Nelle due settimane passate sono accadute alcune cose, su cui sono intervenuta soprattutto sui social, causa impegni per la trasmissione. Una delle quali è la polemica pasquale sull’associazione tra scrittrici e romance: argomento su cui evito di tornare perché è ciclico quanto non risolvibile nell’immediato. La seconda polemica riguarda invece le basse cifre di vendita dei libri in Italia, su cui, ugualmente, non torno per il semplice motivo che è faccenda notissima, e non solo fra gli addetti ai lavori (o così dovrebbe essere).
Però alla domanda che ne è scaturita, perché si scrive, posso rispondere, ma senza generalizzare. La risposta generale al perché si scrive sarebbe infatti lunga e complicata: ognuno ha le proprie motivazioni, e nessuna è criticabile, secondo me. Per quanto mi riguarda, scrivo perché voglio scrivere. Cerco di resistere alla sirena del romanzo annuale, e magari tra un romanzo e l’altro prendo vie laterali: dopo La notte si avvicina, è avvenuto con Nome non ha, Roma dal bordo, La strada giusta, che sono novelle o narrazioni psico-socio-geografiche, e con alcuni racconti. Oppure, scrivo per le bambine e i bambini, e infatti il secondo capitolo del Senzacoda, Il re dei mostri, uscirà a fine mese per Salani.
Nei fatti, stavo lavorando da tre anni almeno a un altro romanzo, il terzo dopo L’arrivo di Saturno e La notte si avvicina. A gennaio, scavallata la metà, mi sono fermata. Perché sentivo che mi stavo ripetendo: c’era troppo dei due libri precedenti, dentro, anzi c’erano tutti e due, in contenuti e struttura: non mi dispiaceva quello che stavo scrivendo, ma qualcosa dentro di me mi spingeva a interrogarmi sul senso generale. Perché andare avanti se non riesco a immaginare una situazione diversa?
Dunque, mi sono fermata. Capita a molte e molti, e non c’è nulla di male: è possibile tornare su quanto già fatto o è possibile anche che si cambi tutto. Non lo so, al momento, e lo scoprirò quando, in autunno, ci tornerò sopra. Scrivo “in autunno” perché nel frattempo sto scrivendo altro.
E lo sto scrivendo con tanta convinzione che in meno di due mesi ho finito la prima stesura (altre, ovviamente, ne verranno), e ho lavorato con entusiasmo e gioia, al punto che non riuscivo mai a staccarmi dalla storia, anche quando non ero davanti al computer.
Cosa sto scrivendo, dunque?
Sto scrivendo un romanzo. Tratto da Il segno del comando, ovvero dallo sceneggiato di Giuseppe D’Agata (e altri, la questione dell’ideazione e della sceneggiatura è complessa e non la rievocherò qui), che più avanti ne trasse a sua volta un libro.
Ma questa sarà un’altra storia: l’idea è di questa estate, quando con Roberto Genovesi, allora fresco direttore di RaiLibri (finalmente uno scrittore a RaiLibri!) ne discutemmo davanti a una bibita. RaiLibri, infatti, apre una collana che è dedicata proprio alla riscrittura di alcuni tra gli sceneggiati storici più amati.
Ma, appunto, la mia non è una semplice novellizzazione: sto scrivendo un vero e proprio romanzo gotico che più gotico non si può. Rispetterò i personaggi, l’ambientazione e lo schema dello sceneggiato: ma ci sarà molto, molto altro. Ci sarà l’Italia del 1971 e tutte le oscurità e i fermenti che correvano sottopelle. Ci saranno storie che si intreccerano alla vicenda principale. Ci saranno le motivazioni e le vite dei personaggi secondari e ce ne saranno molti assolutamente nuovi. Ci sarà un finale diverso rispetto a quello giustamente sospeso dello sceneggiato. E, in ordine sparso, ribelli e cospiratori, cultori dell’esoterismo vecchi e nuovi e veri e falsi, alchimisti e streghe (metaforiche e reali), e tutto quel che il gotico ama ed è.
Uscirà in autunno, ovviamente per RaiLibri.
Che altro dire, per ora? Che è una delle avventure più belle in cui mi trovo, e pazienza se qualcuno lo troverà poco “letterario”: credo proprio che non sia così, ma evidentemente il giudizio non spetta a me. Di certo, spero che lo amerete come lo sto amando io.
Pace, bene e tenebrose presenze.