Premessa: i due libri in questione sono assolutamente e completamente diversi. In comune hanno il fatto che di essi si sta discutendo parecchio, e a volte le argomentazioni sembrano avvicinarsi. Sembrano.
Primo libro: Fiona di Mauro Covacich. Il quale, in questo intervento su Nazione Indiana risponde a Tiziano Scarpa. E ad una critica su tutte: “questo romanzo contro il sistema è perfettamente funzionale al sistema, questo romanzo che addita la nostra epoca come unico colpevole non fa che rispecchiarla vicariamente, questo romanzo, distruggendo a parole il mondo dei giornali e delle tv, si presta surrettiziamente a dibattiti giornalistico-televisivi”. Dice, fra molto altro, Covacich: “La critica che Scarpa mi fa io la trasformo in una domanda per tutti: è possibile ancora spalancare una porta senza trovarci già qualcuno dietro? E’ possibile ancora un fuori vero? Un fuori non ancora inglobato, assimilato, marketizzato?”
Secondo libro: Costantino di Genna-Monina. Se ne sta già parlando, anche qui e poi qui.
La polemica, per quanto ho potuto leggere fino ad ora, riguarda soprattutto la scelta del tema. Ma sicuramente anche questo libro può surrettiziamente prestarsi eccetera.
Però la domanda sul “fuori vero” mi pare importante.
Non è solo una domanda importante, ma decisiva. Il “destino” della letteratura e della cultura in generale dipende terribilmente dal fatto che questo “fuori vero” esista e che sia dicibile, rappresentabile. Secondo me è un errore credere che la televisione detenga tutto il potere della comunicazione; è un errore sottovalutare l’autorevolezza che ancora oggi appartiene al narratore, al creatore di racconti, al cantastorie, ascoltato e “rispettato” più di quanto non si sia solitamente disposti ad ammettere. Ed è uno sbaglio ancora più grave pensare che ogni cosa sia stata già detta e archiviata già prima di venire alla luce. La semplice riproduzione dell’esistente (quando non è accompagnata dall’intuizione di un’alternativa, di un mondo diverso) equivale, non c’è dubbio, a una dichiarazione di complicità con il sistema: ma in realtà non è della mimesi, del rispecchiamento che ha bisogno l’universo composito e sempre in movimento del “pubblico”, della “gente”, del “popolo”. Oggi come sempre questo universo chiede fondamentalmente di essere affascinato, trasportato oltre se stesso: e questo, chiedo scusa per la retorica, non perché sia stupido o ami essere ingannato ma perché è composto da esseri umani. Se uno scrittore e un’intera cultura rinunciano al proprio compito di creare, narrando, uno scarto dal reale, stiamo pur certi che un vuoto così innaturale verrà colmato dal berlusconi di turno nei modi e nei termini di sua competenza e interesse. Con gli esiti disastrosi che conosciamo.
Loredana ma che mi combini?
Mia moglie mi accusa di essere un computer, una macchina.
Io faccio un esame di me stesso e dico che forse ha ragione. La mia professione mi ha portato a vedere un mondo in binario. Decido, quindi, di frequentare alcuni posticini cercando spunti(ni) di lettura che possano ingentilire il mio arido mondo tecnologico.
E che ti trovo?
Costantino, la Littizzetto, Lady D etc etc.
Ma allora mi vuoi far scappare?
E poi non vi lamentate se in Italia si leggono pochi libri.
Torno nei miei bit & byte.
buffo – io ho sempre creduto che aprire certe porte significasse penetrare e non fuoriuscire
E’ il famoso detto di Kafka: che sta li’ in attesa, ma velato alla vista, distante. Tuttavia non ostile, non riluttante, non sordo.
Un fuori vero e’ sempre possibile. Ma non si progetta, accade. E si distingue quasi sempre in ritardo, quando e’ ormai incombente.
Suppongo che il libro di Genna e Monina che non ho ancora acquistato, si spinga verso una critica dell’immaginario (chiedo a Genna). Se è così il tema del soggetto è al più alto livello dell’esigenza narrativa contemporanea e la letteratura ha ancora un destino e una speranza.
Una lettura dell’Epidemia dell’immaginario di Zizek non farebbe male.
In bocca al lupo a Genna e Monina.
siamo e scriviamo ciò che siamo, chi la vita, chi la merda, chi che tutto è già stato detto e fatto. il fuori esiste dentro di noi o no esiste, ed è la vita stessa, le sue aperture, che sono per pochi o per tutti. il resto è cronaca, i presunti scrittori di oggi sono quello che erano i buoni giornalisti di ieri, li chiamate scrittori per inflazione del titolo.
Fuori da dove?
Fuori dalla porta di casa o perché hanno esagerato con gli additivi?
Si può stare fuori da cosa?
Autori come James G. Ballare, Don DeLillo, Douglas Coupland, Dennis Cooper, solo per citarne alcuni, sono dentro?
I loro scritti, romanzi, saggi e articoli, analizzeranno pur qualcosa, useranno pur un immaginario e da qualche parte questo immaginario, questo qualcosa da analizzare, dovrà pur esistere.
A già, la scelta degli argomenti e le argomentazioni.
Milan Kundera conclude uno dei suoi romanzi con un’accurata disamina degli escrementi: “…Da ciò deriva che l’ideale estetico dell’accordo categorico con l’essere è un mondo dove la merda è negata e dove tutti si comportano come se non esistesse. Questo ideale estetico si chiama Kitsch.”
Possiamo far finta di niente e starne fuori o, se preferite, all’interno, ma con parsimonia, perché se no, poi, si puzza troppo.
il libro di Genna/Monina l’ho subito preso e letto. Non tanto per amore degli autori quanto perchè ho trovato, come dire, bizzarri, alcuni post che discutevano dell’oggetto e non della scrittura: non leggo Moby Dick perchè dell’hobby per la pesca di un vecchio mutilato non me ne frega nulla. Ecco, il libro di Genna e Monina non parla di Costantino. Quasi mai. Sicuramente è un libro disorientante con un controllo maniacale per la lingua, una lingua esclusivamente televisiva. Un libro strabico che spara molto in alto e molto in basso e infatti alla Lipperini è piaciuto e, a quanto si legge, ha reso folli di gioia quelli di eva3000. Chi pensa che i pezzi di Alberoni sul Corriere siano illuminanti lo disprezzerà. Soprattutto è un libro alieno nel panorama italiano e anche per questo difficilmente assimilabile nei dibattiti in corso (anche oggi sul corriere) su letteratura e mercato.
Achab, descrivi totalmente il mio approccio al libro su COSTANTINO. Esso non intende essere, come suppone Lumina che da molto mi conosce, una critica all’immaginario. Secondo me, non esistono critiche all’immaginario, ma immaginari diversi, che esplodono a gradi differenti di potenza. Io invito soprattutto coloro che hanno tra i 30 e i 40 anni a riflettere sul fatto che l’immaginario supposto pubblico, in Italia, in cui sono cresciuti, è il medesimo che ha partorito Costantino. Il mio immaginario non è né pubblico né privato: è politico, e di questo immaginario politico ho tentato di scrivere. Parole come quelle di Achab mi motivano a continuare a scrivere: perciò lo ringrazio davvero.
Insomma, queste filosofiche domande. Uno ci prova, a rispondere
(sul blog, per pudore e per vanità insieme)
Ciao
Ho capito quello che vuoi dire Giuseppe. E grazie ad Achab per le sue specifiche.