Domenica si vota per le elezioni regionali. In estate avevo scritto questo articolo per l’Espresso. Le cose non sono cambiate.
E’ la primavera del 1990: Alex Langer, fra i più grandi ambientalisti italiani, scrive una lettera a San Cristoforo, di cui, bambino, ammirava le statue nelle chiesette di montagna. Gli dice che lo capisce, che comprende il suo sentirsi sprecato dopo aver prestato la sua forza ai signori più illustri, e ammira il suo “sentirsi assetato” di una Grande Causa. Quella Grande Causa gli sarebbe apparsa nelle sembianze di un bambinetto da traghettare dall’altra parte del fiume, ponendolo davanti al più difficile cimento della sua vita.
Trent’anni fa, Langer individuò in uno stile di vita diverso la nostra Grande Causa: con il rovesciamento, scrisse in quella lettera, del motto dei giochi olimpici, citius, altius, fortius, più veloci, più alti, più forti. Fermare la corsa, spiegare che la competizione è truccata, anzi autodistruttiva, “il passaggio da una civiltà del “di più” a una del “può bastare” o del “forse è già troppo”: questo era il compito, e lo è ancora.
Vari lustri dopo, siamo qui a constatare la verità di quelle parole e a non riuscire non dico ad attraversare il fiume, ma a vederlo. Ciò di cui sentiamo parlare sono le persone, non le Grandi Cause, e nemmeno il minimo sindacale costituito dai programmi: non ce ne lamentiamo, ma anzi siamo i primi a prestarci al gioco della personalizzazione. Vale anche per la sinistra, in verità: anche quando i programmi, ora detti agende, esistono, seguiamo rotture e possibili alleanze più che interessarci alla prospettiva. In pratica, siamo già disposti su due file, tre al massimo, pronti a fronteggiarsi sui nomi, la prossemica, il vocabolario dell’uno o dell’altra. Invece, dovremmo esser qui a ragionare su scuola, università, diritti civili, lavoro. Su un programma.
Il motivo? Manca non il famigerato storytelling (di quello ce n’è fin troppo) ma quello che l’antropologa Stefania Consigliere chiama il reincanto, ovvero la possibilità di ricostruire una comunità attraverso l’immaginario e dunque attraverso un percorso comune. In Favole del reincanto, uscito per DeriveApprodi, Consigliere sostiene che invece di opporsi al sortilegio del capitalismo che vuole l’individuo “auto-centrato, autosufficiente, nel pieno possesso delle sue capacità razionali, in stato di veglia, identico a sé”, la sinistra ha disertato, squalificato e ignorato l’immaginario: “Un errore storico di proporzioni madornali, perché ha comportato la smobilitazione di intelligenza e sensibilità dal terreno più cruciale per qualsiasi forma di cambiamento. Anziché abbandonare l’immaginario agli avversari, avrebbero dovuto impedir loro di incatenarlo, pervertirlo e violentarlo a piacimento”.
In altri termini, prima di lei, lo aveva detto George Lakoff, professore di linguistica a Berkeley, che nel 2004 pubblicò quella che dovrebbe essere la Bibbia dei politici, Non pensare all’elefante. Sosteneva, cioè, che ogni volta che parliamo le nostre parole riflettono come vediamo il mondo, e la nostra visione si chiama framing. Se non riusciamo a entrare nei frame mentali degli altri, possiamo dire tutte le verità del mondo, ma scivoleranno via. Se, peggio, rispondiamo al frame del nostro antagonista politico, gli facciamo un regalo gigantesco: è il suo quello che passerà. Puoi dire a chiunque di non pensare all’elefante, ma nel momento in cui lo dici, tutti vedranno un pachiderma nella stanza. Un po’ come dire: votateci, o arriva Giorgia Meloni.
Allora, invece di piazzare elefanti nelle piazze reali e virtuali sarebbe il caso di ricostruire il famigerato noi, quasi scomparso dalla circolazione a partire dai famigerati anni Ottanta, quando Margaret Thatcher lasciò cadere in un’intervista la frase più tossica pronunciata in mezzo secolo. Questa: “La vera società non esiste: ci sono uomini e donne, e le famiglie. E nessun governo può fare nulla se non attraverso le persone. La gente deve guardare prima a se stessa”.
Quella frase si è trasformata in mito. I miti si smontano costruendone altri. Nel 1995 lo scrittore Valerio Evangelisti, scomparso nello scorso aprile, scriveva: “Colonizzare l’immaginario. Sembrava impossibile, eppure basta disporre degli strumenti opportuni. Televisioni, mass media, una stampa docile, un trend culturale. Finisce che intere generazioni si trovano immerse in un sogno, e lo confondono con la realtà. Ora, quali sono le caratteristiche di un sogno? Che si vive una vicenda priva di antecedenti e di conseguenze nel futuro. Esiste il presente e basta”.
Sembra impossibile, ma la politica dispone degli strumenti per ribaltare il tavolo: ma ragionando sulle grandi cause più che sulle agende. Ricostruendo il noi. Il tempo è poco? Verissimo, ma almeno usiamolo bene. Appropriandoci, per esempio, di quel che scriveva David Foster Wallace (sì, un altro scrittore: ma a volte sono meglio dei social media manager, giuro) in quel meraviglioso discorso agli studenti del 2005:
“il cosiddetto “mondo reale” degli uomini, del denaro e del potere vi accompagna con quel suo piacevole ronzio alimentato dalla paura, dal disprezzo, dalla frustrazione, dalla brama e dalla venerazione dell’io. La cultura odierna ha imbrigliato queste forze in modi che hanno prodotto ricchezza, comodità, libertà personale a iosa. La libertà di essere tutti sovrani dei nostri minuscoli regni formato cranio, soli al centro di tutto il creato. Una libertà non priva di aspetti positivi. Ciò non toglie che esistano svariati generi di libertà, e il genere più prezioso è spesso taciuto nel grande mondo esterno fatto di vittorie, conquiste e ostentazione. Il genere di libertà davvero importante richiede attenzione, consapevolezza, disciplina, impegno e la capacità di tenere davvero agli altri e di sacrificarsi costantemente per loro, in una miriade di piccoli modi che non hanno niente a che vedere col sesso, ogni santo giorno. Questa è la vera libertà. Questo è imparare a pensare. L’alternativa è l’inconsapevolezza, la modalità predefinita, la corsa sfrenata al successo: essere continuamente divorati dalla sensazione di aver avuto e perso qualcosa di infinito”.
Questa è l’acqua, sì.
Questo mettere al centro solo se stessi e i propri interessi ha invaso ormai ogni ambito delle nostre vite. Anche contesti, per esempio quello della scuola, in cui solo avendo un senso della comunità e una prospettiva sul futuro si può portare avanti un’idea di cambiamento o trasmettere una visione che sia diversa dal sogno/sonno in cui siamo immersi. Grazie per la sua preziosa riflessione.