TESTACODA

C’è un passaggio, in Le Conflit, dove Elisabeth Badinter lascia trapelare lo sconforto: nel giro di dieci anni, scrive, il femminismo fa testacoda, volta le spalle a Simone de Beauvoir e alle sue teorie (secondo le quali ciò che unisce donne e uomini è più importante di ciò che distingue) e torna a esaltare quelle virtù “innate” del femminile di cui la maternità è il cuore.  Con tutto quel che ne consegue.
Ne consegue, anche, la rivolta delle figlie contro le madri: che è inscritta in una storia millenaria, ma che questa volta ha una particolarità in più, perché quelle madri sono coloro che si sono battute per l’indipendenza delle donne. Eppure vanno negate, esorcizzate: spesso a suon di stereotipi che vengono ripresi e diffusi soprattutto in ambito femminile.  Ci vogliono uguali agli uomini, ci vogliono trascurate, vogliono uccidere la seduzione, disprezzano la bellezza, ostentano la sciatteria come una bandiera.
Falso, naturalmente. Considerato vero, altrettanto naturalmente. Niente affatto secondario, infine. Badinter arriva a sostenere che in virtù di questo  l’unità delle donne si è infranta. Personalmente, sono più ottimista (appena un poco). A patto che si ragioni su quella che non è una piega del discorso, ma uno dei suoi centri: donne contro donne, secondo un parametro maschile. Donne contro donne, usando argomenti che feriscono. Perchè dal corpo, dall’idea di corpo femminile che è stata narrata nei secoli, non ci liberiamo: e se per ferire un uomo si usano le idee, per ferire una donna, ancora oggi, si usa il suo corpo.
Ci indigniamo, tutte, quando il presidente del consiglio insulta Rosy Bindi o – sembra- definisce Angela Merkel “non scopabile”. Ci indigniamo quando esponenti Pdl insultano una giornalista a suon di “nessuno ti spoglierebbe”. Eppure, reiteriamo gli stessi concetti, quando ci raduniamo a dileggiare altre donne perché non sono abbastanza ben vestite e curate. Ne parla in questo post   Femminismo a Sud.
Poi, c’è l’aspetto contrario. Quello secondo il quale le donne viceversa seduttive, belle e attente a trucco e abiti non sono abbastanza intelligenti o degne di considerazione.  E’ il drammatico errore in cui è incorsa la filosofa Francesca Rigotti in un articolo su L’Unità di venerdì scorso.  Anche Rigotti fa testacoda, descrivendo due partecipanti a una puntata di Ballarò, Susanna Camusso, segretaria generale della CGIL e Annamaria Bernini Bovicelli, ministra per le Politiche Europee, in questo modo:
“Da una parte la femmina (indovinate quale delle due): fisico palestrato, taccazzi a spillo da vertigine, pettinatura elaborata e probabilmente studiata per far scomparire la fronte bassa, ma soprattutto eloquio aggressivo dal quale non trapelava alcun contenuto nuovo, se non la solita parte assegnata dall’alto, imparata a memoria (o letta sull’IPad) e declamata urlando; dall’altra la donna (anche qui, indovinare quale): normale, con la faccia non truccata e il fisico non palestrato, le scarpe basse e l’abbigliamento comodo ma soprattutto con la parlata pacata e intensa, piena di contenuti espressi con passione vera, di chi ha vissuto stagioni di lotta, di chi ha scelto di stare dalla parte dei lavoratori, degli oppressi, della parte debole, delle donne e quindi anche delle femmine, anche se queste non l’hanno ancora capito”.
Non una parola su quei contenuti. Solo sull’aspetto fisico, con la spaventevole identificazione del tacco basso con la parte giusta e di quello a spillo con quella sbagliata. Ora, quel che va ripetuto fino alla nausea, perchè non siamo riuscite a farlo passare, è che il femminismo storico e il neofemminismo attuale non hanno mai voluto nè vogliono gabbie, come dice Lorella Zanardo. Non vogliono modelli di donna ideale. Non vogliono modelli: bensì diritti, bensì la possibilità di cambiare un immaginario devastante che ha offerto alle generazioni cresciute negli anni Ottanta e Novanta una sola possibilità in cui rispecchiarsi, e non le molteplici che devono essere a disposizione di ogni persona.
Se non usciamo da questa divisione, se non spezziamo il donna contro donna, rimarremo, ancora una volta, ferme. E il testacoda finirà, tragicamente, contro un muro.

