SUL MOTIVO PER CUI SI PUBBLICANO TANTI LIBRI: UN ARTICOLO DI 10 ANNI FA

C’è una domanda che torna, ogni volta che si parla di libri e di editoria: perché se ne pubblicano tanti? Ho provato a dare una risposta esattamente dieci anni fa, in un articolo che uscì su Repubblica col titolo di Pronti alla resa. Non so quanto siano cambiate le cose, in questi due lustri: ma ho la sensazione che siano cambiate poco. A ogni modo, a testimonianza, eccolo.
Settecentoventi ore, trenta giorni. I più pessimisti dimezzano a quindici. In Italia, il ciclo vitale di un libro equivarrebbe a una meteora. Negli ambienti editoriali se ne parla da diverso tempo: all’inizio dell’autunno furono i piccoli editori del Festival di Belgioioso a denunciare che l’esistenza di un romanzo o di un saggio stava diventando effimera come quella di una farfalla: se entro un mese non vende, si restituisce all’editore. Le cause? “Troppa offerta, ma soprattutto poco curata: occorre più attenzione a quello che si pubblica, la quantità non è negativa di per sé – sostiene Paolo Pisanti, presidente dell’Associazione Librai Italiani- Comunque, sessantamila novità l’anno sono una cifra incredibile rispetto a qualsiasi categoria merceologica, e senza soluzione di continuità. Un pasticcere sa che ci sono i momenti più impegnativi, come il panettone a Natale e la colomba a Pasqua. Noi non abbiamo pause. Non possiamo far altro che sostituire le quasi-novità con altre novità”. Tutto, dunque, si giocherebbe nell’arco di una manciata di giorni: non è troppo poco? “No. Perché per fare spazio ai nuovi arrivi abbiamo bisogno di liberare i magazzini, e prima ancora di passare dalla vetrina al banco e dal banco allo scaffale: ci sono tempi tecnici, e tempi finanziari. I pagamenti all’editore avvengono mediamente a novanta giorni. Se voglio fare un’operazione economicamente valida, devo vendere i libri prima di pagarli, ma in tempi così brevi è difficilissimo. Dunque, diventa antieconomico tenere un libro che stenta a decollare più di venti-trenta giorni: se fosse possibile pagare solo quello che si vende, o avere termini di pagamento più lunghi, le cose andrebbero diversamente. Infine, i numeri sono cresciuti troppo. Quindici anni fa un best-seller vendeva centomila copie: oggi, per essere tale, deve venderne un milione. Favorire un gruppo ristretto di autori danneggia il pluralismo della diffusione: sembra un paradosso, ma l’Italia non è il paese dei best-seller”.
Ma non è neppure il paese dei troppi libri, dice Cecilia Perucci, direttore editoriale di Corbaccio. “Anzi, teoricamente i libri non sono mai abbastanza. Sicuramente c’è stata un’accelerazione dei tempi, per esempio nel passaggio dall’edizione rilegata al tascabile. Ma non di copie: l’editore, ormai, lavora in base agli ordini che riceve dal libraio, che ha la parola finale sulla quantità. Certo, non tutti i libri possono vendere centomila copie: se hai la fortuna di averne tre o quattro l’anno, perà, puoi permetterti di investire in testi che hanno una misura diversa”.
E, forse, vita breve. La corsa alla pubblicazione rischia di essere un falso traguardo per l’esordiente: “oggi – dice Marco Zapparoli, direttore di Marcos y Marcos – sarebbe difficilissimo vendere un Calvino al suo debutto. Ci sono libri che possono essere apprezzati solo in tempi lunghi e sarebbe impossibile riconoscere la novità rappresentata da Calvino in una manciata di giorni”. Responsabilità dei librai o degli editori? “Diciamo che la situazione è divenuta tesa per mancanza di complicità fra libraio ed editore: più gli interessi sono solidali, più il libraio rifletterà prima di procedere alle rese. Cosa che non può avvenire se l’editore continua a battere moneta, ovvero a mettere fuori libri. Sa perché gli editori pubblicano sempre più titoli? Perché pensano erroneamente di poter compensare le rese che riceveranno e di far quadrare il budget: in poche parole, se in un anno non è stata raggiunta la fatturazione prefissata, in quello successivo si “picchiano fuori”, per usare il termine aggressivo oggi di moda, più titoli a una tiratura alta. I librai stanno al gioco per un po’, ma infine si stancano e rendono. Un abbaglio molto simile a quello degli swap finanziari: che alla fine si sono rivelati carta straccia senza alcun valore. Il libro ha un valore, invece: deve essere trattato con rispetto proprio perché ha bisogno di maturare. Cinque anni fa noi lanciammo la campagna Meno tre: passammo da diciotto novità di narrativa annuali a quindici. L’anno successivo siamo scesi a tredici. Andò benissimo e non abbiamo mai cambiato: anzi, nel 2011 festeggiamo i nostri trent’anni proprio con una collana che si chiama Tredici: perché le energie che prima mettevamo nella produzione, le abbiamo trasferite nella promozione dei nostri libri”.
Annuisce, a distanza, Romano Montroni, principe dei librai, a lungo direttore delle librerie Feltrinelli, dal 2005 consulente delle Coop: “Il libro è come una pianta: diventa grande se lo innaffi tutti i giorni. Trenta giorni di vita? Può essere vero, ma dipende dalla libreria in cui viene collocato e dalla missione di quella libreria. Nelle Coop abbiamo sempre il trenta per cento di novità e il settanta di catalogo. Perché una filosofia di comportamento è necessaria: vedo troppi librai che per affrontare un problema finanziario fanno clic sul computer, tirano fuori l’elenco dei libri che hanno venduto meno negli ultimi tre mesi e rendono a più non posso. Una buona libreria deve sempre avere tre tipi di libri: quelli che si vendono molto, quelli che si vendono meno e quelli che servono a far vendere gli altri. E, soprattutto, un libraio deve saper riconoscere il valore di un libro indipendentemente da quanto vende: se a uno scrittore giovane dai fiducia, devi tenerlo. E non può mancare, in nessuna libreria, un testo di Calvino. Anche solo una copia”.
Anche se oggi, forse, vivrebbe la vita di una farfalla.

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