Riprendo, per poi interrompere ancora fino a lunedì (sono giornate un po’ convulse) la pubblicazione degli interventi agli Stati Generali dell’Immaginazione del 1 ottobre. Con due appunti.
Primo: ieri è stata pubblicata una nuova call per un secondo appuntamento tra fine gennaio e febbraio. Essendo una call è aperta a chiunque voglia partecipare, non aspettatevi un invito formale o informale che sia: partecipate e basta, se volete.
Secondo: saltellando fra un treno e l’altro, noto che sui social è scoppiata una polemica un po’ diversa dal solito, quella per la pubblicazione di un’opera di Francesco D’Isa con Eris edizioni dove si usa l’AI. Ma D’Isa è, a mia memoria, il primo “umanista” (passatemela, via) a parlare di AI e a usarla, quindi le accuse rivolte di sfruttamento e sostituzione di autori e illustratori hanno, temo, poco senso. Comunque la seguo.
Cito questa vicenda perché l’intervento che segue è di Elisa – Eliselle – Guidelli, ovvero scrittrice, libraia e soprattutto persona che è nel web dagli albori, e che ha seguito le mutazioni avvenute fin qui. Parlare di immaginazione senza tener conto il dove e il come significa parlarne in modo manchevole. Buona lettura.
“Alle volte, basta semplicemente osservare.
Nel corso degli ultimi decenni, abbiamo assistito a una trasformazione senza precedenti nella modalità in cui i libri vengono prodotti, pubblicati e consumati. Non ho usato una parola a caso eh, ho detto proprio consumati. È qualcosa di paragonabile alla rivoluzione che caratteri mobili hanno apportato nel XV secolo al mercato del libro.
Nell’era digitale, in cui la tecnologia e i social media hanno un impatto significativo sul nostro modo di comunicare e acquisire informazioni, ciò ha inevitabilmente influenzato anche il processo di creazione del cosiddetto “best seller”. Ha influenzato anche il numero dei lettori, che sono calati, basta confrontare i dati di vendita dell’inizio del millennio con quelli di oggi: troppa poca abitudine ai testi lunghi, forse?, troppa assuefazione a video e testi brevi, non solo tra i ragazzi, ma anche tra gli adulti? Sta di fatto che i numeri non mentono.
Ricordo quando nel 1999 con il mio primo PC e la linea a 56k, sono sbarcata sul web. Preferisco non fare i conti, ma in pratica l’ho visto crescere, e cambiare. Sono io stessa parte del cambiamento, in realtà: sono passata dai portali e dai forum dei primi anni 2000 che parlavano di editoria e scrittura per i newby come me, che non avevano idea di come farsi leggere, e trovavo confronti e consigli utili da parte di chi ci stava provando o ci stava riuscendo.
Poi è arrivata la moda dei blog e di splinder, per intenderci, che ha portato alle prime sperimentazioni e incursioni da parte dell’editoria tradizionale, che pescava di tanto in tanto qualche autore e blogger e lo trasformava in scrittore. Ricordo le prime polemiche quando uscì Pulsatilla con La ballata delle prugne secche: sembra di parlare di antichità lontanissime, e invece quel libro, nato proprio dal suo blog, è del 2006. Facendo due calcoli veloci, non sono passati neppure vent’anni. Poi oh, lo dico io, che ho la fissa del tempo che passa, ma il problema vero è un altro: vent’anni oggi, con la velocità a cui ci muoviamo, sono come cent’anni vent’anni fa.
Poi, c’è stata una cesura, che personalmente che ho percepito benissimo facendo la libraia. Ho iniziato a lavorare in libreria nel 2009 e ho smesso nel 2020. Per comodità, calcolo dieci anni, e all’incirca a metà percorso, tra 2014 e 2015, ho iniziato a sentire forte un cambiamento di impostazione a monte del percorso editoriale. È stato più o meno, per intenderci, quando gli editori hanno smesso di inviare ai librai i libri da leggere in anteprima, con tanto di cartella stampa per spiegare i motivi della loro scelta e la storia dell’autore, e hanno cambiato strategia: hanno cominciato a presentare ai librai i loro prossimi “successi editoriali” contando il numero dei follower.
Proprio così. E sapete come me ne sono accorta? Grazie al Natale. Ogni anno, a inizio giugno i librai vengono invitati alla presentazione di tutte le strenne delle varie case editrici, che alternandosi in una supercarrellata raccontano i loro prossimi auspicati successi, alcuni di importazione e quindi già magari “best seller in patria”, altri di autori nostrani, da lanciare per bene. E mentre ci si chiede quale sarà il vincitore delle classifiche natalizie, gli uffici stampa ti urlano “hey, compra il mio autore, guarda quanti follower che ha”.
