STORIE DI VITA E DI MORTE

Sul “giardino degli angeli” al Laurentino, Roma, leggete questo post de Il Fatto e soprattutto leggete i commenti, segnalati ieri sera da Lorella con giusta costernazione. Coraggio. Ma leggete anche la notizia apparsa su Il Mattino nel luglio di quest’anno, che sempre Maddalena mi ha inviato via mail:
L’Azienda Ospedaliera Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta nella persona del commissario straordinario Antonio Postiglione e l’associazione «Difendere la vita con Maria» rappresentata dal presidente nazionale don Maurizio Gagliardini hanno stipulato un Protocollo d’intesa al fine di promuovere il seppellimento dei «Bambini non nati», con la presenza della commissione locale dei volontari dell’Associazione, del cappellano Ospedaliero Padre Rosario Perucatti, e dei direttori Carmine Iovine e Michele Izzo.
L’iniziativa fa seguito ad un convegno, promosso sempre dall’azienda ospedaliera casertana, sui traumi post-aborto, che aveva messo a confronto voci diverse, dal vescovo Pietro Farina alla parlamentare Giovanna Petrenga, dal sindaco Pio De Gaudio al presidente del consiglio comunale Gianfausto Iarrobino. «Si tratta del primo protocollo d’intesa di questo tipo firmato in Campania ed uno dei primi in ambito nazionale», fanno sapere dall’azienda ospedaliera. L’associazione «Difendere la vita con Maria» con sede a Novara è un’organizzazione di volontari che si occupa della promozione culturale e spirituale della vita umana nonché della difesa dei diritti del nascituro dal concepimento fino alla morte naturale. L’obiettivo è quello di assicurare una degna sepoltura a quelli che sono definiti tecnicamente «prodotti abortivi». Lo stesso Comitato Nazionale di Bioetica della Presidenza del Consiglio dei Ministri nel 1996 ha formulato le seguenti conclusioni: «Il comitato è pervenuto unanimemente a riconoscere il dovere morale di trattare l’embrione umano, sin dalla fecondazione secondo i criteri di rispetto e tutela che si devono adottare nei confronti degli individui umani a cui si attribuisce comunemente la caratteristica di persone». Don Maurizio Gagliardini ha apprezzato l’iniziativa esaltandone la tempestività e la condivisione etica da parte dell’Azienda Ospedaliera di Caserta, «con la consapevolezza che questo protocollo certamente sarà il testimonial e la locomotiva che trainerà nel mezzogiorno d’Italia, altre aziende sanitarie nella cultura del patrimonio comune del rispetto e della vita». «Con la sottoscrizione di questa convenzione, l’azienda Sant’Anna e San Sebastiano ha quindi dimostrato ancora una volta sensibilità e rispetto nei confronti della dignità della vita, rendendosi non semplice Istituzione dedicata all’assistenza sanitaria, ma Ente garante della vita umana in tutti i suoi aspetti ed in ogni sua fase temporale».

115 pensieri su “STORIE DI VITA E DI MORTE

  1. Certo che entrare a questo punto in questa discussione sembra indelicato, e mi sono anche chiesto se era una cosa che volevo davvero fare, ma, donne o uomini che siamo, vicino all’aborto sembra che sia inevitabile passare.
    Da alcuni commenti mi sembra di vedere una particolare ostilità nei confronti del ricordo, in quanto produce dolore, per cui lo smaltimento dei resti, assimilati ai rifiuti, sembra una buona soluzione.
    E’ altrettanto evidente che i fondamentalisti se ne fottono dei sentimenti e forse anche del destino eterno di feti e madri, li seppellirebbero insieme se non avessero già deciso chi va all’inferno e chi in paradiso con loro a bere il caffè.
    Sono però così grossolani che non vorrei farli entrare come termine di paragone in quello che voglio dire.
    Quello che mi ha colpito di più è il concepire la cancellazione come ciò che ridimensiona o risolve un problema; l’aborto terapeutico in fondo è la cancellazione di un problema, indipendentemente dal fatto che si consideri l’embrione o il feto una vita umana oppure no, e sembrerebbe naturale che anche il ricordo di questo fatto debba essere minimizzato, non potendo far sparire del tutto la sua realtà traumatica.
    Di questo, di questo pensiero, mi chiedo se sia un atteggiamento sensato, se sia il modo giusto di affrontare quella che a me sembra essere una ferita profonda, destinata a farsi sentire a lungo, forse per tutta la vita, da qualunque angolazione vogliamo vederla.
    Dopo quasi due secoli di psicanalisi laica in cui sembra che il rimosso sia alla radice di problemi inaffrontabili perchè la loro causa è nascosta, forse identificare il ricordo al dolore e il termine o la riduzione del dolore con la sparizione del ricordo, (desiderio comprensibile in una persona sconvolta), mi sembra poco percorribile come via terapeutica.
    E’ evidente che il ricordo non deve essere un memento di condanna, come vorrebbero alcuni, ma se arrivare a pensare che qualcosa che abbiamo fatto nella nostra vita è uno sbaglio, potesse aiutarci a comprenderlo e a dargli un posto nella nostra vita, insieme a tutte le cose da cui abbiamo imparato qualcosa, anche soffrendo, perchè negarlo?
    Ecco tutto, volevo soltanto riflettere su questo, sul posto che un’esperienza così deve avere nella vita di una persona, nella sua memoria.
    Quanto ai riti funebri, nella mia esperienza, so che servono ai morti, per loro sono stati concepiti e per questo la loro connotazione è sempre religiosa, e, scusatemi se rido, capisco che l’argomento è drammatico, ma il “Tempietto egizio” mi sembra una tale parodia che vorrei vedere la faccia di chi l’ha concepito, se non è coperta da un cappuccio o da un grembiulino azzurro.
    Ai vivi i riti hanno sempre dato poco conforto, il conforto è sempre venuto dalla presenza umana, dagli amici, dalle persone disposte a condividere una parte di quel dolore.

