Ho seguito e seguo la discussione che si è sviluppata attorno alle storie. Credo che sia importante, che ci sia un non detto che dura da troppo tempo, e credo che occorra andare avanti. Per questo, continuo. Con la storia di Manuela. Non importa se sia sua o raccolta da lei. La mette a nostra disposizione, ed è quel che conta.
Avevo 18 anni e non ero pronta. Amavo il mio ragazzo ma, appunto, era soltanto un ragazzo, che di anni ne aveva 21. Era il primo anno di università, il primo fuori casa. Era un anno di euforia.
Prime volte che facevamo l’amore. Inesperti entrambi, ci siamo lasciati andare con la passione tipica della scoperta. E abbiamo sbagliato.
Quando le mestruazioni non sono arrivate e il test mi ha confermato il sospetto di essere incinta, ho avuto subito chiaro cosa dovevo fare: interrompere la gravidanza. Non ero pronta io, non era pronto lui. Lo penso ancora oggi, con infinito dolore. Perché, dopo aver avuto due figli, sono ancora più convinta che non ci si può improvvisare genitori. Che crescere un bambino è una questione serissima, che richiede una scelta responsabile in cui l’ideologia non deve avere spazio.
Ho chiesto aiuto a un’amica romana, che senza titubare mi ha dato il numero della sua ginecologa all’Aied. La dottoressa mi ha ricevuto il pomeriggio stesso a via Toscana. E’ stata ad ascoltarmi con gentilezza, poi mi ha fatto parlare con una psicologa e infine mi ha indirizzato verso l’Ospedale San Giacomo, che praticamente ora non c’è più. Dei giorni successivi ricordo alcuni flash: le mattine a fare le analisi, gli incontri con le altre donne che erano là per la stessa sigla, Ivg, gridata dalle infermiere in corridoio ogni volta che potevano. La sorpresa nello scoprire che la maggior parte delle persone che stavano per abortire non erano giovani come me, ma madri di famiglia con due o tre figli che non volevano averne altri. L’esperienza sgradevolissima dell’ecografia, l’unica volta in cui sono stata trattata con vero disprezzo dall’operatrice (non una dottoressa, credo una tecnica). Il cuore in tumulto quando sono andata a ritirare l’esito del test Hiv: non l’avevo mai fatto prima, tutto poteva essere.
Del giorno dell’intervento, invece, ricordo ogni dettaglio. Sono andata e tornata in metro, accompagnata da un pugno di persone che mi erano e mi sono care: il mio ragazzo, l’amica del cuore e altre due amiche su cui sapevo di poter contare. Il reparto era separato da tutto il resto. La dottoressa era una donna piccola e forte, che non dimenticherò mai, così come non dimenticherò mai l’infermiera che la assisteva: non mi ha mai lasciato la mano per tutta la durata dell’aborto. Erano, come dire, fiere di stare dalla parte giusta. Ho pianto, piango ancora a ricordare, ma sapevo e so anch’io di aver fatto la cosa giusta. Non ho mai avuto la presunzione di credere che la vita sia un concetto avulso dalla realtà concreta, che i figli possano essere un’idea disgiunta da quella del contesto in cui si nasce. Mettere al mondo un essere umano non è uno scherzo, uno slogan, uno striscione.
Mentre mi accompagnava fuori, verso la cameretta in cui sarei rimasta per qualche ora dopo l’intervento, la dottoressa mi disse testuali parole: “Non dovrai mai dar conto a nessuno di quello che hai scelto di fare. Se vorrai potrai tenerlo solo per te per tutta la vita, non sei obbligata a riferirlo a nessuno, anche se te lo chiederanno”. Me lo hanno chiesto spesso. I ginecologi che nel tempo mi hanno seguito, gli innumerevoli operatori che mi hanno “sezionato” durante le mie gravidanze. Appena rientrata a casa ho distrutto tutta la documentazione dell’ospedale. Ho sempre taciuto e sempre tacerò. Mi sono concessa un’unica eccezione: questo invito di Loredana. Perché mi sembrano passati secoli da allora: era l’inizio del 1995, non c’era nessuno nessuno nessuno a gridarmi assassina fuori dall’ospedale, la quota di ginecologi obiettori non era alta come oggi, non c’erano i Family Day, Berlusconi si era appena dimesso dopo pochi mesi dal suo primo governo, la laicità pareva ancora un valore condiviso e nessuno si sognava di riformare i consultori. Era un’altra Italia, che ormai stento a riconoscere.
Quanto a me, faccio tutti i giorni i conti con la mia coscienza. Ma ho imparato a dividere le persone in due categorie: quelle che hanno rispetto delle scelte altrui, anche se non le condividono, e quelle che non ne hanno alcuno. E poi, lo confesso: da allora sono grata ai radicali e a tutti i 27 milioni di italiani che nel 1981 votarono no al referendum. Perché ho provato sulla mia pelle che il privato è politico, e viceversa.
“l’aborto non è nient’altro che una concessione del patriarcato alle donne che, in quanto tale, come qualsiasi altra concessione, può essere revocata in qualsiasi momento”
Mi sembra una frase importante questa della Lonzi riportata da Antonella. Si può discutere sul fatto che questa concessione provenga o meno dal patriarcato, o invece dalla chiesa cattolica o chi per loro , ma è vera. di fatto ogni donna non può abortire da sola, ma necessita di un sistema esterno che per prima cosa avvalli la sua decisione e che comunque fornisca mezzi e personale atti ad metterla in atto.
