastanza bene, ma devo ammettere che leggere i tuoi commenti ha un po’ del fascino perverso del guardare un disastro ferroviario. Più che la parte di Riccardo III tu però assumi quella di Tom O’ Bedlam.
Di grazia, qual’è il canone ‘oggettivo’?
Mi sembrava fossi grande fan del canone di Bloom . Prova a togliere dalla Chaotic Age tutti gli autori e le opere che rifuggono il realismo /si rifugiano nel fantastico/nello storico. Da Capek a Bruno Schulz, da Joyce a Beckett, da Anatole France a J.G.Farrell, da Singer a Russell Hoban, da Lezama Lima a Cortazar, da A Voyage to Arcturus a The Third Policeman a Omensetter’s Luck a Pale Fire…
Ma già, tutti “rifuggevano di rappresentare la realtà secondo i canoni del romanzo ottocentesco per evitare di misurarsi con modelli ingombranti e troppo alti e difficili .”
@desian: a mio avviso, anche la letteratura più impegnata, purché narrativa, deve comunque avere una forte componente di “evasione”, ovvero di “intrattenimento”. Se in un libro non ce la trovo, significa che per me ha fallito in uno dei suoi scopi statutari (e difatti dopo un po’ tu hai abbandonato Pullmann).
Chi parla di letteratura “di evasione” per contrapposizione alla “letteratura impegnata”, fa un ragionamento viziato dalla puzza sotto il naso.
Anche per questo le equazioni “fantastico” = “evasione” e “realismo” = “impegno” sono delle emerite sciocchezze.
Insomma, il tuo canone è preso in prestito da quello di Bloom, definito ‘oggettivo’ giusto per lo spazio di un post internettiano – segue una lista di nomi che fanno mucchio.
Ragazzi, un giorno dovrete venire a patti col vostro odio/ripugnanza/ansia nei confronti della letteratura che chiamate ‘realista’. Cos’è che vi sconvolge nelle sue convenzioni (chiamiamole così) da farvi sentire il bisogno di convenzioni differenti? Perchè quando ne parlate assumete un tono di rivoluzione e battaglia in nome dei vostri diritti di consumatori che nessuno, che io sappia, disturba?
No, Sascha. Sei tu che devi venire a patti col tuo odio/ripugnanza verso tutto quello che differisce dal tuo personalissimo sentire. Non rigettare sul commentarium quella che è una tua, e solo tua, posizione: che peraltro, sto notando, esprimi con maggior disprezzo quando hai davanti un interlocutore che non conosci e che ritieni – a torto – un ragazzino imberbe da sbeffeggiare.
Insomma, il tuo canone
Oh, no, non è il mio canone. Era semplicemente un modo per sottolineare come ti basti lo spazio di due o tre giri di post per diventare incoerente con te stesso.
segue una lista di nomi che fanno mucchio.
segue una lista di nomi che io ho letto, per lo più in lingua originale.
Il mio canone me lo sono costruito attraverso i mei studi, grazie ad una curiosità onnivora, ed anche scoprendo autori attraverso il giudizio di persone, grandi critici o semplici blogger che fossero, che, indipendentemente dal fatto di avere o meno gusti,inclinazioni o preferenze estetiche comparabili alle mie, dimostravano di saper dire qualcosa di interessante sulle opere che esaminavano.
Non certo grazie a persone che ripetono all’infinito le stesse frasi fatte e vedono in continuazione i propri giganti al posto dei mulini a vento.
Ho letto GLI INCENDIATI e pure I CANTI DEL CAOS, e la mia idea è che Moresco sia un grande spirito intrappolato in un individuo con poco talento narrativo. Lui ha visioni ma non riesce a trasmetterle come vorrebbe, o se le trasmette come vorrebbe non si accorge di trasmetterle male. Quelle ripetizioni ossessive, quei participi passati, quegli avverbi (specie “irresistibilmente”), i dialoghi davvero brutti con quei punti esclamativi a oltranza, il sesso onnipervasivo e continuamente rilanciato, tutto ciò indebolisce a mio avviso, anziché acuire, la visione che lui possiede (una visione a tratti davvero kafkiana, grottesca e geniale) del mondo e della realtà “sfondata”. Riguardo poi quest’ultimo punto, secondo me lui vuole dire che la realtà umana, così com’è vissuta dall’uomo, è sempre stata sfondata, bucata, scissa e drammatica, ma che oggi ci troviamo su una specie di soglia antropologica, di crisi epocale e totale – di ideologie, di cultura, di economia, eccetera. E secondo me non ha affatto torto.
ps: ha ragione Sascha nel suo primo commento, per quanto mi riguarda: se leggi I CANTI fai un’eperienza incompleta e insoddisfacente, se leggi INFINITE JEST (ma ce ne sarebbero altri) ne esci cambiato.
@sascha: parli di venire a patti con l’odio/ecc. verso la letteratura “realista”? Ma che significa? Dai post che ho letto qui ho l’impressione che gironzolino in media menti aperte a qualsiasi “tipo” di letteratura purché “buona”, inteso – questo – nel senso più lato del termine. E ridurre la letteratura a una contrapposizione “realista” / “non realista” mi pare quantomeno non rendere giustizia alla variegata complessità della letteratura stessa.