  2. Mario Pandiani, a parte che dire a una commentatrice – che certo dovrebbe difendersi da sola e mi scuso con lei – che la funzione che ha assolto in un suo lutto privato è una triste parodia, mi pare un po’ irrispettoso e anche marchiana disconferma di quello che vuoi sostenere, ossia che ai vivi i riti hanno dato sempre poco conforto. e si vede infatti: non li fa nessuno nonostante l’incertezza della presenza divina.
    No è il contrario, e nei contesti psicoanalitici ci si è arrivati anche da diversi annetti, persino nelle aree post freudiane. L’elaborazione individuale del lutto è davvero facilitata quanto meno nel suo avvio dall’esperienza del rito, il quale in tutti i suoi passaggi fornisce dimensioni simboliche che fanno ragionare sulla funzione che l’oggetto perduto ha assunto nella vita di quella persona, nei suoi diversi momenti, rispetto ai suoi sentimenti e ai suoi bisogni. Costringe a una presa d’atto più che assolvere a una funzione consolatoria, avvia il motore dell’elaborazione. I riti permettono di puntellare, anche in circostanze meno funeste di un funerale, la vita quotidiana con delle concretezze che si rivelano oggetti semantici, cornici di significato, e facciamo fatica a farne proprio a meno – e infatti anche quando siamo atei, non riusciamo a sopprimerli ma solo a sostituirli credendo di essere liberi dalla religione – cosa che sarà anche vera, o almeno da quella che comanda da noantri – ma dai bisogni umani di dare una forma alle cose molto meno.
    Invece per quel che riguarda k. Non so, non è che semplifichi, perchè beati voi se ci avete capito qualcosa di quello che ha scritto: piuttosto per facilità di discussione prende cinquanta pareri diversi e li sistema in un solo mostro a tante teste senza però essere riuscito a trovare il bandolo della coerenza interna, non so per quale problema: paraocchi, limiti, forse legge di fretta.

  3. Sui riti e sul bisogno della ritualità – concordo con Zauberei in toto. Per altro penso sia un grave errore negarne la necessità – più o meno forte in alcuni e meno in altri. Chi non ha una Chiesa, una religione, sostituisce… ma non per parodia, per condivisione. Giusto per andare su argomenti più allegri: una coppia di amici ha organizzato per la nascita del loro primo figlio una festa. Non volevano mica parodiare un battesimo, una milà ma semplicemente segnare e condividere con persone care la nascita di loro figlio. Chi non è credente o crede a intermittenza o a modo suo – è stato spesso, in passato, assistito da ideologie piuttosto robuste da creare tutta una serie di riti. In Romagna ci sono ancora tracce di cimiteri per repubblicani. Gente tosta la cui identità era talmente fondante da creare persino un modo altro per farsi accompagnare nell’ultimo viaggio. Lo hanno fatto anche le diverse ramificazioni del movimento operaio – dagli anarchici ai comunisti. Trovo sia molto rispettoso di modi di sentire altri che il comune offra uno spazio a chi desidera ricordare un proprio caro senza ricorrere a una cerimonia religiosa, anche perché talvolta questo è l’esplicito desiderio del defunto. Una festa si può organizzare a casa, per un funerale è più complesso. Pandiani pensa siamo tutti massoni? Pazienza, ce ne faremo una ragione.
    Per tornare sul tema della discussione – come ho già scritto – trovo aberrante l’appropriazione di sentimenti privati e umani da parte di un gruppo di fanatici. E altrettanto la solerte collaborazione del comune. Basterebbe chiedere alle persone cosa preferiscono, senza alcuna necessità di spazi separati e colpevolizzanti. Resto comunque dell’idea che non sia un esempio di cattiva politica farsi espropriare dai propri bisogni e sentimenti solo per non essere sfruttati da un gruppetto di pazzi.

  4. Scrivo male e leggo di fretta, sembra invece che il mio commento precedente sia stato ben compreso, perlomeno nella parte più interessante; quella cioè in cui lascio intendere di avere un opinione diversa dalla maggioritaria , e infatti a conferma ecco che vengono subito fuori altre offese sui miei limiti, i paraocchi intelligenza scarsa presunzione etc. Ma questo è superfluo . Confermo invece che da quello che è venuto fuori dal post davvero non mi pare ci sia quella grande notizia bomba: la sepoltura viene data a chi la chiede, cosa che da molti è ritenuta necessaria e importante, cosa che già avviene da tempo in altre città, cosa che in qualche maniera in forme simili è sempre avvenuta.
    Che dire allora di più, se non che, con tutto il rispetto il Tempietto Egizio un sorriso lo ha strappato anche a me e che tutto sommato è piuttosto buffa anche la mitria dei vescovi. ma come dice zaubrei i riti penso sia necessari soprattutto ai vivi,. Voglio però finire con quella che per me me è stata davvero una notizia bomba, ci tengo però a sottolineare che riporto quest’autorevole opinione non con l’intento di offendere le donne che hanno necessità di abortire, ma per provare a far capire che opinioni diverse dalle nostre potremo sempre incontrarle, specie su argomenti come questo. Leggendo una raccolta di scritti di Mahatm Ghandi ho trovato una sua risposta ad una persona che gli chiedeva come doveva contenersi con la moglie che era rimasta in cinta di un altro uomo. la prima cosa che ha detto Ghandi è stata che l’aborto sarebbe un crimine, invitava piuttosto a trattare la moglie con rispetto e se proprio non era più possibile vivere insieme, comunque occuparsi del suo mantenimento e della sua dignità.
    Un opinione forte, ma va riconosciuto che erano altri tempi sono passati tanti anni i costumi sono cambiati. Tra l’altro il Mhatma ( perdonate l’ironia) non ha avuto la fortuna di vivere e formarsi durante gli ultimi 17 anni di Berlusconi . come dire se non ora.quando?
    Ciao,k.

  5. A proposito di rituali laici: gli IWW si facevano cremare e le loro ceneri venivano spedite in giro per il mondo per essere sparse il Primo Maggio. Secondo me è un rituale meraviglioso.

