STORIA DI SILVANA

Fra le molte mail che mi stanno arrivando, ce ne sono alcune di Maddalena, che riguardano storie già avvenute, rese note e dimenticate. Oggi vi propongo una di queste vicende, avvenuta il 13 febbraio 2008. Di seguito, la cronaca e l’intervista a Silvana.
Un aborto alla ventunesima settimana di gravidanza. Un blitz della polizia, due inchieste e tante polemiche. È quanto è successo a Napoli, nella Clinica ostetrica del policlinico dell’università Federico II.
Secondo la mamma e i medici che hanno eseguito l’intervento c’era il rischio concreto che il bambino nascesse con gravi malformazioni, è la spiegazione della mamma e dei sanitari. Che, come spiega il professor Carmine Nappi, primario del reparto, hanno praticato l’interruzione terapeutica di gravidanza “alla ventunesima settimana di gravidanza, come previsto dall’articolo 6 della legge 194/78, eseguita con un’iniezione di prostaglandine”,
No, ci troviamo di fronte a un caso di aborto fuorilegge, è l’ipotesi formulata, sulla base di una denuncia anonima, della procura della Repubblica di Napoli che ha aperto un’inchiesta sulla quale si sono accese subito le polemiche tanto da suscitare nel ministro della salute Livia Turco, la preoccupazione di una vera e propria “caccia alle streghe”.
È un episodio” ha sottolineato il ministro “che penso debba farci riflettere tutti perch‚ rispecchia il clima di tensione inaccettabile che si è venuto a creare attorno ad una delle scelte più drammatiche per una donna come quella di rinunciare ad una maternità”.
“Siamo arrivati al punto – ha aggiunto – di fare ed usare denunce anonime, con il risultato di porre sul banco degli accusati una donna che aveva appena effettuato un’interruzione di gravidanza nell’ambito della legge 194 in un ospedale pubblico e i sanitari che l’hanno assistita”. è anche il ministro per le Pari Opportunità Barbara Pollastrini, si è detta preoccupata per il clima e il rischio di strumentalizzazioni politiche.
Pochi minuti dopo l’aborto, avvenuto due giorni fa, il reparto è stato invaso dai poliziotti. La madre, ancora sofferente, è stata interrogata e, con lei, la sua vicina di letto. Non è proprio soddisfatto del comportamento tenuto dagli investigatori, il dottor Francesco Leone, responsabile del servizio Ivg (Interruzione volontaria di gravidanza). “Capisco che gli agenti fossero lì per compiere il proprio lavoro, ma in un momento tanto delicato e doloroso per una donna, era necessario avere un po’ più di riguardo per la mia paziente. Quando è uscita dalla sala parto, ha trovato gli agenti che già la stavano aspettando”. E lei, la donna che ha interrotto il suo stato di gravidanza, ha spiegato alla polizia i motivi della sua scelta. “Si è trattato di un aborto terapeutico. Una decisione difficile, sofferta. Mi è stato chiesto se per abortire avevo pagato, ed ho spiegato che non era stato così. Ero alla ventesima settimana, inizio della ventunesima”. La polizia ha sequestrato la cartella clinica della paziente e il feto i circa 500 grammi.
Carmine Nappi, ha consegnato alla direzione una relazione sulle modalità di svolgimento dell’aborto. E anche il direttore generale del Policlinico della Federico II, Giovanni Canfora, ha avviato una indagine conoscitiva allo scopo di accertare tutti i risvolti della vicenda.
“Si è trattato di un aborto praticato nel secondo trimestre, alla ventunesima settimana di gravidanza, che è previsto dall’ articolo 6 della legge 194/78, eseguito con un’ iniezione di prostaglandine”, ha detto il prof. Nappi.
