STATI GENERALI DEL GENERE: CECILIA LAVOPA. CONSIDERARE LE COLPE

Ancora un testo, in attesa degli altri, dagli Stati Generali del Genere. Questa volta è di Cecilia Lavopa di Contornidinoir. Che pone un bel po’ di problemi non solo sui blog, ma sulla ricezione dei libri, e sulla qualità dei medesimi.
Tutto vostro.

 

Essere blogger oggi cosa significa? Intanto sentirsi fare tutta una serie di domande, tipo:

Ah, ma non è il tuo lavoro?

Oh, ma non sei giornalista?

Ma tu quante visualizzazioni hai al giorno/mese/settimana ecc.?

Ma quanti followers hai?

Quindi ti regalano i libri, che bello!

Quanto ti fai pagare per le recensioni?

Ma perché non ti fai pagare? La cultura non ti fa mangiare.

 

Tutto vero, verissimo. Ma se ho scelto di aprire un blog quando ancora se ne conosceva poco il significato (parliamo del 2011 o giù di lì) è stato per poter condividere con altri la passione per i libri, promuovere la lettura, più che il libro stesso. Piano piano, dal cominciare da sola, ora il blog ha circa una trentina di collaboratori, diciamo una ventina quelli più attivi.

Il target del blog è rivolto ai lettori di thriller/giallo e noir e, nonostante l’essermi focalizzata su un solo settore narrativo, non riesco a stare dietro alle continue uscite.

Continue uscite che, purtroppo – e qui arriva il tasto dolente – hanno avuto ormai da anni un calo di qualità, perché chiunque scrive. E poi:

Troppi investigatori, commissari, ispettori, detective simili tra loro

troppe storie simili

troppi politically correct, come a non voler prendere posizione su niente

troppi cozy crime (senza nulla togliere al genere, sia ben chiaro)

troppi libri autobiografici o che comunque attingono alla realtà

Qui non si parla della professionalità e del riconoscimento, non si parla di libri scritti male.

Ma… che fine hanno fatto i libri che ci hanno fatto sognare?

Per quel che mi riguarda, diciamo che nei romanzi cerco altro, forse l’opposto dell’offerta di oggi. Cerco uno scossone, voglio leggere qualcosa che non conosco, voglio che la lettura mi costringa a pormi delle domande. Insomma, voglio romanzi scorretti, non cerco la comfort zone.

 

Valerio Varesi diceva nell’incontro precedente che siamo in una stagione di profonda crisi culturale. Loredana Lipperini nel suo intervento scriveva che a forza di dirlo non ci si rende conto che le cose stanno davvero cambiando, anzi, che i lettori sono già cambiati e quindi l’editoria si adegua ai lettori. Di conseguenza, anche i premi letterari che del mondo dei libri sono specchio. È  vero, viviamo in un’epoca in cui vi sembra normale che un ministro membro della giuria di un premio letterario non abbia letto i libri in concorso?
Viviamo in un’epoca nella quale un libro autopubblicato faccia talmente scalpore che il suo prossimo libro uscirà a marzo per un grande editore. E non entro nel merito del contenuto del testo.

E infine, viviamo in un’epoca in cui la lettura di un libro diventa una punizione.

Cosa possiamo fare noi lettori? Perché io questa domanda me la pongo spesso…

Forse cercare di parlare di libri diversi dal mainstream, magari mettere in mano ai nostri figli un libro e non un cellulare e, possibilmente, dare il buon esempio.

Non farsi influenzare dai pareri degli altri e cercare di ragionare sempre con la propria testa.

 

Altra cosa: siamo vittime del nostro tempo. Viviamo nell’epoca dell’apparire.
I social, e prendo spunto da una riflessione di Peppo Bianchessi, se ci rendessimo conto di quanto siano preziosi il nostro tempo e le nostre informazioni, forse non creeremmo così tanto materiale da riempire le scatole vuote e non ci affanneremmo così tanto a essere sempre connessi. Noi regaliamo il nostro tempo e non ce ne rendiamo conto. Ma, cosa che trovo ben più grave, insegniamo ai bambini a utilizzare – anzi, a non utilizzare – il tempo nello stesso modo. Ecco, i social sono il chiasso. Torniamo un po’ di più al silenzio, che non vuol dire assenza, ma forse… Forse bisogna ri-cominciare a mantenere le distanze.