  6. Visto che il vizio di meta-comunicare non lo voglio perdere, mi limito a osservare che il seppellimento dei non-nati è solo uno degli esempi (magari il più eclatante e condotto in modalità non sempre scevre da strumentalizzazione) di come la comunità umana affermi l’appartenenza di ciò che nella donna si genera alla comunità stessa.
    Io credo che l’autodeterminazione finale della donna sulla propria gravidanza non si possa più mettere in discussione. Credo però anche che questo non significhi la proprietà privata e assoluta della donna su ciò che la gestante contiene. Quantomeno a livello simbolico, movimenti cattolici o no, la comunità umana continuerà ad esercitare una tutela su questo, e non sul corpo femminile, che come ha scritto Barbara Duden non deve essere considerato come “luogo pubblico”. Con buona pace di chi, grossolanamente, ha provato a far coincidere quell’autodeterminazione con questa proprietà, rifiutando che la comunità consideri l’aborto come una grave lesione della comunità medesima, tollerabile solo per “gravi e giustificati motivi”. E’ questo rifiuto, la sicumera che ne deriva e la resistenza a qualsiasi pedagogia della sessualità che spinga verso una maturità dei rapporti personali e riduca l’aborto ai minimi termini, che secondo me individua “le militanti dell’aborto libero e gaio”, che nemmeno si chiedono perchè dopo quarant’anni il loro linguaggio continua ad essere respinto non solo dal mondo cattolico ma da buona parte della società civile, e soprattutto dalle giovani generazioni.

  7. “Aborto libero e gaio” a chi? Se qualcuno fosse convinto che l’aborto e’ libero e gaio non staremmo neanche qui a discuterne seriamente.
    Secondo me leggendo i commenti risulta che, se un trait d’union esiste fra quel che pensano tutt*, e’ proprio che “l’aborto e’ un diritto ma se ce lo si puo’ risparmiare e’ molto meglio” (Zauberei ha sintetizzato molto bene).

  8. Allora…Io ho poca esperienza, ed indiretta, con l’aborto. I casi di amiche in età giovanissima sono stati traumatici, veramente pesanti. Niente di gaio, assolutamente. D’altra parte ho i racconti di un’amica infermiera che riporta le storie di chi abortisce “perchè deve partire per le ferie” (però non so quanto fidarmi di questi racconti)!!! E conosco diverse persone che non usano contraccettivi, di nessun tipo. Che le esperienze siano diversissime, e che sicuramente possa esseci dell’incoscienza, dell’ignoranza anche tra chi ricorre all’aborto, penso che sia fuor di dubbio. Però, chi sono le militanti “dell’aborto gaio”??Di chi si sta parlando?Non è una provocazione, chi mi fa degli esempi?

  9. “Di chi si sta parlando?”
    Di quelle persone che un evento singolo della propria vita, l’aborto, seppure importante e vissuto intensamente, lo prendono e lo mettono in archivio e continuano con altri dolori e altre gioie. Quelle sono per alcuni “le militanti dell’aborto libero e gaio”. Alcuni che se non vedono una donna strapparsi i capelli, scipparsi la faccia e tentare il suicidio o restare scema per tutta la vita, pensando a quel figlio non nato, non stanno in pace con lororo stessi e dunque non permettono agli altri di stare in pace.
    Chi supera i propri drammi e i risolve i propri problemi, non in solitudine, ma con le proprie forze, supportata anche da chi l’ama e la comprende, e che relativizza o non ha bisogno di riti bizantini. Quelle sono “le militanti dell’aborto libero e gaio”.
    Ogni persona secondo la propria storia agisce in determinati modi e questi modi vengono favoriti o rigettati dalla comunità secondo concetti e valori più o meno condivisi, quando parlavo di perversione e di insanità, non mi riferivo certo alle singole donne, alle singole coppie o famiglie, che gestiscono il dolore facendo un funerale, seppelendo quel figlio che non hanno avuto, e con questo gesto elaborano il lutto. Mi riferivo proprio a questi valori che la collettività propone come positivi e che invece sono estremamente negativi: l’estetizzazione del dramma, la retorica della sofferenza, la sua mitizzazione e la condanna della diversità dell’agire e del sentire.
    Se io dopo un aborto soffro, ma supero questa sofferenza positivamente, sistemando questo evento nella storia della mia vita, senza farne il cardine, da queste persone verrò giudicata: individualista, cinica, insensibile, stronza e puttana. E per le puttane c’è la lapidazione.
    Gli aborti che ho vissuto io, indirettamente, sono stati diversi tra di loro, perchè diverse erano le donne e le famiglie. Se mia cugina ha abortito al quinto mese perchè il feto non aveva sviluppato il cervello, ed ha sofferto tanto perchè era il suo primo figlio e lo voleva, ma poi l’ha superato ed ha avuto tre figlie che oggi hanno 18, 15 e 10 anni; la mia amica che ha abortito al secondo mese di gravidanza perchè di figli ne aveva già tre e deve fare i conti con un marito schizofrenico, è tornata a casa e s’è riposata, io le ho tenuto i due più piccolo, e dopo non c’ha pensato più perchè c’era altro da affrontare, nel bene e nel male. E così via, tutte storie diverse, se ne possono raccontare tante, ma non basteranno mai a convincere queste persone che le donne affrontano l’aborto in modi diversi e tutti validi e che sono altri i problemi della comunità. Perchè se io abortisco, riguada me, e solo dopo la comunità, poichè la comunità troverà altri individui diversi dal figlio che io non ho avuto, per agire o tramandare ecc. Ma se la comunità decide che io non posso abortire, io non posso trovare un’altra comunità in cui vivere e dovrò subire le imposizioni della comunità, dovrò subire una violenza – e come si vede non lo posso dire perchè se lo dico che è una violenza, mi spetta la lapidazione.

  10. *Aggiungo: Che se la comunità è tutta concentrata sul mio evento privato, non può affrontare altri eventi che invece su di essa hanno un peso enorme: l’acqua, il cibo, la salute, le altre sofferenze collettive derivanti da guerre e grandi migrazioni, ecc.

  11. Allora la sua posizione, Valter Binaghi, è proprio quella che avevo temuto di aver capito nei giorni scorsi… Quando ha detto:
    “Dunque una donna non potrà mai abortire senza sensi di colpa?
    Nel caso in cui non sia un problema di salute o di grave indisponibilità psicologica ad affrontare la gravidanza, non credo proprio, e chi ha abortito lo sa, anche se la sua responsabilità va condivisa con chi l’ha messa incinta e con chi la opprime in un modo o nell’altro”
    intendeva che chi non ha “abbastanza” sensi di colpa (e la quantità giusta chi la decide?) è una “militante dell’aborto libero e gaio”? La mia impressione è che lei abbia una strana aspirazione di voler aver voce in capitolo sui sentimenti che “dovrebbero” provare le donne in questi casi…pur “concedendo” loro il diritto all’aborto.

