DESIDERARE LA ROSA D’INVERNO

In un febbraio di sessant’anni fa Cristina Campo scrive ad Alejandra Pizarnik una delle non poche lettere che le due poetesse si sono scambiate nel tempo. In particolare scrive una frase bellissima: “Lei possiede il grande coraggio, la grande pietà, “il sacro dono del ridere” ed è proprio la donna che vuole la rosa in inverno”.
Le rose d’inverno e il desiderio di vederle schiudere costituiscono l’immagine perfetta dello stato d’animo di questi giorni, che sono stati pienissimi e importanti: una manifestazione, I giorni della merla a Macerata, con Lucia Tancredi, la rappresentazione di Omissis alla Scuola Holden a Torino, con i miei compagni di via Fabiana Carobolante, Alfredo Morana e Alessandro Petrocco, e la rituale riunione preparatoria del Salone del Libro 2023.
Tre occasioni diverse e affini, che però mi danno la possibilità di dire una cosa molto semplice ma, almeno credo, centrale. Da diverso tempo, e di certo da prima della pandemia ma con un peggioramento evidente durante e dopo, è diventato difficile formulare e condividere progetti a lungo termine. Si cerca, per lo più, l’occasione da cogliere nell’immediato per poi passare ad altro, in quella bulimia inarrestabile di cose, poteri, libri, eventi, onori, gratificazioni che evidentemente non bastano, e che spingono a cercare ancora e ancora. Ogni libro diventa nella mente il sicuro best-seller. Ogni possibilità diventa quella che coronerà la nostra vita. Ed è evidente che non funziona così: quello che funziona, anche se magari non risulta evidente o non subito, è il progetto comune e il modo in cui lo si persegue. La rete, le idee, il guardare avanti e guardare insieme. Credo sia l’unica possibilità che ci salva dallo smarrimento. E, se posso, dalla solitudine. Non siamo mai stati soli come ora: nonostante tutto, poche occasioni per vedersi e parlarsi davvero, e in più l’illusione di essere tanti perché chiacchieriamo sui social. Vive, vive, vive, vive, scriveva David Foster Wallace ai suoi correttori di bozze. E’ la stessa reazione che dovremmo avere a ogni quotidiana demolizione del nostro essere sociali: vive, vive, vive, vive.

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