 

Una volta lo scrittore sembrava così lontano, inarrivabile. Un’entità a se stante. Lo scrittore, ora lo si può vedere, perfino toccare! Permettetemi l’ironia.

Una volta c’era la distanza, un rigoroso rispetto, una reverenza. Ora c’è la morbosità di conoscere tutto della vita dei nostri beniamini, e quindi ben vengano le autobiografie di chiunque voglia parlarne. Se malato, ancora meglio, così da entrare ancora di più nella vita di chi scrive. Ma non perché interessati alla storia, ma alla vita di chi quella storia la scrive. Da qualche parte ho letto il termine “gossip letterario”.

Ecco, forse prima c’era una sorta di alone magico e misterioso, nella vita di chi creava storie. Vorrei che tornasse quella magia, quel mistero. Che si parli più del libro che dello scrittore, che si torni a farsi affascinare dalle storie.

Oggi tutti parlano di tutto, siamo dottori, opinionisti, critici, tecnici, criminologi, siamo tutti scrittori. Ognuno dovrebbe occuparsi di ciò che conosce e non di ciò che crede di sapere.

 

Proprio di recente ho voluto leggere nuovamente la definizione di favola:
La favola principalmente narrazione e racconto, che non ha una funzione di solo intrattenimento. In queste brevi narrazioni sono protagonisti, insieme agli uomini, anche animali, piante o esseri inanimati, che sono però sempre il simbolo o la rappresentazione di un vizio o di una virtù tipicamente umani. Contiene una morale con la quale si vuole insegnare un comportamento o condannare un vizio umano.

Io vorrei continuare a leggere le favole sotto forma di romanzo, che mi descrivano vizi e virtù degli esseri umani, i quali abbiano una morale con la quale insegnare un comportamento.

Al di là di quello che vorrei come lettrice, mi accorgo sempre di più che oggi si tende a romanzare fatti reali, a usare meno la fantasia. L’offerta si è alzata, la qualità no. Spesso i collaboratori mi scrivono perché il libro che ho mandato è inverosimile, oppure non è proprio da inquadrare nel genere (se vogliamo ritornare all’annosa questione del genere, appunto), o perché è noioso, banale.

Certo, può essere anche una questione di gusto, ma se lo stesso libro io lo faccio leggere ad altri e il parere rimane uguale? È giusto non parlarne? È preferibile non far uscire la recensione con la critica?

Alla fine, dei libri che non ci piacciono non ne possiamo parlare, ma una considerazione che mi pongo sempre è: se siamo un blog di recensioni, se è uno scambio tra lettori, chi è il nostro utente finale? Non lo scrittore, non l’editore, ma appunto il lettore.

 

Prendendo spunto da una poesia di Cesare Pavese: Ci si sveglia un mattino che è morta la letteratura.
All’incontro precedente degli Stati Generali l’impressione che ho avuto è stata quella di volersi sgravare di una colpa di quanto stia accadendo. Non è colpa mia, non è della distribuzione, non è della pubblicazione, è colpa di qualcun altro. In realtà, più che di colpa parlerei di responsabilità di cui ognuno di noi deve farsi carico. Magari di inversione di rotta, nel caso fosse necessario.

Come ad esempio il fatto che oggi si consuma tutto in fretta e furia, un libro non fa in tempo a uscire che è già vecchio. Questo per me è inamissibile. Noi parliamo ancora oggi de I promessi sposi, di Guerra e pace, dei romanzi di Virginia Woolf o di Grazia Deledda, leggiamo libri scritti anche secoli fa. Siamo sicuri che dei libri pubblicati ora se ne parlerà ancora tra cento, duecento anni? Da cosa dipende, mi domando e vi domando?

Dal contesto storico? Non abbiamo più nulla da raccontare? O al contrario si racconta troppo, o quello che si racconta non è quello che vorremmo leggere?

 

Tornando al discorso iniziale dell’essere blogger (instagrammer o tiktoker), credo che al giorno d’oggi, molto più di quando ho cominciato io, si tenda a vedere il blog come una fonte di reddito, a new business, quindi. Un vero e proprio lavoro da cui trarre un guadagno e, credo che per questo motivo si stia trasformando in un mezzo pubblicitario e non un canale obiettivo e trasparente con il quale le autrici e gli autori si possano confrontare. Per quanto mi riguarda, continuerò come ho fatto finora, promuovendo la lettura, continuando a credere che questo sia un hobby, anche se ha l’impegno di un lavoro.

 

Cecilia Lavopa

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