La donna che ha praticato l’ aborto è stata dimessa. “Si è trattato di un aborto terapeutico. Una decisione difficile, sofferta”, ha spiegato la donna. “Mi è stato chiesto se per abortire avevo pagato” aggiunge S. S. “ed ho spiegato che non era stato così. I risultati dell’amniocentesi, ritirata lo scorso 31 gennaio, avevano accertato che il feto soffriva della sindrome di Klineferter, un’anomalia cromosomica. Ero alla ventesima settimana, inizio della ventunesima”. S. S. era stata ricoverata venerdì 8 febbraio. “Nonostante 5 candelette di prostaglandina venerdì non c’è stata alcuna espulsione del feto – spiega il dottor Francesco Leone, responsabile del servizio Ivg. “Abbiamo ripreso la stimolazione lunedì mattina, ed alle 12 il feto era già morto. La paziente è scesa in sala parto verso le 18 e quando è risalita intorno alle 20 ha trovato gli agenti ad aspettarla”.
“Mi hanno trattata in un modo assurdo. Interrogata come se avessi fatto chissà che. E invece io soffrivo, quel figlio lo volevo a tutti i costi. Mai avrei abortito se non avessi avuto quel terribile verdetto”.
Silvana, napoletana, vive ad Arzano (un paese alle porte di Napoli) con la mamma. Magra, poco più di un metro e 60. Sta per essere dimessa dal reparto di Ostetricia del Nuovo Policlinico dove è ricoverata da giovedì scorso. Ed è qui che l’altro ieri è stata sottoposta a un duro interrogatorio da cui non si è ancora ripresa. “Ero appena rientrata dalla sala operatoria”, sibila con un filo di voce.
Come e quando ha saputo che il bimbo aveva una grave malattia?
“Ho 39 anni e mi era sembrato indispensabile sottopormi all’amniocentesi. L’ho fatto alla sedicesima settimana nell’ospedale di Frattamaggiore, non lontano da dove abito. Era il 18 gennaio e il referto con la diagnosi me l’hanno consegnato il 31. Sul foglio c’era scritto “Sindrome di Klinefelter”. Poi mi hanno tradotto il significato, una cosa terribile”.
Una brutta malattia?
“Sì, un difetto dei cromosomi che poteva comportare ritardo mentale, problemi al cuore, diabete e l’assenza di alcuni ormoni”.
Ed è così che ha deciso di abortire?
“Non c’era altra scelta. Appena mi hanno comunicato che mio figlio sarebbe stato un malato per tutta la sua vita, non ho avuto dubbi. Ho deciso al momento, d’istinto: abortisco. Anche se sapevo che per me rappresentava una scelta particolarmente dolorosa. Mai avrei messo al mondo, da sola visto che non sono sposata, un bimbo in condizioni così gravi per il resto dei suoi giorni. E per favore che nessuno si permetta di parlarmi di egoismo, la mia è stata una scelta che va nella direzione opposta”.
Quando è andata la prima volta al Policlinico?
“Il 31 gennaio, per sottopormi a tutte le indagini preliminari, dai prelievi di sangue all’elettrocardiogramma, compresa la visita dallo psichiatra”.
E che le ha detto?
“Che la mia salute psichica sarebbe stata a rischio se non abortivo. E venerdì scorso mi sono ricoverata nel reparto di Ostetricia dove avevo conosciuto il dottor Leone. A lui avevo portato il referto e poi manifestato la volontà di abortire. La decisione è stata mia. Nessuno è intervenuto in questo senso. Il giorno prima ero stata anche al Cardarelli per sottopormi a consulenza genetica, me lo avevano chiesto gli specialisti del Policlinico per spiegarmi meglio la situazione del bimbo e della sua patologia. Intanto ero entrata nella 21esima settimana”.