  12. moralmente la questione è irresolvibile. c’è chi considera l’aborto un male minore, un omicidio, e chi no. ovviamente trattandosi di morale non ci sono dei confini. pensiamo alla chirurgia estetica. quante seghe mentali ci siamo raccantati attorno ad una pratica ormai consolidata? quanti di noi pensano che in fondo se un* si rifà, deve avere per forza qualcosa non va? pensiamo sempre che ci sia il corretto modo di vivere e di pensare, non si scappa. la parola sensibile è vaga come le stelle…
    l’aborto può essere libero e gaio, irresponsabile, incosciente ecc. perché semplicemente per alcune persone quella vita non conta. non ci piace? che differenza pratica c’è con un aborto sofferto? se qualcuno compie dei crimini piangendo lo accetteremmo? se una cosa si può fare perché rompere i coglioni? allora è più accettabile chi è contrario alla cosa stessa. dopodiché nessuna ci gode ad abortire, indipendentemente dalla cultura in cui nasce. le militanti sono immaginarie, da sempre, a parte i terroristi. come la società civile e le giovani generazioni.

  13. Serbilla, il discorso che fai ha senso fino a un certo punto. Preferisci non essere garantita dalla comunità? E la violenza privata, o in famiglia?
    Il rapporto che lega il cittadino allo stato non è un rapporto di contratto-scambio ma un’obbligazione politica. Tu firmi una cambiale in bianco perché ti vengano garantite certe cose a tempo indeterminato e lo stato esercita il suo potere legittimo. Questo significa che rinunci a una buona parte della tua libertà anche nella sfera privata. Anche se il potere dello stato, storicamente e teoricamente, trova naturali limiti nella famiglia e nella proprietà privata, non viviamo più ai tempi dei romani (auctoritas del pater familias etc) e lo stato può intervenire, regolamentando, attuando, giudicando, laddove rientra nelle proprie competenze cioè praticamente sempre, eccetto dove vi sia un diritto superiore che deve recepire (-e il “diritto” all’aborto e la potestà sull’abortito non sono fra questi, ma eventuali concessioni statali regolamentate con depenalizzazioni etc-).
    Non sono affatto uno statalista, ma penso che l’individualismo sia una finzione e nulla di più. Il vero individualismo è “legge del più forte”. Un individualista che non accetti questa legge, sempre, non è un vero individualista ma un opportunista. Un po’come quelle aziende che giustificano i propri atti con la dura legge del capitalismo, ma poi si servono dei soldi dello stato per non fallire.

  14. @Laura e le altre
    La mia aspirazione ad aver voce in capitolo sta appunto nel fatto che chi è soppresso (gaiamente o meno) ha in me un avvocato, in quanto membro della comunità umana. Io in prima persona mi sento in colpa se l’aborto è praticato, perchè significa che la società non è ancora matura per accogliere la vita senza condizioni. Poi come debba sentirsi una donna faccia lei. Le idee e i sentimenti, per quanto mi riguarda, non hanno sesso.
    Certo abortire ridendo o piangendo non cambia la sostanza delle cose per il nascituro soppresso, ma per ridurre o mantenere la portata del fenomeno cambia eccome. Se permettete, a me interessa questo.

  15. Gino, hai preso quello che ho scritto e te ne sei andato da un’altra parte.
    Vivere collettivamente non significa rimettere tutto alla collettività, cioè che la collettività, dopo aver stabilito una regola: l’aborto si può praticare, debba anche indicarmi come mi devo sentire e come devo agire in base a sentimenti che non mi appartengono. Quella è una dittatura. E viceversa, avere spazio per esprimere il proprio modo di esistere, non significa che nel momento in cui mi ammazzano, la collettività gira le spalle e dice chi se ne frega.

  16. @Serbilla
    Dare un giudizio umano e morale sull’aborto anzichè accettarlo come una pratica da espletare burocraticamente non significa qualificare chi abortisce come “stronza, puttana e degna di lapidazione”. Ma che te lo dico a fare?
    A te piacerebbe tantissimo che fosse così, così puoi continuare la tua guerra permanente nell’esercito della sovranità uterina, che con quelli del movimento per la vita ha quasi tutto in comune, tranne il colore del fantasma.

  17. Grazie per la spiegazione. Una società così descritta sarebbe l’ideale, magari con l’ampliarsi di realtà come “Madre Segreta”, case che accolgono le donne in gravidanza che non possono mantenersi. Mi viene in mente il film Juno, in cui si parla di tutto ciò in maniera molto spensierata, ma profonda. Il senso di colpa, però, e la colpevolizzazione vanno a mio avviso in senso opposto a questo.

  18. Valter si sbaglia sa, a me la guerra proprio non piace. Ma se qualcuno che non è dentro di me e dentro la mia vita, dice che non sembra che io soffri abbastanza, perchè non dimostro secondo modi che lui (egli) definisce giusti, il mio dolore, io penso che mi stia giudicando superficilamente e in base ad un precocetto.
    Certi atteggiamenti spesso partono da una volontà, diciamo così, compassionevole, ma poi, però, crescono come mostri e si trasformano appunto in lapidazioni.

  19. @ Binaghi
    secondo me ti sbagli su questo punto. non è la possibilità di abortire senza starci troppo a pensare che fa la differenza sul numero degli aborti. fa invece la differenza sul vissuto delle donne, costrette a flagellarsi. si può educare anche senza stigmatizzare.

  20. io vorrei veramente capire chi sono le “militanti dell’aborto libero e gaio”. Mi immagino che la testa di Binaghi sia popolata di arpie che ridono a crepapelle mentre si raschiano l’utero a vicenda. Avevo fatto un appello – credo condiviso dal resto del commentarium – al rispetto e all’ascolto. Ma a quanto pare non ce la si fa. Troppo forte è il desiderio di giudicare, di misurare con il righello il dolore nelle rughe delle donne, senza in realtà mai sforzarsi di immedesimarsi in loro.

  21. E’ interessante come, con l’andare avanti della discussione, si perdano i termini e la cornice originaria della medesima per cui, ciò che prima pareva quasi una cosa che metteva tutti d’accordo – la validità in se della 194 – scivoli via e a leggere certi ultimi commenti la 194 tutta sta sacralità mica ce l’ha. L’aborto come diritto in realtà mica è una cosa così giusta. Gino fa per dire degli strani cortocircuiti tra collettività e scelte individuali, al punto che se dovessi seguire lui dovrei chiedere il permesso alla collettività prima di sposare qualche d’uno, o farlo un figlio etc. valter per conto suo, mi ricorda un libro che ho amato molto e che mi ha fatto serenamente sganasciare dalle risate- “cosa bianca nostra” un roth d’annata molto caustico e insolitamente politico, dove un partito supercattolico per vincere le elezioni farnetica di diritto al voto dei nascituri. Eh, purtroppo non siamo mica tanto lontani.

