Tag: Atwood

Quattro anni fa, cominciava. Non eravamo ancora chiusi nelle case, almeno a Roma, ma stavamo per esserlo. 
Ricordo che stavo preparando la lettura di Testamenti di Margaret Atwood per Radio3, con Viola Graziosi e Laura Palmieri. Ricordo che quella lettura sarebbe avvenuta in una sala vuota, solo noi e, a distanza, i tecnici. Ricordo che l’8 marzo non ci sarebbero state piazze, e per questo la serata si chiamò “Come se fosse una piazza”.
Ricordo tutto. Ricordo di aver scritto e pensato che la mia paura era  che una situazione inedita, che ci spaventava e ci separava, tirasse fuori il peggio di noi. Ricordo di aver letto cose che non avrei voluto e non vorrei mai più leggere. Demonizzazioni di persone che “entrano in un supermercato col naso rosso” e “andrebbero arrestate subito”. Scenari dove i giovani, ovviamente debosciati per anagrafe, ciucciano canne passandosi tonnellate di coronavirus. E i vecchi, si sa, son maledetti perché escono a fare una passeggiata, che crepino subito, si diceva.

Ma qui occorrerebbe frugare nelle biblioteche e recuperare un libro del 2009, La donna a una dimensione della filosofa inglese Nina Power. In parole molto povere, Power parlava di come la narrazione popolare avesse trasformato il femminismo in tendenza alla moda, che “crede di dover lusingare il capitale per poter vendere con maggiore efficacia il proprio prodotto”: sempre in parole povere, quel tipo di femminismo, quello del “purché sia donna”, era entrato a far parte dei meccanismi di controllo sociali, “rappresentando un ostacolo a una vera critica del lavoro, del sesso e della politica. Quello che ha le apparenze dell’emancipazione, nasconde un’ulteriore stretta della catena”, con la stessa “blandizie” di cui parlava Michel Foucault. Potere, tacchi a spillo, privilegi, ricchezza, vite performanti, avventure notturne, tailleur firmati, divertimento forzato, ansia da prestazione. Sex and the City, certo: un mondo dove le donne sarebbero potenti come gli uomini perché in grado di licenziare un subordinato con lo stesso cinismo, di usare una carta Amex nera e di consumare sesso in una maniera considerata maschile. Non si parlava di scelte individuali, o indotte da una determinata condizione sociale (essere molto ricche a Manhattan): ma di identificazione in un genere sessuale. Una donna che agisce come un uomo.
E’ quel momento dell’anno in cui il blog si congeda: sarò nelle Marche da stasera agli inizi di settembre, mi affaccerò sui social ma non qui. Vi lascio con l’articolo che ho scritto per L’Espresso ai primi di luglio, per meditarci un po’ insieme. Abbiate un’estate felice, o voi del commentarium.

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