Tag: Giuli

MINISTERO BUFFO

L’ho scritto per L’Espresso qualche settimana fa. Ripensando, oggi, al Ministero della Cultura, lo posto qui.

“Se abbiamo una gloria nazionale, questa è l’opera buffa, che peraltro nasce con l’intento di avvicinare i nobili personaggi della lirica agli spettatori comuni. Ci è riuscita talmente bene che alla fine di una settimana dove un Ministero della nostra Repubblica è diventato oggetto di meme e parodie, il paragone che salta alla mente è quello con Despina. Appare in Così fan tutte, musica di Mozart, libretto di Lorenzo Da Ponte: è un’astuta servetta che, un po’ per noia e un po’ per soldi, accetta di celebrare un matrimonio finto vestita da notaio. Viene scoperta, ma mente meravigliosamente, dicendo che si era solo mascherata per un ballo, e gorgheggia: “Una furba che m’agguagli, dove mai si troverà?”.
Perché va bene inarcare tutte e due le sopracciglia per il trascorso neofascista di Alessandro Giuli, ma, per usare un’espediente che all’opera buffa è caro, bisognerebbe anche dare un’occhiata al catalogo dei ministri della cultura del passato.
Sandro Bondi, per esempio. Pochi, credo, dimenticano la sua poesia A Silvio (Berlusconi): “Vita assaporata/Vita preceduta/Vita inseguita/Vita amata” (e qui ci fermiamo, perché neanche i Vogon di Guida galattica per gli autostoppisti, che sterminavano i nemici con i loro orridi versi, resisterebbero a tanto). Ma molti hanno dimenticato il crollo della Domus dei Gladiatori a Pompei (che evidentemente è fatale ai ministri della cultura) nel 2010, per piogge, e mancati investimenti dovuti al taglio, due anni prima, di oltre un miliardo di euro. 
Segue.

Da ieri mattina provo (quasi invano) a sostenere l’insensatezza dell’ondata di sghignazzo (tutt’altro che intelligente, come lo intendeva Dario Fo) seguito al discorso programmatico del ministro della Cultura Giuli.
Quello che non mi riesce di far capire è che non solo non difendo Giuli, ma che me ne infischio di Giuli, almeno finché non farà qualcosa. Sarebbe il caso, per chi lavora con i libri o nel mondo culturale, di presidiare il territorio, di intervenire sul punto, visto che di punti, dall’intervento sull’editoria o, come scriveva Nicola Lagioia, alle politiche inesistenti del governo sul mondo del libro, ce ne sarebbero parecchi.
Quello di cui non mi infischio è che un discorso non particolarmente oscuro o difficile viene salutato come il manoscritto Voynich, che come è noto è quanto di più enigmatico esista al mondo.
Ben quattordici anni fa Tullio De Mauro ci disse che cinque italiani su cento fra i 14 e i 65 anni non sanno distinguere una lettera o una cifra dall’altra. Trentotto lo sanno fare, ma riescono solo a leggere con difficoltà una scritta. Trentatre non riescono a leggere un testo scritto che “riguardi fatti collettivi”. Un quotidiano, per esempio. Solo il 20 per cento degli italiani, secondo De Mauro (che a sua volta si riferisce a studi internazionali) possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura e scrittura per orientarsi nella società.
Quattordici anni dopo, ho la sensazione che le cose siano enormemente peggiorate. 

Torna in alto