  22. Chiedo scusa di nuovo, mi rendo conto di avere un po’ esagerato coi commenti, ma ci tengo a dire una cosa, una cosa che non vorrei passasse indisturbata: il soppresso, non ha bisogno di avvocati. Poichè non è in pericolo, finchè ci sarà una donna che lo porta dentro di se e sceglie per esso la salute piuttosto che la malattia, una famiglia sana e solida, piuttosto che malsana e fragile, al punto da non potergli garantire cura e assistenza, una famiglia (qualsiasi tipo di famiglia) che lo desidera, piuttosto una che non desiderandolo lo mette a soffrire.
    Si sta di nuovo dando dell’assassina a chi interrompe una gravidanza, per gli assassini ci sono le carceri.

  23. Serbilla non sono sicura che si faccia bene a mettere la cosa in questi termini – si cede a una logica.
    Io non credo che sia giusto vincolare la nascita al benessere. La procreazione ha a che fare con il mondo animale prima che con il contratto sociale, e la scelta dell’aborto onestà intellettuale vuole, non si fa prima per l’altro si fa sempre prima per se – ammesso e non concesso che l’altro in questione sia già Altro, e non ancora solo parte del corpo della madre. Perchè se no, legittimiamo certe forme di neonazismo per cui si tolgono figli a coppie di genitori perchè troppo poveri o troppo in la con gli anni, che ve ce voglio a voi. La questione difficile di fondo è che, si concepisce in due, ma la generazione la fa lei, e a lei tocca il legame con il materno che prosegue oltre la generazione. Questo crea una asimmetria di coinvolgimento di rischio e di responsabilità non chè di potere. In ragione di questa asimmetria che non è livellabile, l’ultima parola spetta alla donna che non può tirarsene dietro. Poi si possono fare molti discorsi, si può stabilire in che misura lo Stato abbia diritti e doveri di intervento, diritti e doveri di educazione sessuale, ed educazione alla prevenzione quanto più possibile, giacchè l’aborto gaio è un sogno della nevrosi di Binaghi, diritti e doveri di tutela, diritti e doveri alla compartecipazione dei partner che generano nelle scelte future delle compagne, ma rimane il fatto che l’asimmetria c’è è concreta e ineliminabile.

  24. Si sta vanificando lo spirito della 194 e del lavoro, immane, che le donne riuscirono a fare malgrado la presenza, la stessa di oggi, di avvocati laureati all’università della misoginia.

  25. Sì Zauberilla non c’è solo un’asimmetria ineludibile, c’è anche – da parte di Walter e di chi si sente voce la voce di non si sa cosa – una visione della sessualità – in mio modestissimo parere – francamente deprimente. Senza giudizio su alcuno.

  26. Il benessere che intendo non ha uno schema fisso, ed è certamente frutto delle scelte individuali. Non è, per dire la possibilità, in quel momento, di offrire ad un figlio un’istruzione superiore o no, e quindi si sceglie in base a questo, piuttosto che l’essere soli o in una relazione, poichè, ad esempio, le persone in grave stato di indigenza hanno tutto il diritto di mettere al mondo dei figli, così come le persone singole, o quelle che hanno affrontato una malattia ecc. perchè la vita è proprio la continua speranza o il continuo desiderio di migliorare la propria condizione, senza questa spinta mi sa che non c’è vita, e questo può avvenire anche attraverso la maternità e la paternità (non perchè mando a lavorare i figli – ma anche come esperienza intimamente animale).
    Certo, si sceglie di abortire considerando se stesse, e poi il concepito. Per se, ma sempre nel rapporto con questa situazione dalla quale ne derivano altre, allora ci si fa carico della decisione. Ma ingaggiare, qui sì, una guerra contro le persone, criminalizzarle, facendosi avvocati di feti avulsi da ogni relazione, per me è sintomo di qualcos’altro, che indentifico con qualcosa di molto brutto.
    Non so se sono riuscita a farti intendere quanto sono d’accordo con te, pure considerando quel modo di giudicare sbagliato, l’idea che la società debba accogliere la vita senza condizioni, idea monolitica, usata come unico paramentro valido, come se ad “accogliere la vita” non fosse prima di tutto una signola persona (già vita di per sé) che è in una relazione con un altro (fortemente implicato in quell’esperienza) – e sono due – che poi sono in una collettività – dunque ritornando all’asimmetria iniziale.

  27. Eh, ringraziatemi ragazze. Senza di me qui sarebbero tante pacche sulle spalle e “quanto siamo brave”. Invece stimolo la vostra vis polemica in modo altamente creativo.
    “Mi immagino che la testa di Binaghi sia popolata di arpie che ridono a crepapelle mentre si raschiano l’utero a vicenda.”
    Mitologica.
    “Il soppresso, non ha bisogno di avvocati”
    Lapidaria.
    “Un partito supercattolico per vincere le elezioni farnetica di diritto al voto dei nascituri”
    Vendetela a Casini e vi fate la pelliccia.
    “Laureati all’università della misoginia.”
    La facoltà è stata soppressa dalla Gelmini, ma si può sempre fare ricorso al Tar.
    “Una visione della sessualità francamente deprimente”
    Ci siamo frequentati in passato e non le è piaciuto signora? C’è sempre tempo per rimediare. Finchè c’è vita…
    Dai che sta venendo su del buono.
    Sto raccogliendo materiale per un saggio catastrofista dal titolo: “La guerra dei sessi. Un secolo di vanilocqui”

  28. Che sagaci battute Binaghi. E che argomenti! “Ci siamo frequentati in passato e non le è piaciuto signora? C’è sempre tempo per rimediare”. Ci fa proprio mangiare la polvere eh, a livello intellettuale. E non è per niente sessista.

