STORIE DI VITA E DI MORTE

Sul “giardino degli angeli” al Laurentino, Roma, leggete questo post de Il Fatto e soprattutto leggete i commenti, segnalati ieri sera da Lorella con giusta costernazione. Coraggio. Ma leggete anche la notizia apparsa su Il Mattino nel luglio di quest’anno, che sempre Maddalena mi ha inviato via mail:
L’Azienda Ospedaliera Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta nella persona del commissario straordinario Antonio Postiglione e l’associazione «Difendere la vita con Maria» rappresentata dal presidente nazionale don Maurizio Gagliardini hanno stipulato un Protocollo d’intesa al fine di promuovere il seppellimento dei «Bambini non nati», con la presenza della commissione locale dei volontari dell’Associazione, del cappellano Ospedaliero Padre Rosario Perucatti, e dei direttori Carmine Iovine e Michele Izzo.
L’iniziativa fa seguito ad un convegno, promosso sempre dall’azienda ospedaliera casertana, sui traumi post-aborto, che aveva messo a confronto voci diverse, dal vescovo Pietro Farina alla parlamentare Giovanna Petrenga, dal sindaco Pio De Gaudio al presidente del consiglio comunale Gianfausto Iarrobino. «Si tratta del primo protocollo d’intesa di questo tipo firmato in Campania ed uno dei primi in ambito nazionale», fanno sapere dall’azienda ospedaliera. L’associazione «Difendere la vita con Maria» con sede a Novara è un’organizzazione di volontari che si occupa della promozione culturale e spirituale della vita umana nonché della difesa dei diritti del nascituro dal concepimento fino alla morte naturale. L’obiettivo è quello di assicurare una degna sepoltura a quelli che sono definiti tecnicamente «prodotti abortivi». Lo stesso Comitato Nazionale di Bioetica della Presidenza del Consiglio dei Ministri nel 1996 ha formulato le seguenti conclusioni: «Il comitato è pervenuto unanimemente a riconoscere il dovere morale di trattare l’embrione umano, sin dalla fecondazione secondo i criteri di rispetto e tutela che si devono adottare nei confronti degli individui umani a cui si attribuisce comunemente la caratteristica di persone». Don Maurizio Gagliardini ha apprezzato l’iniziativa esaltandone la tempestività e la condivisione etica da parte dell’Azienda Ospedaliera di Caserta, «con la consapevolezza che questo protocollo certamente sarà il testimonial e la locomotiva che trainerà nel mezzogiorno d’Italia, altre aziende sanitarie nella cultura del patrimonio comune del rispetto e della vita». «Con la sottoscrizione di questa convenzione, l’azienda Sant’Anna e San Sebastiano ha quindi dimostrato ancora una volta sensibilità e rispetto nei confronti della dignità della vita, rendendosi non semplice Istituzione dedicata all’assistenza sanitaria, ma Ente garante della vita umana in tutti i suoi aspetti ed in ogni sua fase temporale».

115 pensieri su “STORIE DI VITA E DI MORTE

  1. Glisso sul lapsus. Valter, una cosa è il senso di colpa individuale, e vorrei ribadire qualcosa che ai tuoi corrispondenti sembrerà poco profondo ideologicamente, ma è banalmente e terribilmente vero. L’aborto è una ferita, raramente sanabile. Eppure, resta la differenza fra una potenzialità di vita e una vita completa. Per questo rifiuto, con forza, la parola “uccidere”, nel caso di un aborto.

  2. Addenda per Lipperini.
    1) Vuoi che ti faccia un elenco degli epiteti che mi hanno tirato addosso le gentili? O quelle sono da matita azzurra rispetto alle mie? Ho provato a buttarla sul ridere e mi becco pure del sessista.
    2) Sei sicura che chiunque può intervenire liberamente senza essere oggetto di intimidazioni (e guarda che non sto parlando dell’altro giorno con mia moglie)? Guarda che ce n’è più d’una a pensarla così.
    3) Io invece il diritto della donna l’avrei messo in diswcussione, fino a qualche anno fa. Ho cambiato idea, anche grazie a questo blog. Pensi che io sia l’unico a dover imparare qualcosa?

  3. @valter davvero io non vedo nulla di male se delle commentatrici ti hanno scritto privatamente, non vedo dove stia il problema in questo.
    non credo tu debba prendertela così sul personale e magari preso dalla foga accostare l’esperienza dell’aborto con il tuo aneddoto personale. Io fatico a leggervi la pertinenza.

