SENZA PAROLE

David Foster Wallace, ciao.
Da Repubblica.it:
LOS ANGELES – Lo scrittore americano David Foster Wallace, 46 anni, che aveva raggiunto fama internazionale dodici anni fa con il romanzo Infinite Jest, è stato trovato impiccato nella sua abitazione a Clermont, nel sud della California. Secondo le prime informazioni diffuse dalla polizia locale, è stata la moglie a scoprire il cadavere.
Wallace era un narratore, saggista e autore noto per l’ironia cupa e i suoi libri hanno un ampio seguito e un pubblico appassionato in vari paesi del mondo. In Italia aveva fatto il proprio debutto pubblico alle “Conversazioni” di Capri due anni fa con il collega Jonathan Franzen.
Infinite Jest fu, al debutto nel 1996, un libro-evento, un tomo di oltre 1400 pagine che in Italia fu lanciato da Fandango con ampia eco nel 2000, con la traduzione di Edoardo Nesi e con una lettura pubblica di tre giorni che coinvolse grandi nomi della narrativa.
Il libro lo consacrò come una figura di primo piano nella letteratura americana contemporanea e gli valse un finanziamento come “genio” dalla MacArthur Foundation.

43 pensieri su “SENZA PAROLE

  1. Ho appreso anch’io la notizia. E anch’io rimango senza parole.
    Una grande perdita per la comunità letteraria internazionale.
    Qualche giorno fa abbiamo ricordato il centenario della nascita di Cesare Pavese.
    E verrebbe da domandarsi: cos’è che spinge questi grandi letterati a… spegnersi?
    Ma forse è una domanda stupida.
    Prima ancora che letterati, e scrittori, sono uomini.
    Con le loro debolezze, le loro mancanze.
    I loro “tarli”.

    Ciao Loredana.
    Un saluto a Nicola e a tutti.

  2. O Lipperini ma mi facci il piacere, mi facci! L’anno scorso di questi tempi gliene dicevate di tutti i colori a Foster Wallace, e a quelli che scrivono in certa maniera prolissa, impegnata, infinita. Non me la prendo con lei, che non ha alcun potere effettivo in ambito culturale, ma me la prendo con quelli della sua scuola per “piccole scrittrici crescno” o “piccoli mediocri stanno a galla”, dove ad ammazzarsi, e a morire, sono quelli che si ribellano, che affrontano ogni giorno sfide immense per la Letteratura. Gli epitaffi sul blog lasciateli per la morte di Pulsatilla. Grazie.

  3. Affascinante come certa gente riesca a mettere fuori il capino (sempre la stessa, poi) anche nei momenti meno adatti.
    E’ vero, io sono una dei non molti che ha avuto da ridire sulla scrittura di Foster Wallace. Ma non ne ho mai negato il talento, come credo sia ampiamente dimostrabile.
    Comunque, sono lieta di non avere potere effettivo in ambito culturale: pensi quanti piccoli mediocri, e grandi rancorosi, affollerebbero questo luogo, in tal caso.