  29. Che tristezza Valter davvero, non c’era bisogno di cadere così in basso, in questo modo non offendi noi ma la tua intelligenza. mi spiace perché mi sembra che Loredana ci lasci questo spazio per confrontarci con intelligenza e rispetto e che la discussione fosse importante ma scadere in questi toni è proprio deprimente

  30. Avete rotto i coglioni anche a Socrate.
    Con voi non c’è ragionamento nè umorismo che tenga.
    Avete voglia di restare incazzate col mondo intero, e restateci.
    I peggiori stereotipi anti-femministi nascono da questo eterno piagnisteo.
    Adieu.

  31. Serbilla, non sono andato da un’altra parte. Ho solo detto come funziona la cosa politicamente. La comunità non è determinante nella questione che tu poni, viene soltanto dopo (costituendo il “consulente naturale” per prendere una decisione “ultima”). Il diritto basta a escludere che sul destino di un abortito possa decidere chi ha rinunciato ad esso e dunque a qualsiasi potestà che spetterà a soggetti determinati dalla legge e, in assenza, all’ospedale. Questo non significa che il corpo dell’abortito appartenga allo stato, ma che lo stato, in queste situazioni, può decidere di affidarlo a chi meglio crede, secondo la sola logica del diritto e dunque della dignità umana. Il sentimento può non essere escluso ma l’azione dello stato non dipende da questo. Soprattutto è escluso che quello di chi ha rinunciato alla potestà abbia di per sé una rilevanza maggiore di quello della comunità, in questo caso. Anche se ciò non impedisce che lo stato, nei limiti del diritto e secondo democrazia, possa dargliela.
    In quanto alla dittatura: la sintesi politica costituisce un sistema internamente coerente, che può essere – anche – una dittatura, e che è caratterizzata dalla deterrenza di un certo potere e dall’uso della coercizione (sennò sarebbe anarchia) che è regolata da una logica che non può essere determinata “a caso” (altrimenti sarebbe uno stato caotico) ma, in uno stato di diritto, dal diritto. Se costituissimo uno stato sentimentale, allora la coercizione dipenderebbe dal sentimento. Ma non è il caso nostro. Una dittatura, invece, è un sistema dove c’è un unico soggetto che detiene il potere e un oggetto che non ne detiene nessuno. Ci può essere anche una dittatura sentimentale.

  32. Zauberei, nessun corto circuito: si chiama stato di diritto. Il diritto naturale alla libertà, per esempio, in certi casi previsti dalla legge può essere limitato. Esiste il diritto all’uso del proprio corpo fino al suicidio, ma può essere limitato, per esempio, in caso di follia. Non esiste il diritto a essere assistito durante un suicidio. Non esiste il diritto all’aborto che è soltanto uno slogan. In Italia come in altri paesi, esistono concessioni dello stato per limitare le penalizzazioni. La legge 194, come ogni legge umana, non ha nulla di sacro. E’semplicemente una legge che funziona, più o meno.
    Il diritto di voto ai nascituri (cioè la delega del diritto di voto dei minorenni a chi detiene la potestà genitoriale) non è una follia in sé, è una follia in pratica perché produrrebbe il caos. Un sistema elettorale del genere innescherebbero leggi che andrebbero a colpire la potestà genitoriale stessa, promuoverebbe il commercio di minorenni, orfanotrofi in mano a lobby, partiti politici, multinazionali etc.
    Ma il fatto che nella pratica sia assurdo e controproducente fare certe cose, non significa che idealmente e utopicamente siano folli. Anche se la realtà è quella che conta, è scorretto equiparare gli ideali alle follie e gli idealisti ai folli. L’importante è che non tentino di piegare la realtà, così trasformandosi in pericolose ideologie.
    Il problema non è se qualcuno pensa che sarebbe bella l’esistenza di una società perfetta senza uno stato dove tutto è in comune. Il problema è se è una follia metterla in pratica.

  33. Al di là dell’impossibilità del dialogo…Io credo che l’importanza di una società disposta più o meno ad accogliere la vita abbia la sua rilevanza. Quante ragazze possono aver abortito per VERGOGNA, per paura di quello che pensavano i vicini di scuola o i genitori? Una società più disponibile anche ad accogliere un bambino non previsto è una società che non colpevolizza. Quindi dove l’aborto è garantito a tutte, senza bisogno di fare alla ragazza incinta le pulci morali. Secondo voi?

  34. Sempre perchè ci sono concetti astratti che interferiscono con il sentire della singola persona, una ragazza incinta che non vuole abortire, deve avere TUTTI gli strumenti per non farlo, economici, sociali, morali ecc.
    Mentre usare “accogliere la vita senza condizioni” per dire: hai fatto sesso e sei rimasta incinta nonostante le precauzioni? Eh bella niente pillola del giorno dopo, niente pillola dei cinque giorni dopo, niente interruzione di gravidanza, niente di niente, la vita va accolta senza condizioni sai, fregati, è diverso.
    Si lavora per migliorare le condizioni per cui tutto favorisce una scelta diversa, in modo che le interruzioni si riducano all’osso, e si accettano quei casi in cui nonostante tutte le possibilità messe a disposizione, comunque si interrompe la gravidanza, perchè alla fine c’è quella famosa ultima parola che spetta a una sola.
    Però i soldi si spendono per i cimiteri di feti, mica per migliorare le condizioni di partenza. Però si ostacolano le informazioni sulla contraccezione, mica le si diffondono così da evitare gli aborti per ignoranza.

  35. Serbilla, non c’è alcuna contrapposizione tra garantire una società che non colpevolizza chi rimane incinta, uno stato che faccia il suo dovere assicurando asili nido e sosteno morale, economico, alle giovani donne in difficoltà, e seppellire gli abortiti.
    Per tutelare la vita, il benessere e la coesione sociale (e l’economia nel lungo periodo in situazioni di crisi demografica), lo stato dovrebbe garantire pensione e assicurazione ai casalinghi che si occupano della famiglia, assegnerebbe una dote annuale consistente per ogni cittadino nato fino ai sedici anni, garantirebbe asili nido gratuiti per tutti, e fornirebbe assistenza a tutti i malati non autosufficienti. Mi sembra il minimo.
    La brutta verità è che il nostro stato e i nostri politici sono meno progrediti e lungimiranti di quelli dei tempi antichi, quando uno come Pisistrato tirava fuori i soldi di tasca sua per piantare olivi di cui non avrebbe mai visto i frutti.