Nei termini di legge.

“Certo. Mi avevano comunicato che si poteva fare entro la 23esima settimana. Per tre giorni mi hanno somministrato i farmaci per stimolare le contrazioni dell’utero. Ma lunedì alle 11 il medico mi ha rifatto l’ecografia e si è accorto che il feto era morto”.
Quindi?
“Ho continuato con la terapia e finalmente alle 6 e mezza di sera ho abortito. Poi mi hanno portato in sala operatoria e, con l’anestesia, mi hanno ripulito l’utero”.
E infine, di nuovo in corsia.
“Sì, e lì ci ho trovato una poliziotta pronta a interrogarmi. Non capivo cosa stava succedendo, ero ancora sotto l’effetto dell’anestesia”.
Cosa le ha chiesto?
“Mi ha bombardato di domande. Mi ha fatto terzo grado: come era successo, perché avevo abortito, chi era il padre. Addirittura se avevo pagato”.
Pagato chi?
“Sospettavano che avessi dato soldi ai medici per abortire. Insistevano. E poi sono passati anche a Veronica, la compagna di stanza ricoverata per gravidanza a rischio. Mi sono trovata in una situazione assurda appena fuori dalla sala operatoria”.
Sporgerà denuncia?
“Ci sto pensando, visto il trattamento che la polizia mi ha riservato, avendo già affrontato un trauma terribile che mi fa ancora soffrire”.

18 pensieri su “STORIA DI SILVANA

  1. Una testimonianza così toglie il fiato. Gli aborti terapeutici sono frutto di gravidanze desiderate, cercate e interrotte a fronte di una impossibilità. Ho molto rispetto per questa donna e per tutte le coppie che si trovano ad attraversare un dilemma di tale portata. Non è davvero possibile vedere – da fuori – quale oneri comporti un figlio malato, irrimediabilmente e senza speranza di recupero. I servizi, se ci fossero, non credo sarebbero sufficiente a sostenere. Non ci sono soluzioni buone per tutti. Spero nessuno tiri fuori l’eugenetica e il desiderio del figlio perfetto. Se ci legge, un abbraccio a Silvana e ai medici che l’hanno sostenuta. Sulla denuncia anonima e sul comportamento della polizia non ci sono davvero parole.

  2. Non so se il tema è già venuto fuori, se così fosse me ne scuso, però volevo segnalare che oltre agli antiabortisti ci sono anche persone che dicono di non opporsi all’aborto, ma di essere contrari all’aborto terapeutico in quanto espressione di discriminazione nei confronti delle persone con disabilità.
    In un documento che trovate qui:
    http://win.dpitalia.org/kit/opuscolo%20I.pdf
    a pag. 6-7 nell’esaminare la legislazione italiana sull’aborto emerge questo punto di vista. Personalmente non lo condivido, ma devo ammettere che, occupandomi di disabilità, mi fa riflettere molto.
    Ringrazio Loredana per il suo lavoro di sensibilizzazione su questo tema. Lo apprezzo tantissimo.