  4. Se ho un vero nemico, un patriarca contro cui effettuare il mio parricidio, sono probabilmente Barth e Coover e Burroughs, e perfino Nabokov e Pynchon. Perché, anche se la loro consapevolezza, la loro ironia e la loro anarchia avevano scopi validi, l’assorbimento della loro estetica nella cultura consumistica americana ha avuto conseguenze terribili per gli scrittori e per tutti gli altri. Il mio saggio sulla TV in realtà parla di quanto sia diventata velenosa l’ironia postmoderna. Lo vedi in David Letterman, in Gary Shandling e nel rap, ma lo vedi anche in quella merda di Rush Limbaugh, che potrebbe pure essere l’Anticristo. Lo vedi in T. C. Boyle e William Vollmann e Lorrie Moore. E’ più o meno tutto quel che c’è da vedere nel tuo compare Mark Leyner. Leyner e Limbaugh sono le torri gemelle dell’ironia postmoderna degli anni Novanta, il loro è un cinismo “hip”, un odio che strizza l’occhio e ti dà di gomito e finge che sia tutto uno scherzo.
    L’ironia e il cinismo erano quel che ci voleva contro l’ipocrisia americana degli anni Cinquanta e Sessanta. La cosa grandiosa dell’ironia è che seziona ogni cosa e poi la guarda dall’alto per mostrarne le tare, le ipocrisie, le scopiazzature […] Il sarcasmo, la parodia, l’assurdo e l’ironia sono modi efficaci di smascherare la realtà e mostrarne la sgradevolezza, ma il problema è: una volta che abbiamo fatto saltare le regole dell’arte, e dopo che l’ironia ha svelato e diagnosticato le brutture del reale, a quel punto che facciamo? L’ironia è utile per sfatare le illusioni, ma in America le illusioni le abbiamo già sfatate e ri-sfatate […] L’ironia e il cinismo postmoderni sono ormai fini a se stessi, sono il parametro della sofisticatezza hip e dell’abilità letteraria. Pochi artisti osano parlare di altri modi di porsi per risolvere ciò che non va, perché temono di sembrare sentimentali e ingenui agli occhi degli ironisti stanchi di tutto. L’ironia è stata liberatoria, oggi è schiavizzante. In un saggio ho letto una bella frase, diceva che l’ironia è il canto dell’uccellino che ha imparato ad amare la propria gabbia. Non c’è dubbio che i primi postmodernisti e ironisti e anarchici e assurdisti abbiano prodotto cose egregie, ma il guizzo non si passa da una generazione all’altra come il testimone della staffetta, il guizzo è personale, idiosincratico […] Dai giorni di gloria del postmoderno abbiamo ereditato sarcasmo, cinismo, una posa annoiata maniaco-depressiva, sospetto nei confronti di ogni autorità, sospetto di ogni limite posto alle nostre azioni […] Devi capire che questa roba ha permeato la nostra cultura, è diventata il nostro linguaggio, ci siamo dentro a tal punto da non capire più che è solo una prospettiva, una tra le tante possibili. L’ironia postmoderna è diventata il nostro ambiente.
    […] Tutta l’attenzione e l’impegno e lo sforzo che come scrittore richiedi al lettore non possono essere a tuo vantaggio, devono essere a suo vantaggio […] Un’opera davvero grande nasce probabilmente da una volontà di svelarci, di aprirci a livello spirituale ed emotivo in un modo che rischia di farci provare davvero qualcosa nel farlo. Significa essere pronti a morire, in un certo senso, pur di riuscire a toccare il cuore del lettore.
    — DFW, 1993

  5. La citazione di Wu Ming è secondo me è essenziale per capire Wallace. è proprio la pietra angolare. Io sono una lettrice di Wallace (e una sua per così dire dilettante recensionista su Pulp) molto addolorata per la sua morte ma sicuramente non sorpresa. Quello che sentivi sotto tutta la sua bravura era davvero ciò he è condensato in questa frase citata sopra: essere pronti a morire, in un certo senso, pur di riuscire a toccare il cuore del lettore, e tutta la malinconia e il dolore di non riuscire forse a farlo, il dettaglio che non becca mai la cosa per quanto l’ingrandisca.
    Da Oblio: Caro vecchio Neon:
    “(…) in altre parole David Wallace che cercava, anche solo per l’istante che ha le palpebre abbassate, in qualche modo di riconciliare quello che quel tipo radiante era parso dall’esterno con la cosa che all’interno lo aveva indotto a suicidarsi in modo così teatrale e indubbiamente doloroso (…)
    Che la terra gli sia lieve.

  6. L’avevo conosciuto con “Oblio”. La lettura all’inizio non facile, che poi allargava il respiro verso qualcosa di troppo grande per la mia testa. E alla fine la sveglia potentissima, che ancora mi scuote: “il mercato *è* il suo test”.
    Grazie per aver toccato il mio cuore, David
    E grazie a chi qui lo ha ricordato
    C.

  7. Una notizia orribile. Alla bella citazione riportata da WM1 ne aggiungo un’altra, tratta da “Infinite Jest”, che tempo addietro mi suggerì un collegamento tra il film “The bridge” e i jumpers delle torri gemelle. Riletta oggi, alla luce della sua fine, per me è un invito a interrogarsi sulle fiamme del talento, quelle che lo alimentano e quelle che lo minacciano.
    “La persona che ha una così detta “depressione psicotica” e cerca di uccidersi non lo fa aperte le virgolette “per sfiducia” o per qualche altra convinzione astratta che il dare e avere nella vita non sono in pari. E sicuramente non lo fa perché improvvisamente la morte comincia a sembrarle attraente. La persona in cui l’invisibile agonia della Cosa raggiunge un livello insopportabile si ucciderà proprio come una persona intrappolata si butterà da un palazzo in fiamme. Non vi sbagliate sulle persone che si buttano dalle finestre in fiamme. Il loro terrore di cadere da una grande altezza è lo stesso che proveremmo voi o io se ci trovassimo davanti alla finestra per dare un’occhiata al paesaggio; cioè la paura di cadere rimane una costante. Qui la variabile è l’altro terrore, le fiamme del fuoco: quando le fiamme sono vicine, morire per una caduta diventa il meno terribile dei due terrori. Non è il desiderio di buttarsi; è il terrore delle fiamme.”