  36. I riti sono diventati un simulacro in una società che vive di simulacri, zauberei, in quanto i riti funebri sono ancestralmente e ancora oggi dove gli si da un senso, incentrati sul destino postumo dell’essere per cui vengono offerti, questa è la loro natura, sotto un certo aspetto, sono un dovere.
    E’ uso diffuso nei paesi in cui i riti sono ancora tradizione viva, associare a questi una convivialità che dura per alcuni giorni, come se mangiare avesse una valenza vitale per chi resta.
    E’ vero che diversa è la morte di un famigliare e diverso è un aborto, la tristezza che lo accompagna è diversa, un sentimento su cui non saprei fare chiarezza.
    Ho specificato, e torno a scusarmi, che il mio sorriso per il tempietto egizio si riferiva alla sua evidente parodia di un culto, (il rifrimento ai massoni è evidente in quanto fa parte del loro immaginario questo tipo di immagini e alla loro idea di culto laico), e sottintendeva un pensiero che è quello del mio commento e che hai elegantemente circumnavigato.
    Cioè, che posto ha il ricordo di un fatto traumatico come la morte, e in particolare di una morte così intima, nella vita di chi ai riti non ci crede, nel senso che non crede in Dio.
    Non è per polemica, ma porre strumentalmente un simulacro di qualcosa di sacro come “necessario” all’elaborazione di un lutto, non mi piace, non c’è pulizia di pensiero, è ibrido, ambiguo e fuorviante, non si capisce se il morto centra ancora qualcosa o se c’è solo il vivo che desidera una rappresentazione che nobiliti il suo dolore, (come se ci fosse bisogno di nobilitare un dolore, o questo lo mitigasse).
    Dunque ripresento la stessa questione; che posto ha il ricordo di un aborto nella vita di una persona? va cancellato o deve avere un luogo in cui diventa significato di qualcosa? e che significato ha?
    Se si sente l’esigenza di farci i conti, non è meglio che le cose vengano chiamate col loro nome e non mediate da talismani, feticci e neologismi? perchè è poi su queste parole nuove che si agganciano le propagande, di qualsiasi parte esse siano, fondamentalisti della vita disposti a uccidere pur di salvare un feto o fondamentalisti che ritengono proprietà privata il concepito fino all’attribuzione del codice fiscale.

  37. @mario, provo a risponderti sebbene credo che Zaub abbia strumenti migliori dei miei, perché trovo le tue domande molto interessanti da un punto di vista sociale e dei diritti.
    Io credo che coloro che (come me ad esempio) desiderano una cerimonia laica non lo facciano per avere un simulacro del sacro, per la mia sensibilità e il mio credo è il rito sacro stesso ad essere parodia e finzione (dico questo senza offesa per coloro che nel rito cattolico si rispecchiano avendo massimo rispetto per la loro fede), cercano insomma un rito più affine alla propria personalità, luoghi, parole e gesti dentro cui si possano riconoscere e sentire compreso il proprio dolore senza essere giudicati ne strumentalizzati appunto.
    Tu domandi “Che posto ha il ricordo di un aborto nella vita di una persona?”Beh Mario rispondere a questa domanda è impossibile se non facendoti un lunghissimo elenco di tutte le esperienze personali, come già dimostrano anche i differenti racconti riportati nel commentarium. Credo che quando qui scriviamo “Il nostro corpo” o “la nostra salute” o ancora “la nostra dignità” non ci riferiamo ad un unicum ad una specie di gruppo o genere ideale, credo che intendiamo “ogni specifico corpo” e “ogni singola salute” e “ogni personale senso della dignità”. Per questo motivo approcciandosi all’aborto, all’IVG o alla 194 bisogna lasciare aperta ogni possibilità di elaborazione del lutto e del dolore, religioso o laico, cattolico o di altre religioni, bisognoso di solitudine o pubblico, rituale o improvvisato. per questo bisogna ascoltare la volontà delle donne non giudicarle, ne ghettizzarle, ne strumentalizzarle o trovarle ridicole se vanno al tempio egizio (non t’offendere eh).
    Controllare questo dolore o piegarlo alle proprie ideologie per usarlo come strumento di propaganda è semplicemente un abuso.
    Infine non mi piace chiamare gli antiabortisti “fondamentalisti della vita” come se tutti gli altri invece fossero pro-morte, questo “giochino linguistico” è usato frequentemente proprio da chi vorrebbe strumentalizzare queste delicatissime situazioni, ed è una trappola bella e buona che, una volta fatta saltare, smascherare la malafede di chi la utilizza.
    Scusate la confusione