  3. E infine, di nuovo in corsia.
    “Sì, e lì ci ho trovato una poliziotta pronta a interrogarmi. Non capivo cosa stava succedendo, ero ancora sotto l’effetto dell’anestesia”.
    Cosa le ha chiesto?
    “Mi ha bombardato di domande. Mi ha fatto terzo grado: come era successo, perché avevo abortito, chi era il padre. Addirittura se avevo pagato”.
    NO COMMENT. io quando leggo ste cose ho l’istinto, lo confesso, di mettere la testa sotto la sabbia. perchè se dovessi invece re-agire di conseguenza, l’unica reazione umana istintiva sarebbe la violenza.
    voglio poi dire una cosa, che prende spunto dal commento di simona l., in cui si parla dell’aborto terapeutico come eventuale espressione di discriminazione nei confronti delle persone con disabilità. so che probabilmente dirò qualcosa di impopolare, ma lo dico, e me ne prendo la responsabilità. premetto che non voglio urtare la sensibilità di nessuno, nè dar luogo a polemiche, e che alludo a malformazioni gravi e dunque gravemente invalidanti.
    devo ammettere di essere del tutto terrorizzata al’idea di poter avere un figlio disabile. non mi piace e non mi è mai piaciuta l’educazione improntata all’etica del sacrificio tout court, nuda e cruda, per cui sempre e comunque bisogna immolarsi al sacrificio perchè qualcosa di ineluttabile, e pure un po’ “giusto” (per alcuni). io credo, pur non avendo figli ma avendo amato e amando persone, che uno degli aspetti più importanti nella relazione, in particolare con qualcuno che è più “piccolo” di noi, sia intravedere in lui un potenziale, coltivarlo, dargli gli strumenti per crederci, a sua volta, e progettare. evolversi. puntare ad un obiettivo e raggiungerlo. parlo di cose semplici, non sto facendo l’apologia dell’arrivismo, intendiamoci. dunque per questo, mi terrorizza la disabilità. un’amica di mia madre ha una figlia con una disabilità gravissima, terzogenita, e i fratelli invece sono in perfetta salute. lei dice che non cambierebbe di una virgola la condizione della figlia. ora, io capisco, con estremo rispetto, che l’amore può tantissimo. e che oltre a farci accettare, ci fa, appunto, amare, e dunque piacere, una cosa per quello che è. ma, perchè dovrei essere ipocrita, o, appunto, mossa dall’etica del sacrificio, e dire che “se mi viene un figlio disabile me lo tengo, e basta. che faccio, lo “butto”? non so. è vero che ho molti amici educatori che adorano i loro ragazzi disabili e sono sicura intravedano molto più di me il potenziale in loro standoci a contatto giorno dopo giorno. ma anche qui. la mia coscienza potrebbe suggerirmi “vai a vedere, passaci del tempo insieme”. e poi però mi dico “ma perchè? ma perchè BISOGNA per forza pensare di familiarizzare con la disabilità cosìcchè se dovessi fare un’analisi un giorno e scoprirne di mio figlio, io potrei affrontare la cosa in un modo diverso?” in quale modo la affronterei? non è questione di razzismo. è questione di mettere al mondo, letteralmente, un figlio con possibilità zero.
    io conosco la sofferenza, conosco il disagio, so quello che vuol dire, da persona abile, sopravvivere tutti i giorni all’interno di un sistema obiettivamente difficile. come posso pensare di mettere al mondo una creatura che 1 probabilmente non mi sopravviverà; 2 avrà una vita difficile 3 vivrà la sua vita in maniera completamente dipendente da un altro essere? fatta eccezione per i momenti di bellezza, la vita, mi chiedo, non è anche portare a termine qualcosa? sono troppo determinista? devo sentirmi per questo discriminatoria? con questo non voglio dire che già so come mi comporterò se dovesse succedermi, ma non voglio nascondere le mie paure, e anzi condividerle.
    Laura.

  4. Ho visto anche io dell’iniziativa del cimitero per i bambini mai nati a Roma.
    Credo però che sia diversa dal monumento ai bambini mai nati di cui si parlava credo in qualche altro post. Mi sembra che questo spazio sia riservato ai genitori che *vogliono* seppellire un figlio, quindi immagino so rivolga a chi perde un feto con un aborto spontaneo o terapeutico, che lo sente come una perdita non (del tutto) condivisa e scelta. Non mi sembra sia una cosa fatta per giudicare, ma forse sono ingenua io.

  5. Di recente ho seguito la vicenda altrettanto terribile di una mia coetanea, 30 anni, che aspettava con gioia il secondo figlio e a metà del 5 mese ha scoperto per caso, durante un’ecografia, che era affetto da una malformazione celebrale gravissima. Ha deciso di abortire. Io non posso sapere, posso solo provare a immaginare quale possa essere il dolore di una madre che per mesi sente i suo bambino crescere e muoversi dentro di lei e che poi ha una rivelazione così tremenda. Come si può essere così inumani da aggredire con un simile interrogatorio una donna in queste condizioni? Vergogna.
    I “bambini mai nati” possono venire seppelliti nei comuni cimiteri, non capisco la necessità di crearne uno apposito….