  4. Forse io sono miope, Valter, ma quando si parla, appunto, di ferite aperte, credo che anche la parola giocosa risulti pesante. Quanto alle intimidazioni, il termine mi sembra esagerato: a tua moglie ho semplicemente detto, come a te, che non trovavo e non trovo giusto sottoporre Valentina a interrogatorio. Infine, non faccio fatica a credere che ci siano molte persone che confondano moderazione (intesa come tentativo di mantenere la discussione in termini civili) con censura o intimidazione. Sono pronta a fare l’elenco di chi si trova d’accordo con te, pensa. 🙂
    Infine, tutti impariamo qualcosa, da tutti. Quello che torno a ripetere è che ci sono argomenti che per alcuni risultano più laceranti, per altri meno. Preso atto di questo, si può interloquire e imparare gli uni dagli altri.

  5. @Laura
    Aggressiva? Ma allora qui abbiamo problemi di lessico.
    Le ho risposto con sincerità, anche troppa.
    La parola omicidio è estrema, ma si tratta comunque della soppressione di una vita. Il diritto della donna è legato al fatto che quanto avviene avviene nel suo corpo, e non si può legiferare sul corpo altrui senza renderlo schiavo. La libertà è il valore massimo da difendere, ma un conto è parlare di extrema ratio, un conto normalizzare la pratica abortiva soffocando ogni giudizio sociale sulla medesima. Ne va della possibilità di educare o meno a una sessualità e a una genitorialità responsabile.

  6. Ecco Valter forse i malintesi di questa discussione nascono proprio dalle ultime due righe del tuo commento, perché secondo me non è vero che soffocare ogni giudizio sociale sull’aborto significa negare la possibilità di educare o meno a una sessualità e a una genitorialità responsabile.
    E’ questa associazione che tu dai per scontata che crea i nostri diversi approcci e le nostre due differenti sensibilità nell’accostarci ad esempio alla storia di valentina
    non so se mi sono spiegata scusate la fretta

  7. Non mi riferivo al contenuto, ma al tono dell’ultima frase. Va bene “piccata”? Comunque, credo di aver capito la sua posizione, finalmente è stato molto chiaro. Credo anche, però, che a scatenare le varie incomprensioni non siano le sue posizioni, ma il tono da maestro che ogni tanto lei assume.

  8. Valter, guardi è proprio il contrario che si cerca di fare: la libertà di ricorrere all’intervento abortivo è strettamente collegata all’educazione sessuale ed alla responsabilità della propria sessualità. Ovviamente c’è da considerare cosa si intende per “educazione sessuale”, cioè se si intende “mutanda di ferro” e camicia col buco “Non lo fo per piacer mio ma per dare un figlio a Dio” o l’incontro di persone consapevoli che traggono godimento dalla loro relazione, che sia trentennale che sia occasionale. Tutto questo è strettamente collegato ad una genitorialità responsabile, ma è ciò che ci si propone di fare contestualmente alla difesa dell’ivg, che ovviamente non viene intesa come metodo anticoncezionale, data l’invasività su tutti i fronti. E mi sembra che ciò attenga strettamente alla libertà delle persone di vivere i rapporti, e dunque sia necessaria quella famosa diffusione di conoscenza sul corpo, sul rispetto, sulla salute ecc. che solitamente, chi nega il diritto all’intervento abortivo, ostacola. E’ cosa di tutti giorni, evidente, non una mia impressione.

