STORIA DI CHIARA, O DEL TACERE UNA GRAVIDANZA

Non dice niente di nuovo, questa mail. Niente che non sapessimo già. Niente che non fosse nei numeri e nelle storie di tutti questi anni. Ma ogni volta che qualcuno lancia i suoi anatemi sulle donne italiane che non hanno figli, quei numeri e quelle storie dovrebbero essere ricordati. Non è così. Chiara mi ha scritto una mail che mi ha fatto stare male. Le ho chiesto il permesso di pubblicarla, me l’ha dato. E’ vostra. Arrabbiatevi.
Buongiorno Signora Lipperini,
mi permetto di scriverle questa mail…di tristezza.
Parto dunque con ordine, cercando di fare buon uso della (limitata) capacità di sintesi che solitamente ho.
Ho 39 anni e lavoro nel sociale, croce e delizia di quanti vorrebbero cambiare il mondo ma finiscono per diventare persone arrabbiate.
Sono donna, ho una bimba, vorrei un altro figlio (ogni mese incrociamo le dita) e mi occupo con passione di Alzheimer: con immodestia parlando, posso dire di essere molto preparata, con diverse esperienze e progetti alle spalle e in formazione per diventare conduttrice di gruppi di auto-mutuo aiuto per chi, di questi anziani, si occupa ogni giorno.
Tutto questo vantarmi, è per dire che ho una professionalità che in questi anni sembra essere molto spendibile.
Ma sono io a non esserlo, e mi chiedo se la colpa sia mia.
(Ecco. Forse il senso dello scriverle è la speranza di riuscire a capire questo.)
Nel mondo che vorrei, nel modo in cui credevo di vivere, una professionista che diventa madre è una professionista che diventa madre.
Punto.
Nel mondo in cui ho scoperto di vivere, non importa se le famiglie e gli utenti chiedano al tuo datore di lavoro di essere assegnati a te: se sei professionista che diventa madre, sei fuori.
Fuori.
Questa assurdità l’ho sperimentata nel Dicembre dello scorso anno:
lavoravo con una Cooperativa (stipendio misero,ma grandi soddisfazioni) e, dopo il secondo rinnovo a tempo determinato finalmente arriva il gran giorno della firma per l’indeterminato.
Ero veramente felice: la realtà in cui lavoravo, seppur piccola, era viva e ricca di idee per il futuro che mi vedevano, tra l’altro, personalmente coinvolta.
Alla gioia si aggiunge la gioia: test positivo! Secondo figlio in arrivo!
Vado a firmare e, non avendo nulla da nascondere (dopotutto il lavoro non manca, io sono richiesta e, nel caso di rischio biologico, potrò comunque occuparmi di aspetti organizzativi e progettuali, anzichè stare sul campo), comunico la cosa.
Una botta in testa mi avrebbe fatto meno male.
Ciaone Chiara, non ti assumiamo piu. Torna quando il pargolo sarà inserito al nido.
Il mio sgomento l’ho visto riflesso negli occhi della gentile segretaria che, stupita, ha azzardato un “ma non possiamo riconoscerne almeno la correttezza?”
(Ovviamente no.)
Ero ad inizio gravidanza, e non trovavo un motivo valido per tenerla nascosta:
sono sempre stata una persona ed una lavoratrice corretta e onesta, ed ero comunque pronta a fare il mio lavoro.
Niente.
Le colleghe e gli amici mi hanno detto che no, non avrei dovuto dirlo..Scema che sono.
Tutto poteva ancora succedere (effettivamente ho poi avuto un aborto) e comunque non erano fatti loro.
Ecco, Loredana. Questa cosa che “non sono fatti loro”, è questa a muovermi a scrivere a lei, proprio a lei che davvero ha stimolato in me tante riflessioni.
Le chiedo: davvero “non sono fatti loro”?
Sinceramente.
Davvero nel 2020 devo fare sotterfugi per firmare un contratto?
Da persona che lavora con le persone, io credo “siano fatti loro” nella misura in cui la mia comunicazione consente al servizio di programmare sul lungo periodo l’attività con gli utenti!
Da persona che lavora con le persone, credo che la trasparenza sia la base per potersi organizzare professionalmente.
Da persona che lavora con le persone, credo addirittura di avere il dovere di informare per evitare al servizio periodi di stallo emergenziale, ma di avere anche il diritto di non dovermi abbassare a furberie pur di firmare un contratto da 500 Euro!
L’aborto ha dato il via a nuovi commenti di amici e (ex) colleghi, e a mie elucubrazioni:
“hai visto?! Non dovevi dirlo! Mai comunicare queste cose!”
Sono una stupida.
Capisco questi commenti, dentro ho una rabbia esplosiva.
Ma resto sempre io, porca miseria.
Oggi ho fatto un colloquio per un posto da coordinatrice:
mi viene chiesto come mai nel servizio precedente sia rimasta così poco.
Lo spiego.
Mi viene esplicitamente chiesto se io potrò garantire continuità e stabilità nel tempo:
ho risposto che, se la domanda si riferiva all’ipotesi di una gravidanza in seguito a quella interrotta, beh…Si, potrò dare continuità poichè senza rischio biologico potrò comunque continuare a lavorare fino alla fine, senza problemi.
Il responsabile ha riso, ha commentato qualcosa come “Viva la sincerità” e poi l’immancabile “le faremo sapere”.
Ho chiuso lo schermo del pc e ho pianto.
Non avrei dovuto dirlo!
Ma si che dovevo dirlo!
Queste due voci continuano, nella mia testa: so che, ammettendolo, mi sono giocata il ruolo.
Ma so altrettanto bene che non avrei potuto iniziare un lavoro come quello con l’ansia mensile del non essere stata onesta.
Sono una scema.
Dunque. la mail la concludo qui, con un misto di imbarazzo e di tristezza.
Spero di non averle rubato troppo tempo: i gatti la staranno chiamando, chissà.
Grazie, Signora Lipperini.
E’ chiaro che non pretendo una risposta..Ma ho trovato una strana consolazione nello scrivere queste cose, nel mettere ordine nei pensieri, e ad inviarli a lei.
Lei che non mi conosce, ma fa parte della mia quotidianità femminile.
Buona giornata freddina,
Chiara