55 pensieri su “TESTACODA

  1. Leggere la mia omonima Ilaria mi ha trasmesso emozioni piuttosto forti. Certo in una situazione di parità può essere distante, in molti sensi, un padre oppure una madre, talvolta, sempre più spesso, entrambi – anche se idealmente nessuno dei due. Ma mi sembra che ci sia qualcosa di più, di più grave.
    Mia madre a diciotto anni è rimasta orfana di madre e si è inventata un’attività – ha gestito una pensione -per mantenere e mandare a scuola i suoi nove fratelli e sorelle. Appena ha potuto si è sposata, credo che il matrimonio con un professionista le sia sembrata la strada per liberarsi dall’aver fatto da mamma – anche ben prima di avere diciott’anni – quando ancora aveva lei bisogno che una madre e un padre si occupassero di lei. Forse per questo, forse perché poi, tranne per un breve periodo, non ha più lavorato fuori casa e non si è sentita rispettata per quel che faceva, a me non ha trasmesso la gioia di stare a casa con me, ma neppure la passione per il lavoro. Per fortuna (o forse non è solo fortuna) a me da tutto questo è nata una passione forte e la ricerca di equilibrio tra entrambe le dimensioni.
    Sono molto d’accordo con Adrianaaaa “che le condizioni materiali, alla fine, assai spesso riescono a sconfiggerti, ed è per questo che bisogna lottare tanto per cambiarle”. Quello che credo che Sen volesse dire, e che sembra abbastanza ovvio ma non è ancora successo, è che finora le donne hanno avuto accesso (incompleto) al lavoro fuori casa senza avere una voce adeguata su cosa e come vogliono che quel lavoro sia, a partire dalle esigenze di conciliare la vita – di tutti, si badi bene – con il lavoro.
    Non so se rispondo a Barbara, ma chiaramente anche con la sua osservazione sull’economia sono d’accordo. Per questo ho cercato e trovato un articolo che illustra lo stato del dibattito su questi temi. A me ha chiarito un po’ le idee. Non so se mi sono spiegata, non è semplice, anche perché è molto, forse troppo personale.
    Quanto alle difficoltà delle donne a parlarsi e riuscire a lottare insieme per obiettivi comuni, rispettando le differenze a volte profonde delle loro premesse, mi piacciono i suggerimenti (che si traducono in una metodologia concreta) di Marianella Sclavi: “Tendiamo ad assumere che poiché le posizioni sono opposte, anche gli interessi dai quali derivano siano opposti. Non è così. Passare dalla posizione agli interessi sottostanti permette di far emergere interessi condivisi e compatibili, oltre a quelli opposti.” Magari andando un po’ OT, ma spero di essere tornata all’argomento di partenza del post. E’ in questa direzione che io credo si debba lavorare.
    Ecco l’articolo: http://suddegenere.files.wordpress.com/2010/09/copanello_9_giugno_08__2_1.pdf

  2. Naturalmente le condizioni materiali hanno grande importanza – come negarlo. Ma guardate come l’episodio di questo post le vincoli inesorabilmente ad altre questioni: Camusso è segretaria della CIGL, ossia ente che si occupa delle famose questioni materiali, ma di quello che ha detto la giornalista dell’Unità non si è occupata di dirci niente. Attenzione quindi al ricatto su ciò che è leggero rispetto ciò che è pesante, in quella leggerezza le donne sono state sempre relegate e di quella leggerezza bisogna allora occuparsi con pesantezza.

  3. Concordo con zauberei, il dramma è credere che un paese possa nutrirsi solo di apparenze e argomenti leggeri (trucco e parrucco di camusso e bernini) senza mai andare alla sostanza dei contenuti (problemi, soluzioni, idee, confronti ecc non sono pervenuti).
    se si è donne a maggior ragione si è relegate alle cose leggere, al contorno, al vallettismo sociale!

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