  9. Rispondo a Prandiani, sforzandomi di glissare su Binaghi – con grande sforzo, e solidarizzando con chi non ci riesce, ma ricordandomi che, in questa discussione e negli eventi concreti che l’hanno prodotta Binaghi non ha alcuna rilevanza. Ha espresso il suo parere ne prendiamo atto.
    Mi interessa il discorso proposto da Prandiani invece, perchè tocca argomenti che mi sono cari, cari anche professionalmente.
    La questione della ritualità condivisa per cominciare è sempre polisemica, gruppale, e come nellle terapie di gruppo offre la possibilità di un avvio ai singoli di elaborazione grazie alle voci del gruppo. quando è morta mia nonna, per dire, abbiamo fatto una cena con tutti i parenti e gli amici di famiglia, abbiamo letto delle cose che parlavano di lei, abbiamo confrontato ognuno i suoi ricordi, e questi ricordi degli altri, ci sono rimasti dentro nei giorni successivi.
    Ma questo non può essere tutto Prandiani naturalmente – solo che i processi analitici di elaborazione del lutto, anche in caso di aborto per quanto auspicabili – ci sono psicoanalisti oggi che se ne occupano molto – non possono essere istituzionalmente programmati. Si dovrebbe offrire – e in teoria si offre, anche se dobbiamo tristemente sorvolare sulle condizioni in cui si opera – la possibilità di accedere a dei servizi che servono all’elaborazione di queste problematiche come di altre, e si può lavorare perchè questo avvenga più spesso e anche su molti altri temi, ma non si può certo programmare un obbligo al processo analitico dell’esperienza abortiva. Per migliaia di ottime ragioni – che vanno dal politico allo strettamente analitico. Il politico perchè una proposta del genere fa mettere chi la propone nei campi scivolosi e poco auspicabili dello stato etico – in specie se viene la sinistra idea di dare dei binari metodologici e ideologici alla questione (tentazione temo difficile da eludere), in termini analitici perchè una proposta del genere inficerebbe sistematicamente la validità del processo di elaborazione. Non si va in cura su istigazione di nessuno, salvo nei casi del grave ricatto che impone una psicopatologia con delle ricadute pericolose sul corpo, nè i tempi per l’elaborazione di un lutto – inteso nel senso metaforico e tecnico di perdita dell’oggetto – sono gli stessi per tutte le donne.
    Si può perciò offrire una porta aperta – questa porta già c’è in molti centri, e viene offerta sistematicamente alle donne che abortiscono – se ne potrebbero offrire di più, ma purtroppo non solo per questo problema. La questione della psicopatologia in Italia è grave e dolorante, e non è solo questo l’ambito in cui andrebbe presa sul serio. Sa quante cose vengono fatte senza una adeguata elaboriazione psichica? Sa lo sbando a cui vanno incontro le famiglie che adottano un ragazzino di 5 anni ucraino, che magari ha già addosso un abuso sessuale? Sa come vengono seguiti adeguatamente i bambini che hanno una disabilità che risulta uno stigma con i nostri efficienti servizi sociali? e le famiglie con una diagnosi psichiatrica conclamata? A voja a elaborazioni.
    Infine – per quanto so che ha le sue ragioni, attenzione al tempismo in cui si propongono le argomentazioni: questa serie di post nasce da una tremenda constatazione, che un diritto doloroso sta venendo meno e una legge che lo tutelata viene svuotata dall’interno. Allora, bisogna prima prendere chiara posizione su questa cosa, il resto viene dopo. Almeno a parere mio.

  10. Diciamo allora che ci sono delle circostanze di solidarietà, che in funzione di quanto sono sincere e attente, aiutano a non vivere un lutto solo come perdita e sostengono chi lo ha subito, ma per me semplicemente non sono riti.
    Forse nella coscienza atavica dell’uomo c’è una esigenza rituale e si cerca di dare a questi incontri una apparenza rituale, ma non è evidentemente la stessa cosa, come ripeto i riti sono per il morto l’incontro e la presenza sono per chi resta.
    E’ solo per non fare confusione, se si accetta di chiamare rito un pranzo è anche lecito ridurre un rito sacro ad una cerimonia consolatoria, cio che non è.
    Per quanto riguarda l’aspetto terapeutico, non ho un’idea, la verità è che non saprei neanche da dove cominciare a trattare una scelta cosciente e il dolore che ne consegue alla stregua di una patologia, quindi ho poco da obbiettare su quello che dici, se non approvare incondizionatamente il rifiuto di terapia coatta, per le ragioni che hai espresso così chiaramente.
    La legge, ad una legge non ha senso opporre la propria visione, e il consenso o meno a qualcosa che essendo stato deciso a suffragio in qualche modo ce ne fa portare a tutti la responsabilità.
    Sotto un certo aspetto, da un punto di vista morale, l’aborto somiglia al suicidio e le ragioni che li sostengono sono molto simili, in entrambi i casi c’è un’assunzione del diritto ad amministrare la morte.
    Credo che una legge dello stato non sia in grado di valutare le ragioni di un aborto e quindi tuteli anche i motivi non gravi, e in molti casi c’è solo il desiderio di non assumersi una responsabilità, anche se grave.
    Le acrobazie sulla felicità futura e garantita al nascituro solo nel caso di una gestazione serena e consapevole non riescono a convincermi, per nulla.
    Grazie comunque della risposta, sono argomenti che mi pento sempre di affrontare e che mi lasciano sempre un gran peso sul cuore, scusate anche se a qualcuno sembro oscurantista, ma è quello che sento e penso.

  11. Mario Prandiani ma ma te sei uno dei meglio qui fidati:)
    L’unica cosa su cui ti esorto a riflettere, proprio perchè mi sembra che sei vicino ai concetti analitici, e alla logica che li sostiene, capisci da te che, abortire per non assumersi delle responsabilità è un discorso che si può fare così sull’autobus,ma è assolutamente privo di senso. Altrove anche io ho scirtto di contiguità tra aborto e suicidio, e capisci bene che suicidarsi per mancanza di responsabilità fa ridere, anche se il pensiero può venire. Tutto ha una semantica psicodinamica, più che mai un gesto così carico di conseguenze. La superficialità è proprio l’ultima categoria da chiamare in causa.