  38. Sono giorni che seguo qui questi dibattiti e vorrei fare una considerazione di metodo e di merito, per così dire, ma si vedrà che intendo dire anche di più.
    Per giorni ha imperversato un atteggiamento, per il tramite per lo più di Valter Binaghi, scrittore apprezzato ( chissà perché e da chi, ora mi chiedo e mi domando su cosa si sono formati, nel tempo, i nostri gusti, non solo letterari), di contrasto, di irrisione e persino di offesa verso quelle donne che rivendicano la possibilità di parola e di scelta su ciò che le riguarda più profondamente e sul quale vengono quasi sempre lasciate sole, salvo poi accusarle di voler essere “proprietarie di ciò che si compie dentro di loro”.Binaghi, così, senza tregua argomenta e insulta, opera nelle stanze dei sentimenti di colpa, propone se stesso come difensore dei non nati e accusa il femminismo di atteggiamento vittimario, quello che a suo parere procurerebbe al femminismo medesimo tanta detrazione. Questo in sintesi.
    Binaghi se ne va, anzi, in diverse occasioni minaccia l’abbandono del blog e infine va via insultando pesantemente e dando in pratica delle stupide a coloro che non apprezzano la sua “ironia”. La vicenda personale di questo signore non mi interessa, non mi interessa sapere – perché a un certo punto si capisce da cosa origini il suo comportamento debolmente definito nevrotico da una commentatrice – della sua particolare crisi di uomo incapace di dialogare con le donne, anche se lui la propone pubblicamente e con la pesantezza di cui ci si sarà rese conto. E’ questo il punto. Ci si è veramente rese conto? In nome di cosa tutti questi riguardi nei suoi confronti? Tutti questi tentativi di farlo ragionare, fargli capire. Ora io non dico che bisogni usare i suoi stessi metodi, ché anzi, gli vanno lasciati nell’infondatissima speranza che la solitudine lo illumini, e capisco pure, come lui stesso arriva addirittura a dire, che le sue argomentazioni forniscono occasione di chiarimento, di approfondimento, di specificazione. Tutte attività che non lo raggiungono, evidentemente ma che gli consentono di radicalizzarsi sia negli argomenti che nei comportamenti. E’ bene che questo genere di uomini venga allo scoperto. Ma la società, composta da uomini e da donne, è in grado di collocare gli argomenti e i comportamenti di Binaghi al posto che gli spetta? Pare di no. Le conquiste delle donne sono tutte messe in discussione. Con l’aggiramento delle leggi, con l’utilizzo di fondi pubblici e privati per rendere inefficaci non solo le leggi, ma ogni azzardo all’esistenza sociale libera delle donne. Binaghi non è solo, anzi, diciamo che non è il solo, nemmeno in questo blog. Il tentativo resta comunque quello di negare tutto delle donne, tutto quanto non è gradito a questo tipo di uomini. Prendiamo l’ultima risposta di Gino a Serbilla. Gino nega senza tema di essere smentito una correlazione lampante (quella dell’utilizzo di fondi per affermare il diritto alla sepoltura dei feti invece di usarli per scopi educativi e preventivi dell’aborto) e lo fa con argomenti che fanno tenerezza per la loro inconsistenza: la società ideale, e i politici cattivi. Capisco lo scoramento che toglie la voglia di replica. Ma l’operazione di Gino è ben più importante di quanto possa apparire. E’ noto che l’intelligenza consiste per lo più nella capacità di porre relazioni, di effettuare confronti e mediante questi tentare delle sintesi efficaci e produttive di qualche cosa. Gino nega l’intelligenza femminile in azione e lo fa con tutta la tranquillità del mondo ma producendo qualcosa! Produce il senso di inutilità della volontà propositiva e positiva del cooperare tutti al fine di ridurre l’aborto. Il risultato però sarà che l’aborto fornisce vieppiù ragione di esistere a chi gli si schiera contro, e alla violenza con il quale conduce la sua battaglia.
    Binaghi va via ma i suoi argomenti restano non solo perché restano scritti ma perché la sua opera viene proseguita dai commenti maschili sul tema, non soltanto da parte di Gino. Ma tutti gli altri dove sono? Gli uomini che frequentano questo blog, intendo. Perché sono rimaste soltanto le donne, infaticabili, a controbattere al pensiero unico maschile?
    Contemporaneamente veniamo a sapere che in Libano la violenza domestica contro le donne non è più un reato. Che in Italia dopo morte di Stefania Noce un’altra donna è stata sgozzata dal fidanzato.
    Stefania Noce pare che abbia scritto non a 24 ma a 18 anni l’articolo che invito a usare come meditazione quotidiana. E’ per questo che la mia fiducia non crollerà mai, anche se Stefania è caduta sul terreno avvelenato della guerra tra i sessi voluta dagli uomini.

  39. Minchia, che sintesi!
    La sintesi del fatto che questo deve restare un gineceo, dove non le donne ma lo statuto vittimario di un femminismo sclerotico deve restare e farla da padrone. Ecco, chiedetevi perchè oltre a cristiani dalla mentre perversa (Binaghi, Gino, K, Pandiani), gli altri uomini (molto de sinistra) che spesso e volentieri passano e commentano disertano questo tipo di thread. Forse perchè dovrebbero sottoscrivere posizioni imbarazzanti, come quella di chi riduce sistematicamente a insulto e a lesa maestà uterina ogni tentativo di sottoporre al giudizio della comunità (non cattolicva ma UMANA) quello che alcune vorrebbero trattare frettolosamente come un fatto proprio, senza mai (attenzione: MAI) aver messo in discussione il diritto della donna a decidere sulla propria gravidanza.
    Fino ad essere accusato di misoginia. Ma quanta boria, quanto livore sprecato: e se vi dicessi che ci sono frequentatrici (e anche un paio di commentatrici) di questo blog che mi hanno scritto privatamente per esprimere la desolazione nei confronti del pressapochismo ideologico di tre o quattro walchirie che monopolizzano l’intera condizione femminile. ci credereste? No eh?
    E invece è proprio così.

  40. Binaghi, eh no. Non è assolutamente vero che questo vuole essere un gineceo. Ma se si interviene a colpi di “isterica”, “valchirie” e “avete rotto i coglioni anche a Socrate” non si rende un buon servizio alla discussione. A qualunque dei diciassette generi sessuali catalogati si appartenga. Quanto ai commentatori e commentatrici, sono liberissimi di intervenire ed esprimere pubblicamente la desolazione. Perché a fronte del pressapochismo ideologico esistono i FATTI. Davanti ai quali gli ideologi, e anche molti letterati, non sono stati in grado di opporre altro che qualche alata analisi, non molto efficace ai fini dello svuotamento di una legge dello stato.
    Ps. Per quanto mi riguarda, ed è una posizione personale, il diritto della donna non è in discussione, se vuoi saperlo.

  41. Io vorrei chiedere al signor Binaghi qual è la sua esperienza personale con l’aborto. Perchè fino ad adesso quello che ho capito della sua posizione è che il diritto deve restare tale, MA deve essere condito da una buona dose di senso di colpa perchè si tratta, in fondo, di una caso particolare di omicidio. Lei come si è comportato di fronte a coppie o donne che hanno deciso di fare questa scelta?

  42. Signora Lipperini, non mi è mai successo che qualcuno mi chiedesse un parere a riguardo. Nel caso, avrei considerato la singolarità di ogni situazione, perchè veramente ogni situazione è singola. Mi è successo di ascoltare confidenze di persone che avevano abortito, e ne provavano un forte senso di colpa. Ho indicato a loro il Dio che conosco, che è misericordia. Perchè vede, signora Lipperini, anch’io so cosa vuol dire uccidere. Nel ’79 ho fatto la prima pera a uno che è morto due anni dopo.
    Quindi, se mi si vuole far apparire come un maestrino dal cuore di carta, ci si sbaglia di grosso.

  43. Insisto, perché vorrei capire…in base alla sua esperienza trovo strano, forse incoerente pensare che lei ritenga l’aborto legale, un diritto sul quale non si può discutere. Capirei di più se mi dicesse che si tratta di omicidio punto e basta, quindi da non legalizzare. Poi: perchè una risposta così aggressiva, anche se la domanda fosse stata posta dalla Lipperini?

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