  6. fece puttosto scalpore all’epoca, ( se non mi sbaglio era il periodo della lista aborto no grazie di Ferrara…). é un caso abbastanza complicato e imbarazzante. Di questo intervista sottolinerei il momento in cui “Silvana riceve la risposta dell’amniocentesi ” Sul foglio c’era scritto Sindrome di Klinefelter…
    Sul foglio c’era scritto. Mi sembra quadretto abbastanza rappresentativo di come siamo schiavi del sistema sanitario.
    tra l’altro pare che la sindrome di klinefelter ce l’avesse anche george whashington

  7. Forse sarebbe il caso di pensare alla prostrazione fisica e psichica di Silvana, dopo l’effettuazione di un’interruzione volontaria di gravidanza, nonchè alla umiliazione di dover subire un interrogatorio subito dopo essere uscita da una sala operatoria. Certo possiamo pure ricorrere ad un G. Washington con sindrome di Klinefelter per dire che non avrebbe dovuto abortire, ma chi si metterebbe volentieri nei panni di Silvana, con il suo cocente dolore, con la sua lacerante mortificazione impostale per legge e con la sua dignità di donna così profondamente calpestata.

  8. @Laura la disabilità fa paura, non c’è da vergognarsi a dirlo, ma le paure, se si vuole, si possono superare. La disabilità non è una cosa astratta, è una caratteristica delle persone. Scansare la disabilità vuol dire in concreto scansare le persone che ne sono interessate, come accade nel breve filmato che trovi qui:
    http://www.youtube.com/watch?v=uzeWoxDsZNQ&feature=player_embedded
    Guardalo e valuta che impressione ti fa il comportamento del ragazzo.
    Altra cosa: la disabilità fa parte delle caratteristiche delle persone, come ammalarsi, come invecchiare. Nessuno può dirsi immune da questi processi. Se quando invecchierai la gente iniziasse a scansarti perché ha paura della vecchiaia, come ti sentiresti?
    Voglio aggiungere una cosa che forse non tutti sanno. Spesso le donne con disabilità vengono scoraggiate dal diventare madri e, nel caso intraprendano una gravidanza, spesso vengono invitate ad abortire. C’è il pregiudizio che le donne disabili non possano essere buone madri. In realtà le madri disabili, al pari delle altre, possono essere buone o cattive indipendentemente dalla loro condizione di salute.
    Qui trovate un’intervista ad una donna con disabilità che è diventata mamma per la seconda volta:
    http://www.uildm.org/wp-content/uploads/2010/03/AntonellaVitelli.pdf
    Inoltre vorrei aggiungere una considerazione sull’aborto terapeutico. Io credo che la donna debba decidere liberamente se se la sente di procedere con la gravidanza o se interromperla. E che non vada giudicata mai. Sia proseguire la gravidanza sia interromperla possono essere letti o come atti d’amore o come atti di egoismo. Credo che le categorie del “giusto” e “sbagliato” non siano adeguate a leggere queste storie. Credo anche che l’unica cosa opportuna sia quella di lasciare la donna libera di fare ciò che sente.
    Rispetto alla recensione del testo Zigulì pubblicata dal Corriere della sera (e citata da Laura), premesso che non ho ancora letto il testo, mi dispongo a leggerlo con rispetto. E’ una testimonianza personale, e come tale va letta. Non c’è niente di male ad esprimere la rabbia, il dolore e la frustrazione che si prova nel scoprire che il proprio figlio è disabile. Sarebbe un errore nasconderla. Però è anche un errore pensare che tutti i genitori reagiscano così. Ed è parimenti un errore pensare che la rabbia non si possa superare e che la disabilità porta sempre e solo dolore. La storia di Beatrice Vio dimostra che non è così, ed è solo una delle tante:
    http://www.youtube.com/watch?v=x6W1aX1Tohw
    Mi scuso per la lunghezza.