  8. Posto il mio silenzio sia davanti al gesto raggelante di Wallace, sia davanti alla tragedia molto più piccola dell’uscita della versione n.2 del saggio di Wu Ming1 su se stesso. E guai se mi dice che la “butto in vacca”:-/

  9. Ho letto che forse era per un male terribile allo stomaco. Mi faccio schifo da solo a pensarlo, ma se fosse così, mi sentirei meglio. Perché il pensiero di DFW che si ammazza perché ha “ingoiato merda psichica” (da “Il suicidio come una specie di presente” in Brevi interviste con uomini schifosi), senza motivi esterni, oggettivi, espliciti, mi fa uno spavento terribile.
    Come sempre succede in questi casi, quando ho letto la notizia, mi è venuto in mente quel passo divertentissimo di “Una cosa divertente che non farò mai più” in cui lui, durante la crociera extralusso, si nascondeva dietro l’angolo del corridoio per cercare di beccare la cameriera che passava a rassettargli la stanza.

  10. Tristezza.
    Continua a venirmi in mente l’immagine finale di Verso occidente, la ruota impantanata che gira velocissima ma incapace di fare ciò che deve: fare presa, muovere il veicolo. La mente. la sua mente, più veloce delle nostre. E veicoli impantanati.

  11. Tutto qua?
    Potevi proporne un ricordo migliore che un distico post mortem.
    Con affetto, ma ero venuto qui apposta per leggere qualcosa di interessante sulla morte di uno dei più nuovi e interessanti scrittori della storia letteraria contemporanea. Io l’espressione “senza parole”, a meno che non si riferisca all’omonima canzone di Vasco, la dichiarerei illegale. Almeno per uno scrittore.
    [Ste]

  12. Aggiungo un’altra cosa: il grassetto che Wu Ming1 ha scelto di sistemare alla fine dell’intervento di DFW stesso, per sottolineare una frase sulla morte, che secondo lui, secondo WuMing1, dovrebbe avere un qualche significato proprio in riferimento al suicidio stesso dello scrittore in questione, è una delle cose più meschine, grette, strumentali e pretestuose che mi siano mai capitate di vedere in tempi recenti riguardo all’argomento: Facciamo Vedere Alla Povera Gente Come Il Suicidio Di Uno Scrittore Fosse Annunciato Da Qualche evidente Traccia Precedente Che Solo IO, Nella Mia Immensa Lungimiranza, Ho Saputo Cogliere. (argomento, questo, già vomitevole di per sé)
    [Ste]

  13. Quello che trovo non vomitevole ma esasperante, caro Ste, è il tuo atteggiamento. Ogni tanto riappari, dici che siamo tutti delle teste di cazzo, vomiti qualche insulto e te ne vai. Fantastico.
    Io ho postato la notizia ieri, poco dopo che era stata diffusa in rete, e ho lasciato aperto questo spazio a chi volesse intervenire e dire la sua.
    Se tu non trovi di meglio, a proposito di DFW, che sputazzare sentenze, per carità, fai pure.
    Ma per cortesia, lascia stare l’affetto, grazie.

  14. Uhm… L’evidente equivoco alla base della “lettura” di Noantri nasce forse dalla fretta di leggere per poi esprimersi. Una lettura concitata e poco accorta delle parole di Wallace può portare a separare il grassetto finale dal discorso che viene prima, quello contro l’ironia e il cinismo postmoderni.
    L’accento, nella frase grassettata, sta su “toccare il cuore del lettore”. Toccare il cuore del lettore. Chi invece sente l’accento posarsi sul verbo “morire” ha forse qualche problema con l’idea della morte etc. Il verbo “morire” è subito seguito dall’inciso “in un certo senso”, che serve a togliergli parte dell’inevitabile enfasi, e a mantenere la frase in equilibrio.
    Di cosa sta parlando DFW?
    Sta parlando di un forte investimento etico nella scrittura, investimento che vada “a vantaggio del lettore”, non del narcisismo autoriale. La frase finale, dunque, è la conseguenza tratta da tutto il ragionamento. Il tema qui è la sincerità, e riguarda chiunque faccia questo mestiere, è un monito diretto a tutti gli artisti. E’ assente qualunque “prefigurazione” delle sorti personali di DFW.
    Del suo suicidio mi frega poco. M’importa quel che ha detto e scritto da vivo. Mi importa di quello che ha toccato il cuore mio e di altri lettori.