A un certo punto, messo da parte il web antidiluviano dei blog, ecco che l’editoria si è buttata sui nuovi strumenti, quelli dei giovanissimi, che hanno fornito un nuovo bacino di autori e di lettori dove poter trovare e lanciare nuovi successi da cassetta partendo già da un pubblico più o meno consolidato. Wattpad, Facebook, Twitter ormai X, Instagram, TikTok. Se pensiamo al successo di Anna Todd con After, partita da Wattpad, abbiamo detto tutto. Il web ha reso l’editoria tradizionale più aperta e trasversale, più possibilista e inclusiva, anche nella promozione: basti pensare alla corsa che prima dell’avvento della tecnologia digitale c’era ai programmi televisivi che permettevano solo a pochi eletti di presentare i propri libri, o alle recensioni sui giornali cartacei che contavano e che in tanti ancora leggevano. Dall’altra parte però, ha preso una deriva pericolosa: dalla ricerca del libro giusto, alla ricerca dell’autore giusto e più “comunicatore” o più (passatemi il termine) “ruffiano” per allargare le vendite, il passo è stato brevissimo. Il contenuto sembrava diventato quasi superfluo, e comunque passava sottotraccia rispetto alla capacità del personaggio di vendersi meglio, o di vendersi da solo. E in libreria ci siamo ritrovati con un’ondata di blogger, youtuber, influencer che raccontavano le loro storie personali, o si facevano scrivere un romanzo dal ghostwriter di turno, personalizzato sul suo stile e sui temi che affrontava nei video, perché ciò che vendevano non era una bella storia scritta bene, ma la loro popolarità.
L’avvento di internet e dei social media ha fornito una piattaforma senza precedenti per promuovere, condividere e discutere i libri. Oggi si sfrutta il potenziale dei social media per raggiungere un pubblico molto più vasto e diversificato, magari persino gratis e non essendo costretti a spremere gli uffici stampa, ampliando comunque le opportunità di successo per un libro, ma ci sono insidie, e anche belle grosse.
Sembrerebbe che avere numerosi follower sui social media sia diventato fondamentale per promuovere un libro e farlo diventare un successo commerciale. Infatti, molti autori che prima non lo erano, si sono adeguati al trend e sono diventati degli influencer, o si sono adattati ad aprire dei canali social anche se social non sono. In pratica, hanno cambiato lavoro, perché i social sono un lavoro, o l’hanno affiancato a quello di scrittori, perché la scrittura è un lavoro, e utilizzano piattaforme come Instagram, YouTube o Twitter per comunicare con i loro lettori. A volte temono che questo tolga lavoro alla scrittura, e quindi ne abbassi la qualità.
Questo però solleva diverse domande, tra cui una basilare: servono davvero i follower per far nascere un nuovo best seller? Se da una parte abbiamo l’influenza reale dei social media che può aiutare a promuovere un libro, è altrettanto vero che questa fama virtuale non garantisce necessariamente la qualità del contenuto o la sua scalata alle classifiche. Basti pensare ai flop dei libri di Justin Timberlake e di Billie Eilish, che non sono scrittori ma hanno come base milioni di follower, e nonostante questo non hanno coperto nemmeno gli anticipi, certo stellari, ma tali da trasformare i loro libri in flop seller. Perché i milioni di follower, come dice il New York Times, se la storia o il messaggio che veicola non sono interessanti o ben scritti, non sono affatto una garanzia, e difficilmente il libro avrà successo. Oppure, avrà successo in quel momento, ma sarà presto dimenticato. È fondamentale quindi non trascurare la qualità letteraria ed è fondamentale non trascurare i lettori, che sono abbastanza scafati per non lasciarsi più imbonire dalle operazioni commerciali che ormai hanno imparato a riconoscere da lontano: ci sono libri che vivaddio vanno ancora avanti grazie al passaparola, non necessariamente “social” ma sociale, attraverso le scuole, i gruppi di lettura, le librerie e i librai indipendenti, le partecipazioni agli eventi letterari, al lavoro delle biblioteche e degli operatori culturali che si fanno il mazzo per trasmettere la bellezza della lettura, e lo hanno sempre fatto anche prima dell’avvento del web. Che non deve soffocarli, ma affiancarli nel loro mestiere che a mio avviso, è tra i più faticosi, ma anche tra i più belli del mondo.
Adesso molto forte è il trend dei booktoker, soprattutto quelli che lanciano titoli o challenge particolari su libri usciti anni o decenni fa, che per magia tornano a vendere, si pensi al recente caso di Lolita di Nabokov, o alla Canzone di Achille della Miller, che è diventato best seller dopo dieci anni dalla prima uscita grazie a BookTok. I booktoker hanno anche il pregio di segnalare nuovi autori, che magari non riuscirebbero a farsi conoscere in altro modo e che da queste segnalazioni ricevono una spinta importantissima per far salire le vendite, trovando una chance in più per continuare il loro percorso di scrittura.
Insomma, a mio avviso, e lo dico da fruitrice del web già dai suoi albori, il problema non è lo strumento, ma come si utilizza. I follower possono trasformarsi in lettori, e i lettori in follower, senza che ci sia a mio avviso niente di cui scandalizzarsi o nulla di cui preoccuparsi, anzi: la cosa che bisogna fare, come autori, è cercare zone di confronto, come quello che stiamo facendo oggi agli Stati generali, ad esempio, tenere il più possibile il punto, mantenere alta la qualità del proprio lavoro senza cedere il passo, ma nemmeno perdere le proprie energie a incazzarsi quando un autore improvvisato o costruito a tavolino vende millemila copie, perché comunque non inficia la nostra possibilità di trovarci una nicchia, uno spazio, una zona franca in cui coltivare nuovi lettori, o continuare il nostro percorso con quelli che abbiamo.
Il web ci ha offerto nuove opportunità e modalità di fruizione della lettura, rendendola più accessibile e condivisibile, ma non dobbiamo dimenticare che i libri richiedono impegno. I follower possono essere un utile strumento per promuovere un libro, ma sono i lettori, quelli che ne apprezzano il valore intrinseco, che ne decretano il successo e ne fanno un vero best seller. E loro, non vanno mai dimenticati”.