  9. simona l., non so, il modo in cui inquadri le mie considerazioni mi perplime. io non ho paura della disabilità perchè, in soldoni, temo che mio figlio, qualora fosse disabile, verrebbe preso in giro. ho visto il video della ragazza sorda e ovviamente, la reazione del ragazzo, è una reazione idiota.
    a me non interessa il parere degli altri. per molto molto meno la società tende a discriminare, voglio dire, basta essere omosessuale, o addirittura una persona sensibile, per essere marchiati.
    il discorso che facevo era nell’eventualità che IO fossi la madre di un bambino disabile (e grave, ho aggiunto). perchè posto l’amore, che come ho scritto tutto può, credo, magari sbagliando, che un figlio debba sopravvivermi, che un figlio debba poter diventare autonomo, che un figlio debba poter sperare concretamente di realizzarsi (il che come ho già detto non vuol dire che debba diventare chissà chi). ora onestamente quanto è possibile che si verifichi quello che io, e penso qualunque madre si augura, nell’eventualità che un figlio sia una persona gravemente invalida?
    aggiungo che bisognerebbe astenersi dal giudizio anche perchè credo che una scelta del genere sia compiuta da una donna in base al proprio personale vissuto e, non so come dire, io non me la sento di dire ad una che magari ha dovuto convivere con pregiudizi e ostracismi lungo l’arco della sua vita, di immolarsi e sperare in un mondo migliore, attraverso la pelle del proprio figlio. e ribadendo che questo non toglie che uno possa poi decidere di farlo, ovvero di mettere al mondo un figlio disabile, concludo dicendo che, dunque, ciò che mi irrita è la retorica “felice” di coloro che ti fanno passare per mostro se ammetti di aver paura. trovo che rientri in quella tremenda dinamica dell’etica del sacrificio molto italiana e molto cattolica, per cui, ad esempio, se dici che hai paura del dolore del parto (oppure che cucini per amore e non per dovere, oppure ancora che credi che oltre al lavoro esista anche una vita), non sei una persona “seria”.
    Laura.

  10. Qualche anno fa, anzi parecchi anni fa, una mia carissima amica al quinto mese di gravidanza ricevette la notizia che il suo bambino sarebbe nato affetto da sindrome di Down: lei aveva più di trentacinque anni, e la prima cosa che le era venuta in mente era che dopo di lei, e del marito, nella sua famiglia non ci sarebbe stato nessuno che si sarebbe preso cura del figlio che avrebbe messo al mondo con quello svantaggio. La prima cosa che avevo pensato io, invece, era che fosse assolutamente ingiusto mettere al mondo un figlio che avesse già, di partenza, un simile svantaggio: non sappiamo che cosa riserverà il futuro a chi nasce, quali le variabili che entreranno in gioco nel decidere la sua sorte, insomma, abbiamo già tante possibilità di essere infelici anche se nasciamo nel migliore dei contesti possibili, perché allora, ostinarsi ad essere tanto corretti da far nascere una creatura già azzoppata in partenza? A me sembra un grande sacrificio sull’altare del fondamentalismo, non necessariamente religioso, ma è una mia opinione, o meglio una mia sensazione. Una parte della famiglia della mia amica non si fece scrupolo a farle sapere la sua contrarietà alla decisione, terribile, di abortire. Io mi ricordo che piangeva per telefono (abitava in un’altra città) e che un’altra parte della sua famiglia era invece stata così perbene, o se volete, umana, da sostenerla e farle sembrare meno orribile il tutto. Qualche anno dopo la mia amica ha messo al mondo una bellissima e sanissima bambina, e a me è sembrata la più bella rivincita sulla stupidità della sorte e delle persone.