  15. Dunque ricapitoliamo. Qualcuno scrive un saggio in merito al quale non tollera ironie, tanto più che nel saggio stesso si è premurato di decidere – proprio lui, l’ex burlone dei LB, che il tempo dell’ironia o, peggio ancora, del sarcasmo è finito. Chiunque faccia ironie sul suo saggio, di conseguenza, è un fottuto bastardo passatista che non sa cogliere l’epicità non tanto del presente, quanto dell’elogiatore ufficiale di Leonida. Poi, a fagiolo, muore Wallace e il nostro saggista non si lascia sfuggire l’occasione di citarne la frase “Irony tyrannizes us”. La fantaccina Lippa, sempre agli ordini del nostro sergente new-epico, è in visibilio conclamato.

  16. “Sta parlando di un forte investimento etico nella scrittura, investimento che vada “a vantaggio del lettore”, non del narcisismo autoriale”
    infatti era chiarissimo.
    Anzi, appena letto l’intervento di WM1 ho subito pensato al NIE. Non mi quadravano i conti: avevo in mente DFW. Adesso quadrano.

  17. “[…] Stringiamo un patto qui, presso il macigno di Iljusa: che non ci dimenticheremo prima di tutto di Iljusecka, e poi l’uno dell’altro. E qualunque cosa ci accada in futuro nella vita, anche se non dovessimo incontrarci per i prossimi vent’anni, dobbiamo sempre continuare a ricordare il giorno in cui abbiamo sepolto il povero ragazzo, al quale in passato avevamo tirato i sassi presso il ponticello – ve lo ricordate? – e di come, poi, abbiamo tutti preso ad amarlo. […]. E, per quanto possiamo essere impegnati in cose della massima importanza, per quanto possiamo aver ottenuto grandi onori o essere precipitati in qualche grande disgrazia – in nessun caso dobbiamo dimenticare di come siamo stati bene un tempo qui, tutti insieme, uniti da un sentimento così nobile e buono, che ha reso anche noi, per il periodo in cui abbiamo amato il povero ragazzo, migliori forse di quello che siamo in realtà. […] Sappiate che non c’è nulla di più sublime, di più forte, di più salutare e di più utile per tutta la vita, di un buon ricordo […]. E anche se dovesse rimanere un solo buon ricordo nel nostro cuore, anche quello potrebbe servire un giorno per la nostra salvezza. Potremo anche diventare cattivi un giorno, […] tuttavia, per quanto possiamo diventare cattivi – che Dio non voglia – quando ricorderemo il giorno in cui abbiamo sepolto Iljusa, […] potrebbe accadere che proprio questo ricordo lo distolga da un grande male ed egli potrà riflettere e dire: “Sì, allora ero buono, coraggioso e onesto”. […]
    “Sarà sicuramente così, Karamazov, io vi comprendo, Karamazov!”, esclamò Kolja con gli occhi che gli brillavano.

  18. Ho sentito Salvatore Niffoi affermare, con certezza assoluta, che «la grande letteratura cambia le persone. Chi ha letto La morte di Ivan Ilic non tira dritto se si imbatte in un incidente stradale, si ferma a soccorrere i feriti». Purtroppo no, Niffoi non ha ragione: lo pensavo mente lo ascoltavo, e lo penso oggi scorrendo questi post. C’è al mondo gente che legge grandi libri, e quando si imbatte in un incidente si ferma per sputarci sopra.

  19. Usare l’occasione della morte di X per sfogare i propri livori contro Y che stava omaggiando X. Esiste un nome, per questa particolare figura retorica?
    La versione 2.0 che ho diffuso stamattina contiene anche questo passaggio, basta leggerle le cose, e i malintesi svaniscono. Siamo tra persone oneste.
    ———
    Gelidamente ironico
    Ho troppi dubbi sugli avverbi in -mente per usarli a cuor leggero. E’ infatti questa particolare forma di ironia quella di cui noto il perdurante abuso: l’ironia a corso forzoso, schermata e anaffettiva, tipica del postmodernismo della fase terminale. Del resto lo precisavo: nel NIE non manca lo humour, si può essere seri e ridere etc.
    Qualcuno, orecchiando il memorandum da un altro che lo aveva leggiucchiato, ha inveito contro di me accusandomi di voler eliminare l’ironia tout court, cioè una modalità della comunicazione umana che esiste da quando la specie ha prodotto il primo schiocco di lingua.
    Dubito di avere un simile potere prescrittivo, e anche l’avessi non lo userei, perché sono un buon diavolo.
    La modalità ironica è ben presente anche in molti dei libri che ho citato, in primis quelli di Camilleri e poi altri, non ultimi i nostri 54, Guerra agli Umani, Canard à l’orange mécanique, New Thing e American Parmigiano. La differenza è che ironia e sarcasmo sono mirati, si esercitano nei confronti di precisi comportamenti e situazioni, senza esondare e investire l’atto stesso di scrivere. La fiducia nel potere della parola è un must.