3 pensieri su “STORIA DI CHIARA, O DEL TACERE UNA GRAVIDANZA

  1. Cara Chiara
    Hai fatto bene, sono le persone che hanno il coraggio dell’onestà che danno una speranza a questo mondo malato .
    Ai miei figli , entrambi liceali, ho insegnato la grandezza dell’onestà e di quanto valga. Hanno già sperimentato che non sempre paga ma insieme ci siamo sempre detti che quello che siamo dipende da quello che facciamo : vogliamo essere uomini di cui ci si possa fidare , sempre e comunque . In loro vedo crescere questo dono , lo sarà anche in tua figlia e allora c’è una speranza…
    Ti abbraccio monica

  2. Quando poi i virtuosi giornalisti da talk show ci fanno la morale su quanto sia rigido il mercato del lavoro in Italia, su quanto obsoleto e frenante sia lo Statuto dei Lavoratori, su quanto necessarie siano le riforme del lavoro, ricordiamocene che è di questo che stanno parlando. Libertà di licenziare significa esattamente questo. Ricordiamocene, quando certa sinistra ‘moderata’ e ‘riformista’ ci chiede il voto. O quando scopriamo, oh che sopresa, oh che stranooo!!! , che fascisti come la Meloni prendono i voti dei lavoratori.

  3. Negli ultimi vent’anni ho lavorato in ristoranti e cucine di strutture convenzionate, gestite da cooperative. Parecchie volte veniva la nausea solo a entrarci, non tanto per come erano gestite, perché certe regole ormai devono rispettarle, ma per il rapporto con noi dipendenti. Potrei raccontare cose da far rizzare i capelli sul capo. Spessissimo purtroppo sono le donne a accanirsi con le altre donne, come se diritti non esistessero. Oltre tutto volevano sempre pagarmi poco e meno di uomini che capivano meno di me e lavoravano peggio. Tanto lei è una donna! Altrimenti che fa, la casalinga? Uno stipendino ti deve bastare, con l’inquadramento più basso possibile. Tutto questo ormai per me è quasi passato, ma penso alle mie figlie e mi sento male.

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