THE WALL, O DEL NON VEDERE COME SI LIMITA LA LIBERTA' INDIVIDUALE

Nei commenti al post di ieri ponevo una domanda sulle motivazioni che spingono donne e uomini a negare il femminicidio, a volte con violenza, spesso spendendo buona parte della propria giornata per trovare controargomentazioni numeriche o sociologiche o semplicemente di personale intolleranza al termine e a ciò cui il termine rimanda.
Mi rendo conto che la risposta è difficile, perché va evidentemente a toccare corde profondissime e dolorose in ognuno di noi, corde che riguardano la propria storia, la propria fragilità, il proprio vissuto. Mi rendo anche conto che è più semplice tentare di  ridurre un fenomeno strutturale e radicato a fenomeno circoscritto e  occasionale e che, soprattutto, riguarda solo alcune categorie di persone: in questo senso vanno letti, a mio parere, anche interventi in apparenza “amici”  come quello sulla Calabria apparso su Il Fatto quotidiano (ma cos’hanno, quelli del Fatto? A quale idea di web sono ancorati, quella secondo la quale più si suscita polemica e meglio è? ).  Interventi che distolgono, invece di riportare al cuore della problematica.
Provo, comunque, ad azzardare una delle molte risposte possibili: credo che chi si sente punto sul vivo dai discorsi sul femminicidio sia spinto anche dal timore di imprecisati “interventi prescrittivi”. Di norme, insomma, che intervengano sulla sua vita, disciplinandola e rendendola “meno libera”.
Il che fa, amaramente, sorridere. Quell’intervento disciplinante c’è già. Quando si parla della necessità di ragionare sulla scuola (partendo dalle materne, non dai corsi di studio superiori), lo si fa proprio perché è purtroppo in questa sede che viene reiterata l’idea di un destino diverso e prestabilito per i futuri uomini e le future donne, che attribuisce loro caratteristiche psicologiche  “per nascita” e “per natura”.
Perdonerete l’autocitazione, ma per esemplificare posto qui uno stralcio di un libro ormai lontano, “Ancora dalla parte delle bambine”. Sono passati sette anni, ma la situazione non è cambiata da quando Irene Biemmi pubblicò nel Quaderno n.29 del Consiglio Regionale della Toscana. Commissione regionale pari opportunità donna-uomo, con il titolo Sessi e sessimo nei testi scolastici. La rappresentazione dei generi nei libri di lettura delle elementari. Biemmi aveva preso in esame i libri di lettura per la classe quarta elementare di dieci importanti case editrici: De Agostini, Nicola Milano, Capitello, Piccoli, Fabbri, Raffaello, Piemme, Elmedi, Giunti e La Scuola.  Questi sono alcuni dei risultati:
“Le donne amano i vestiti, sono gentili, pazienti, generose, proteggono le altre persone, lavorano molto ma sono povere, vivono spesso in modo triste. Le bambine giocano con le bambole o con piccoli animali, si spaventano facilmente e vengono severamente punite per gli errori commessi. Gli uomini sono indipendenti, fieri, simpatici, amano le automobili e dispongono di molto denaro, i ragazzi sono intraprendenti, avventurosi, praticano sport, e non sono puniti per le loro infrazioni, che a volte appaiono anzi come episodi di audacia. Si nota in particolare che l’immagine dell’uomo è decisamente sopravalutata rispetto a quella della donna. Le caratteristiche più enfatizzate del maschio adulto sono: la calma (contrapposta all’isteria femminile), la capacità di mantenere il controllo (mentre le donne piangono), di prendere decisioni (piuttosto che accettare quelle degli altri)”.
“Il maschio viene descritto come “sicuro, coraggioso, serio, orgoglioso, onesto, ambizioso, minaccioso, pensieroso, concentrato, bruto, avventuroso, autoritario, furioso, generoso, fiero, duro, egoista, iroso, virtuoso, tronfio, saggio, deciso, audace, libero, impudente”. La femmina come “antipatica, pettegola, invidiosa, vanitosa, smorfiosa, civetta, altezzosa, affettuosa, apprensiva, angosciata, mortificata, premurosa, paziente, buona, tenera, vergognosa, silenziosa, servizievole, comprensiva, docile, deliziosa, delicata, disperata, ipersensibile, dolce, innocente”.
Non è abbastanza prescrittivo, tutto questo? Non bisognerebbe, subito, intervenire qui, proprio perché i bambini non crescano con l’idea di “essere” bruti e irosi e le bambine di “essere” angosciate e mortificate?