Mi pare che questo sia già in contrasto con una vera autodeterminazione della donna e degli individui in genere. Per il sistema contraccettivo è guasi lo stesso; le industrie farmaceutiche forniscono sistemi chimici sempre più sofisticati, il cui scopo sembra quello di eliminare ogni forma di autocontrollo, ( potremmo dire forse autodeterminazione) ancora necessario con i cosiddetti metodi naturali. Sarebbe da discutere la ricaduta morale di questa perdita di autocontrollo, in termini di comportamento soprattutto maschile… Più che altro ora, mi interessava far notare come i presunti “diritti “, concessi sempre dall’alto del sistema , nascondano sempre un tarlo che rode l’autodeterminazione dell’individuo. C’è un post più sotto, dal titolo piuttosto infelice “Diritto all’ingenuità”, ( è solo un titolo d’accordo) ma si arriva a presupporre che anche l’ingenuità di un ragazzino dipenda da questo sistema burocratico sanitario.
Ritengo dunque che la vera autodeterminazione possibile sia quella che viene prima, prima dell’aborto dei preservativi e delle pasticche, in cui si decide di fare l amore con una persona perché gli si vuole bene, cioè siamo disponibili a condividere un destino.
ciao,k.
K, ti stupirà ma io sono d’accordo con te quando dici di decidere di fare l amore con una persona perché gli si vuole bene, cioè siamo disponibili a condividere un destino, però non si può imporre. penso che sia bellissimo farlo con la persona amata con cui magari si sogna un futuro, non ho ancora avuto esperienze ma dubito che riuscirei a separare l’atto sessuale dal coinvolgimento emotivo, non potrei non voler bene a chi fa l’amore con me..altri e altre riescono a scindere i due aspetti e io non li giudico. Questo però non ha a che fare con l’accesso legale all’aborto e alla contraccezione. Come è stato detto più volte pure una coppia innamorata e magari sposata in chiesa può (non dico “deve” dico “può”) ricorrere ad anticoncezionali, non servono solo per evitare agli adolescenti con gli ormoni a mille di “mettersi nei guai” e possono essere usati o non usati da coppie stabili o da amanti occasionali. l’accesso alla contraccezione ed all’ivg va garantito a chiunque perchè chiunque non viva in perpetua castità potrebbe averne bisogno: le persone “morigerate” come quelle “sessualmente disinvolte”, chi ha una relazione stabile come chi “vola di fiore in fiore”, i coniugi fedeli come gli adulteri…le probabilità possono essere minori o maggiori ma non si può escludere in assoluto.
La questione è questa: c’è una legge che viene di fatto sabotata dall’interno utilizzando l’obiezione di coscienza come leva, obiezione che del tutto illegalmente si allarga anche alla contraccezione d’emergenza, questo è il tema,e non altro. il punto è lasciare la gente libera di decidere, e il discorso di k sui “sistemi esterni” vale per un sacco di cose, quasi tutte in verità: anche quando mangio o leggo un libro dipendo da strutture esterne (supermercati, industria agro-alimentare, librerie, editoria, biblioteche con relativo personale ecc..)..quindi che ne dovrei concludere?
e inoltre, caro k, sarò il solito romantico ma penso che anche una persona con cui all’inizio fai “solo sesso” può diventare la persona con cui condividere un futuro, una relazione che all’inizio si basa solo sul sesso può (anche qua dico “può”) diventare una storia d’amore. Chiedo scusa per l’OT.
Grazie Loredana, per le storie che “metti in rete”. Stai facendo un lavoro importantissimo, di cui ti sono grata.
@paoloNon mi stupisce per niente che qualcunaltro pensi che è giusto fare l’amore solo quando si vuole bene.
dici giustamente che non lo si può imporre. e per fortuna aggiungo nemmeno lo si può vietare . purtroppo però si possono imporre, o perlomeno proporre insistentemente modelli di comportamento perversi, in cui il sesso è banalizzato a piacere effimero individuale e quindi merce di scambio.
Questi comportamenti fino ad adesso principalmente comprovati dagli abusi dei forti sui deboli, ( in genere uomini ricchi su ragazze o ragazzi poveri) e dei magnaccia in genere trovano uoggigiuorno un valente alleato nelle varie multinazionali della medicina e biotecnologia, al loro potere sui media, che spinge per questa perdita di autonomia riproduttiva e contraccettiva di donne e uomini a vantaggio dei loro interessi e brevetti. A riguardo in queste pagine è stata illuminante la “testimonianza di Silvana.”
Poni poi giustamente il la questione sui sistemi esterni: nessun uomo è mai stato completamente autonomo, c’è però una grossa differenza tra l’appartenere a una comunità o all’essere schiavi di un sistema. Cosa ne dobbiamo concludere.? che è una questione cruciale che ci interroga in questi tempi , pensa all’acqua o all’energia. Ed è comunque una questione in cui da sempre abbiamo cercato un equilibrio.
Però è una cosa grossa mi rendo conto che uno come me si può mettere a pontificare così, dopo cena. Ti rimando ai bei libri di Ivan Illich, ( soprattutto nemesi medica) da prendere con le molle.
ciao,k.