  20. Forte. Siamo su un blog a parlare/scrivere di un artista che viene adorato da molti, ma ammirato da quasi tutti (anch’io ho delle perplessità sulla sua scrittura, ma certo non posso non riconoscerne l’unicità) potremmo discutere su questa morte e trovarne le tracce nelle sue pagine, oppure all’interno della società contempranea, come Wallace ha fatto e invece no. Qualcuno qui non riesce a far altro che polemizzare in maniera sterile, perchè in fondo di DFW non gliene frega niente, come di tutto il resto; l’unica cosa importante è il suo punto di vista. Perché non andate sul forum degli Amici di Maria?
    Qualcuno ha parlato di male terribile allo stomaco, Kurt Cobain lo indicò fra i vari motivi del suo suicidio… tutto ciò è bizzarro e veramente triste

  21. Macché, l’importante invece è sfruttare David Foster Wallace per attaccare WuMing, “colpevole” di aver riportato una interessante presa di posizione di Wallace e di averci riflettuto sopra. Se a questo scrittore ci teneste davvero, fareste così anche voi, ma se invece è solo un pretesto come un altro…. magari non ne avete mai letto una riga.

  22. Cara Lipperini, mi permetto di consigliarti di mettere i commenti in moderazione. Lo dico perché il sabotaggio funziona: i miei ingressi su Lipperatura sono drasticamente diminuiti a causa di certe cadute di stile tra i commentatori. E la cosa mi dispiace molto.

  23. Caro Ferrigno, alcuni commentatori molesti sono in moderazione da mesi: altri, a questo punto, avrebbero rinunciato al continuo cambio di identità pur di commentare a tutti i costi. Quelli persistono. Ma mi dispiacerebbe mettere tutti in moderazione per l’insania di due o tre. 🙂

  24. “Quelli”. Ma qui si tratta di uno solo. Che sul suo blog riporta i commenti che fa qui fingendo siano di altri che non conosce. E poi manda sms alla Lipperini chiedendo a che indirizzo può mandarle il suo ultimo libro.

  25. Wallace è stato un grande scrittore antiminimalista. Non ha senso cercare in qualche suo scritto tracce di un itinerario che lo ha condotto al suicidio. Tanta banalità ho letto sui giornali di questi giorni. Un articolo di sicuro non banale è riportato nelle pagine di Libero a firma di Massimiliano Parente. Sono d’accordo con chi, in questo forum, scrive di “unicità letteraria di Wallace”. Non è certo banale rattristarsi per la sua dipartita. Rimane con noi il suo capolavoro Infinite jest, che molti, noto, colpevolmente ancora non leggono.

  26. Io penso che Wallace sia grande proprio perché mi ha personalmente ‘toccato’ e mi ha ‘toccato’ io penso perché dietro la sua bravura si sentiva la sua onestà etica. Sarò stata ingenua e stupida e riportare quella frase tratte da Oblio. Ma quando ho sentito che era morto ho avuto il folgorante e doloroso ricordo di averlo già saputo. Per inciso Infinite Jest lo leggo e rileggo da molto. Però buona parte di questi post li trovo veramente deprimenti. Non è che Wallace abbia lasciato un gran bel mondo, vien da dire

  27. un bel mondo è un mondo di finzione. il mondo è così come è. prima e dopo la morte di Wallace. quanto a Infinite Jest, mi piacerebbe leggerlo in una veste editoriale non orrenda, che è quella approntata da Fandango, e diviso in due tomi.

  28. Roberto, arrivo tardi (sia a commentare, sia perché lo conoscerai senz’altro): mi chiedevo se avevi letto il saggio su televisione e scrittori, contenuto in Tennis, tv, trigonometria e tornado – un saggio del 1990 tra l’altro, porca vacca, quando noi stavamo in cortile dell’università a giocare con la palletta. Affronta più o meno le cose che affronti tu nella postilla del 2.0 e nella nota su Eco e molti passaggi sono impressionanti per l’acutezza della diagnosi. Poi lui ha preso una certa strada che definirei “interna” e assurdamente impervia, ma forse per questo affascinante, ma è un altra questione.
    Niente, volevo offrire il mio piccolo contributo.

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