STATI GENERALI DELL’IMMAGINAZIONE: GIULIA PASSARINI E LA PROMOZIONE

Si prosegue, dunque, ed è tanto più necessario parlare di immaginazione e di narrazione nel momento in cui le narrazioni vengono espulse, come è avvenuto in queste ore alla Buchmesse di Francoforte che ha cancellato l’assegnazione del Literaturpreis alla scrittrice palestinese Adania Shibli, autrice del romanzo Un dettaglio minore, dove si narra un fatto vero del 1949, ovvero lo stupro e l’omicidio di una ragazza beduina da parte di soldati israeliani.
Qui sotto, sempre dagli Stati generali dell’immaginazione, l’intervento di Giulia Passarini sull promozione editoriale.

 

Immaginare la promozione

Mi chiamo Giulia Passarini e lavoro nell’editoria dal 2007: ho iniziato prima come libraia, e ora dal 2010 lavoro per una società di promozione editoriale, che si chiama Pde e si occupa soltanto di editori indipendenti.

Il lavoro di una promozione editoriale, che dal nome sembra qualcosa di incentrato solamente sulle relazioni, sullo sviluppo di una notorietà, è in realtà soprattutto un lavoro di vendita: la promozione è il braccio commerciale dell’editore verso il mercato, l’anello di congiunzione fra editori e librerie, è quel pezzo della filiera che si occupa di prenotare i libri che verranno pubblicati e di assicurarsi che trovino il loro posto sugli scaffali delle librerie, in modo che possano arrivare al pubblico dei lettori.

Partendo da questa posizione, mi sono molto interrogata su come avrei potuto declinare oggi il mio intervento per renderlo il più possibile attinente all’argomento di cui siamo qui a discutere.
Non mi occupo di scrittura – non sono una scrittrice – né di scegliere i testi, e il mio lavoro consiste nell’avere a che fare con libri scritti da altri, scelti da altri.

Proprio per questo motivo, però, avendo quotidianamente a che fare con una quantità molto ampia di editori tra loro diversi e una produzione di libri altrettanto diversa, penso di poter dire che quello da cui parlo è una sorta di osservatorio privilegiato sulla proposta editoriale, un punto di vista trasversale su ciò che si pubblica in Italia oggi, che mi permette di individuare alcune tendenze nello specifico sulla produzione letteraria.

Negli ultimi anni, c’è stato un aumento di libri che si rifanno all’autofiction, a una narrativa autobiografica, improntata all’io, al racconto del vero, a vicende accadute e personaggi esistiti portati al lettore attraverso lo sguardo personale dell’autore? Assolutamente sì.
Anche se mi preme sottolineare che la narrativa di immaginazione, di costruzione di mondi, quella che costruisce le sue basi oltre i fatti del reale rimane una parte preponderante della narrativa che si pubblica in Italia oggi, la quota di libri in cui l’autore diventa tramite in prima persona e occhio sul mondo è significativamente aumentata, ed è un fatto innegabile.
Spesso con l’avallo dei premi letterari, che hanno dato grande riconoscimento a questo tipo di produzione: lo abbiamo visto in particolare quest’anno, ma già nel 2021 Emanuele Trevi aveva vinto il Premio Strega con Due vite, un libro che di fatto metteva già al centro lo sguardo personale e il ricordo di persone realmente esistite all’interno della vita dell’autore.
E non si tratta di una tendenza soltanto italiana, basti pensare ad Annie Ernaux, che ha fatto della scrittura di sé un impegno letterario, politico e sociale; o a Emmanuel Carrère, a Karl Ove Knausgård, a Benjamin Labatut: tutti grandi nomi della letteratura mondiale che filtrano attraverso sé stessi il racconto di una vita, di una vicenda, o più in generale della realtà in cui viviamo.

Fare di se stessi il tramite di un’esperienza personale: questo è un po’ a mio parere il punto che intercetta una delle tendenze dei nostri tempi, e cioè il bisogno di immedesimazione, di rispecchiamento, di una convalida di temi e sentimenti che sono in primis nostri, ma che raccontati da qualcuno a cui riconosciamo autorevolezza diventano non solo più reali, diventano reali nel mondo reale.
La sensazione – e il rischio –  è che in questo modo la lettura di un libro diventi soltanto un terreno di convalida di ciò che conosciamo, e non più un modo per entrare in contatto con ciò che ci è lontano e precluso nella realtà, che per me è sempre stato negli anni il senso e la vera attrazione della letteratura.
C’è sempre di più un immediato collegamento tra la realtà e la figura dello scrittore, e credo che in parte questa inclinazione venga dal sistema e dalla società in cui ci troviamo in questo momento storico, dopo tre anni di pandemia che ci hanno portato a una comunicazione sempre più mediata, in cui dare enfasi soprattutto a noi stessi, nella condivisione personale di buona parte di quello che siamo e che facciamo.
Il filone improntato all’io intercetta i movimenti nelle nostre vite, e trova nell’editoria il terreno fertile di un sistema spesso molto inerziale, dove ciò che sembra funzionare spesso diventa la guida dei meccanismi di comunicazione e di racconto dei libri, o addirittura della produzione stessa, e in molti sensi queste sono la situazione e la tendenza che si sono verificate nella proposta editoriale italiana degli ultimi anni.

Chiudo con una riflessione che ho fatto diverse volte negli anni e che mi sembra oggi molto pertinente: lavorare su un libro italiano in uscita, per un editore significa preparare con molto anticipo, spesso tre o quattro mesi, una scheda che serva a prenotarlo, che dia su quel libro tutte le informazioni utili per convincere i librai che decideranno di farlo entrare nell’assortimento della propria libreria.
Quando arriva nelle mani di una promozione, quel libro è ancora soltanto una serie di informazioni: una scheda, appunto. Ha una copertina, un titolo, una trama. Un tema. Ma di fatto, a quest’altezza, quel libro spesso non esiste ancora nella sua forma definitiva. Non è ancora un oggetto compiuto, spesso non è ancora nemmeno un testo compiuto. Molto spesso quel libro che stiamo raccontando ai librai, proprio quello in uscita da lì a tre mesi, è ancora in fase di scrittura, di revisione, di ripensamento; di aggiunta o di sottrazione; di definizione di una copertina finale, di un titolo, di un formato, di un prezzo.

Quello che ci troviamo a fare, allora, è un grande atto di immaginazione a cui siamo chiamati in tanti – editori, promozioni e librai – nel momento in cui ragioniamo attorno a qualcosa che non è ancora realmente definito. Il libro di cui parliamo per diversi mesi, ancora non esiste; fino a che non lo avremo in mano non sapremo con esattezza di che cosa si tratta, eppure dobbiamo immaginarlo. Per permettere a quel libro di prendere vita, lo sforzo immaginativo è necessario: e allora forse possiamo dirci che l’editoria è un settore che di immaginazione, a tutti i livelli, avrà sempre bisogno.

 

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