A proposito di lavoro culturale. C’è un aspetto che si associa immediatamente a queste due parole ed è quello della sopravvivenza dei lavoratori della cultura. Dal momento che si avvicina il primo Festival italiano di letteratura working class (che si deve ad Alberto Prunetti e ad Alegre), e sollecitata da un articolo di Maria Teresa Carbone sul Manifesto, vado a leggere un articolo sul Guardian di Ben Quinn, che a sua volta riporta i dati del rapporto intitolato Structurally F*cked . Vi si legge fra l’altro che la proporzione di lavoratori culturali che provengono da un contesto operaio si è ridotta della metà.
Mi torna in mente la lectio sul giornalismo culturale che Nicola Lagioia tenne quasi un anno dopo la morte di Alessandro Leogrande: “Se era così bravo, così competente, così coraggioso, così in gamba come tutti quanti non smettono di dire, perché i grandi giornali non hanno fatto a cazzotti per accaparrarselo, salvo parlarne in termini di superlativo assoluto e lodarlo solo dopo che era morto?”
Ai mille lavori di Leogrande penso spesso, e penso anche a chi ha oggi la sua età e fa appunto quei mille lavori per tirar fuori uno stipendio, e penso ai dati del Guardian e al fatto che alle parole “ascensore sociale” parecchi farebbero spallucce, qualcuno ti guarderebbe storto e altri non saprebbero neanche cosa è.
Tag: The Guardian
L’ultima vittima: a Cuneo. Perchè si chiama femminicidio. Lo spiega molto bene Barbara Spinelli su La 27ma ora Le nuove adesioni all’appello, da Rita Levi Montalcini ad Alina Marazzi, Alessandro Baricco, Generazione TQ e tanti altri: Se non ora quando…