Tag: Antonio Tabucchi

Sono un po’ (tantissimo) stufa, perché in queste settimane non è che abbia visto tutte queste prese di posizione nel mondo della letteratura: sì, lo so, letteratura e attivismo non si mischiano, si dice. Oppure no?
Non è stato così per molti. Penso ad Antonio Tabucchi e a quello che fa dire al suo Pereira:
“Se loro avessero ragione la mia vita non avrebbe senso, non avrebbe senso avere studiato lettere a Coimbra e avere sempre creduto che la letteratura fosse la cosa più importante del mondo, non avrebbe senso che io diriga la pagina culturale di questo giornale del pomeriggio dove non posso esprimere la mia opinione.”
Penso a Norberto Bobbio:
“Chi si rifugia, come in un asilo di purità, nel proprio lavoro, pretende di essere riuscito a liberarsi dalla politica, e invece alla fine fa della cattiva politica.”
Penso, insomma, a tutte e a tutti coloro che all’asilo di purità non credono, e stanno provando a dire e fare qualcosa, nei modi possibili, e spesso in un silenzio che cresce.

Mi scrive un mio contatto di non pochi malumori provocati dalla ultima rubrica che ho scritto per L’Espresso, scambiato per una difesa a prescindere e per l’invito a non schierarsi in caso di guerra. Non è nessuna delle due cose: intanto invito a leggerlo, perché è visibile integralmente in rete. Semmai, in quell’articolo, provavo e provo ora a problematizzare la posizione degli intellettuali invitati a schierarsi per Gaza, chiedendomi cosa si intende per schieramento e cosa si dovrebbe e potrebbe fare. Uno status su un social? Onestamente, lo trovo poco utile, anche considerando quanto è difficile intraprendere qualsivoglia discorso complesso sui medesimi. E allora?
Nella rubrica ho riportato l’amarezza e i dubbi di Franco Fortini ai tempi della guerra del Golfo. Qui posso rimandare a due pareri lontani, novecenteschi, appunto. Quello di Umberto Eco e quello di Antonio Tabucchi.
Suscitare dubbi, riflettere a voce alta, provare a capire è quel che abbiamo: questo è. Per dirla con Tabucchi, “Non è facile far luce, e del resto, come diceva Montale, ci si deve accontentare dell’esile fiammella di un fiammifero. Ma è già qualcosa. L’importante è tentare di accenderlo.”
Ma l’ultimo luogo, oggi come oggi, dove accendere fiammiferi sono i social, perché quel che si ottiene è far saltare tutto senza alcun risultato utile. Così la penso, almeno, io che non sono che un frammento di unghia di Eco e Tabucchi e forse neanche quello. 
Infatti, il consiglio novecentesco con cui chiudo il mio articolo è: studiate e leggete chi ne sa più di noi. E’ il mio fiammifero, e lo uso così.

“Non è facile far luce, e del resto, come diceva Montale, ci si deve accontentare dell’esile fiammella di un fiammifero. Ma è già qualcosa. L’importante è tentare di accenderlo. Anche un fiammifero Minerva.”
Questo è un post molto lungo, e persino un po’ datato, perché la lettera di Antonio Tabucchi ad Adriano Sofri, con ampia incursione nelle parole di Umberto Eco, è addirittura del 1997. Parla di intellettuali, categoria di cui da anni  si dice tutto il male possibile, e il problema è che non è più solo qualche politico – o tutti – a farlo, ma gli stessi intellettuali, se come tali devono essere definiti coloro che lavorano con le parole e il pensiero. Anche sui social. Gli intellettuali non ci sono più! Tacciono! Si sottraggono!, dicono costoro. Eppure, quando sono davanti a un gesto intellettuale, tacciano chi lo compie di superficialità, violenza, vena autopromozionale. Chi non lo fa, tace, o magari solidarizza, chissà, in privato, fosse mai che si perde la possibilità di un passaggio televisivo.
Dunque, care e cari, ecco cosa significa essere intellettuali. Ecco a voi l’intervento strepitoso di Antonio Tabucchi del 1997. E’ lungo e spesso non facile. Ma leggendolo impariamo tantissimo, e così dovrebbe essere sempre. 

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