  12. Mario Prandiani, non la prenda male ma sulle differenze dei riti la inviterei a leggere il sottovalutato – in Italia – Massa e Potere di Elias Canetti. Quella di Canetti è una prospettiva molto particolare, tuttavia chiarisce alcune questioni di fondo. Poi è certo possibile che lei lo conosca e dissenta.

  13. Lessi un articolo sull’aborto in Giappone anni fa, praticamente il mutamento sociale dei decenni dello sviluppo economico e industriale aprirono ad una libertà sessuale che prima non c’era, ma per il senso di pudore nazionale nessuno fece informazione sui metodi anticoncezionali, il risultato fu un’impennata spaventosa di aborti.
    Ora, il Giappone è un paese in cui la modernità più avanzata si è installata su una mentalità medioevale e si pensa che i bambini a cui non si è permesso nascere si mutino in demoni che tornano a tormentare la madre, dunque ci sono cimiteri dedicati a questi figli non nati dove le madri vanno costantemente a fare offerte per far cessare i tormenti che vengono loro inflitti dai bambini non nati.
    La superficialità di molti aborti purtroppo non è una categoria fantasma, forse negli ultimi due decenni si è affrontato l’aborto con più consapevolezza e inoltre i sistemi contraccettivi si sono sviluppati e sdoganati maggiormente dai diktat vaticani, anche perchè hanno coinciso in molti casi con la profilassi anti hiv.
    Non conosco le statistiche ma forse oggi il numero di aborti a fini contraccettivi è minore di vent’anni fa, non sono informato se non per quanto percepisco fra le persone che conosco.
    So che questo è un interdetto, ma nel ventaglio delle cause non è infrequente, anche se sofferto e irrisolto, molte donne che conosco, quando hanno abortito l’hanno fatto unicamente perchè erano rimaste incinte.
    Questo non voglio tacciarlo di superficialità, ma chiamarlo terapeutico è un’ipocrisia.
    Sull’accostammento con il suicidio mi riferivo più al decidere sulla vita, anche se suicidi come quello di Magri ad esempio mi hanno dato molto da pensare sulle ragioni del farlo e relativamente al tipo di soluzione.
    Comunque hai ragione zauberei, non siamo qui per giudicare e io sono l’ultimo a volerlo fare, anche se evidentemente approvo o disapprovo dei fatti.
    Sulla mia prossimità ai concetti analitici ti sbagli, li conosco perchè molte persone vicino a me ci hanno a che fare in entrambi i ruoli, di paziente e di analista, ma la mia realtà personale viaggia su un registro molto diverso.
    Barbara, non ho letto quel libro di Canetti, è un autore profondo nel suo pensiero, ma dal titolo immagino che tratti dei riti in relazione al potere e all’uso di questi per consolidarlo.
    E’ vero, Hitler dava una forma rituale alle sue adunate, anche papa Woitila si inventava nuove forme rituali per aumentare il consenso, ma io distinguo, (dal mio punto di vista naturalmente), i riti che hanno un’efficacia spirituale e quelli che ne hanno una politica o psicologica, in fondo anche i satanisti hanno i loro, e li chiamiamo con lo stesso nome, riti, così come si parla di rituali di corteggiamento persino tra gli animali, ma non si tratta della stessa realtà.
    Questo nuovo bacino di utenza che sono i cimiteri per i feti mi sembra significativo della confusione che regna sovrana a questo riguardo, una specie di iniziativa new age che aggiri e nasconda la condanna che sta alla base di questi movimenti per la vita.
    Io posso considerare l’aborto un omicidio, è nei miei diritti di libertà di coscienza, ed è mio diritto poter considerare la legge 194 una legge iniqua che permette l’omicidio, è una considerazione molto semplice in fondo, ma fare di questo una crociata, con gli eccessi che abbiamo visto tra i fondamentalisti americani che sono arrivati ad uccidere, lo considero un’aberrazione, una forma di isteria, anche se la ragione di fondo posso condividerla.
    Certo pensando al soldato giapponese de “L’arpa birmana” che fa della sua vita una missione per seppellire i morti di guerra, nel silenzio e nella pietà, tutto questo sventolare di carte legali e di visibilità coatta mi sembra così grossolano e finto da rendere l’iniziativa piuttosto squallida, se poi il fine è quello di arrivare al riconoscimento del feto come persona per mettere in discussione la 194, beh, in questo caso credo che anche i sostenitori della libertà di aborto dovrebbero affinare gli argomenti e avere una presa di coscienza sul fatto che ogni libertà non può essere indiscriminata.
    Mettere la vita e la morte in mano allo stato è sempre una pessima idea.

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