  11. sull’aborto mi sono già espresso più volte, posso solo ribadire che chi decide di abortire un feto affetto da sindrome di down o altra grave disabilità merita rispetto, chi decide di farlo nascere merita altrettanto rispetto. La denuncia anonima, l’interrogatorio che ha subito Silvana è una vergogna, non c’è altro da aggiungere

  12. @Laura il motivo per cui ti ho risposto così è stato questa frase “ma perchè? ma perchè BISOGNA per forza pensare di familiarizzare con la disabilità”. Ma da quello che scrivi nella tua risposta mi rendo conto di averla estremizzata, me ne scuso.
    Non ho particolare difficoltà a rispettare la tua posizione. Se una donna mi dice “io non mi sento di affrontare una determinata situazione”, per me già questo è un motivo sufficiente a legittimare le sue scelte. Ovviamente però non va giudicata neanche chi fa una scelta di segno opposto.
    Per questo non sono d’accordo quando affermi: “è questione di mettere al mondo, letteralmente, un figlio con possibilità zero.” Conosco persone con disabilità gravissima (che non camminano, non si alzano dal letto da sole, non si lavano, non si vestono, non mangiano autonomamente), che hanno studiato, che lavorano, alcune di esse si sono anche fatte una famiglia. Certo, crescere un figlio con disabilità è molto più impegnativo, e credo che lo possa affrontare solo chi se la sente. Chi non se la sente non è una persona peggiore, è solo una persona che vuole vivere in modo diverso.
    Non credere però che chi sceglie di occuparsi di disabilità lo faccia sempre per spirito di sacrificio (alcuni lo faranno per questo, ma molti altri no). Io sono agnostica ed ho iniziato ad occuparmi di disabilità per caso. Rimasi molto colpita da alcune persone con disabilità, dalla dignità con la quale vivevano la loro condizione, dalla gradevolezza della loro compagnia. Niente che corrispondesse allo stereotipo col quale ero cresciuta. Non tutti la vivono così, e non ho particolare difficoltà a dire che ci sono persone con disabilità che hanno comportamenti sgradevoli. E’ un mondo molto vario.
    Penso comunque che occuparsi di disabilità sia utile: tutti invecchiamo e ci sono buone probabilità che gli ultimi anni della nostra vita siano interessati da questa condizione (non lo dico io, lo dicono le statistiche), e imparare a non demonizzarla può essere d’aiuto. Dico ciò senza negare o sminuire le difficoltà che la condizione comporta: le difficoltà ci sono, sono oggettive, e vanno affrontate. Magari chi si prepara ha più probabilità di affrontarle meglio 🙂

  13. Ma un direttore sanitario o medico curante non può, in nome della salute di un ricoverato, imporre un divieto a visite e interrogatori immediatamente dopo un intervento o se le condizioni di salute non lo consentano? E un interrogatorio non andrebbe condotto in presenza di un avvocato? A me sembra che medici ed ospedali dispongano di tali prerogative e non capisco, tra le altre cose, come sia stato possibile quello che è successo. Nessuno dice che in seguito a denuncia la polizia non debba interrogare le persone allo scopo di acquisire elementi utili all’ indagine, ma mi sembra che persino la convenzione di Ginevra preveda cose del genere, e che, stiamo in guerra? Evidentemente si.

  14. MA NON DICIAMO STUPIDAGGINI. Io sono disabile, ho la sclerosi multipla e ho solo 33 anni. Entro due anni sarò definitivamente immobile su una sedia a rotelle. I miei figli, ora piccoli, mi vedranno appassire, soffrire e morire. Se lo fossi stata fin dalla nascita e mia madre mi avesse messo al mondo sapendolo, l’avrei odiata tutta la vita. Nessuno di voi si è messo dalla parte del disabile….non tutte le disabilità comprendono ANCHE il ritardo mentale e siiiii, la vita è bellissima…. Se non sei un cazzo di paralitico! Spero che l’eutanasia diventi legale….guardatevi il film ‘mare dentro’ e decidete se vi piacerebbe essere così! Fanculo a washington

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