30 pensieri su “THE WALL, O DEL NON VEDERE COME SI LIMITA LA LIBERTA' INDIVIDUALE

  1. Il mito di mia figlia è Pippi Calzelunghe, che non risponde certo a quel genere di “femmina”. Anche perché è mia figlia stessa (pur avendo solo 2 anni) a sentirsi più un pirata che una bimba mansueta, e non per questo è poco femminile o pensa di essere un maschio.
    Ci sono tanti studi di psicologia e di antropologia che parlano di una donna completamente diversa, con una forza incredibile. Ecco, trasmettere un’idea di quel tipo forse potrebbe cambiare qualcosa. Ma bisognerebbe, in questo caso, fare appello all’idea di una natura, anche solo archetipica, della donna.

  2. Non soltanto della donna, Maura. Anche l’uomo si trova nella condizione di subire modelli e canoni sessisti a partire dal periodo scolastico e anche prima, attraverso pubblicità e trasmissioni televisive che entrano nelle case prima della scuola e, ahimè, in certi casi in modo più pregnante della famiglia stessa, che ha delegato l’educazione dei figli ad apparati esterni ad essa.
    .
    Vorrei dirti grazie, Loredana, per aver suggerito indirettamente che non è obbligatorio, per un uomo, essere un bruto.

  3. Quando ho letto il libro di Irene Biemmi sono rimasta letteralmente sconvolta… Tra i moltissimi brani analizzati, ne ricordo in particolare uno, in cui una madre insegnante viene sistematicamente ridicolizzata e derisa dal figlio (o figlia) per come cerca freneticamente di barcamenarsi tra lavoro fuori e dentro casa. Ne copio un brano: “Esiste una casa dove si lavano i pavimenti alle nove di sera? Sì, la nostra: papà e io ci stiamo riposando in poltrona davanti al televisore, e all’improvviso compare lei, col grembiule, il secchio e lo strofinaccio, e ci ordina di tirare su i piedi per poter lavare sotto. Si mette a ginocchioni e sfrega il pavimento.” Ah ah ah!

  4. Cara Lipperini, io apprezzo molto il fatto che su questo blog si tenti di discutere civilmente (qualche polemica però non fa mai male, ma che siano costruttive). Leggo sempre molto questo dibattito su vari lidi, ma non intervengo quasi mai per mie ragioni.
    Vorrei solo provare a rispondere alla sua domanda sulla “virulenza” della questione, iniziando da un link di Murgia:
    http://www.michelamurgia.com/sardegna/cultura/795-epistemologia-della-morte-per-crisi
    Questo è un articolo concettualmente identico a quelli negazionisti citati da lei ieri: e se per qualcuno non lo è, vorrei che mi si spiegasse dove sbaglio.
    Però non ci sogniamo di chiamare Murgia “negazionista”: perché non sta negando che ci siano suicidi per crisi, ma sta avendo un approccio critico alla gestione dei mass media sulla questione, molto emozionale e poco razionale. Utilizza numeri.
    Gli articoli da lei citati ieri fanno la stessa cosa: non negano la violenza sulle donne e gli omicidi di donne, ne contestano la gestione dei mass media, molto emozionale e poco razionale. E contestano, argomentando, l’utilizzo del termine “femminicidio”: che non vuol dire negare il fenomeno. Anche loro utilizzano qualche approccio retorico polemico: “femministe con la bava alla bocca” e simili: ma proviamo ad andare oltre: nessuno è perfetto, si dice.
    Io mi ritengo un moderato, anche se dovrebbero essere gli altri a dirlo.
    Ma quel termine non piace neanche a me: secondo me è, purtroppo, molto più adatto a incancrenire divisioni, e a generare muri piuttosto che abbatterli o favorire gli scambi. Lo è perché va in una direzione opposta a quella verso cui dovrebbe andare la società, ossia nell’abolizione di ogni differenza discriminatoria tra esseri umani, verso una logica includente. Mentre “femminicidio” va nell’altra direzione: settorializzazione, escludenza, ri-creazione di confronto-scontro tra generi/classi: insomma, batte il terreno di logiche di appartenenza, di divisioni anacronistiche. Il fatto che sia scelto con buona fede e buone intenzioni non vuol dire che sia giusto: si fanno spesso cose sbagliate, con le buone intenzioni.
    E le parole, lei e Murgia ce lo insegnano, sono importanti, e molto.
    Ora, mi piacerebbe non essere definito “negazionista” o “misogino” per questo parere (non mi riferisco a lei, dico in generale).
    Il fatto è che da quanto è stato portato il tema all’attenzione generale, molte/i hanno utilizzato appunto formule retoriche (esempio: quella citata ieri dal commentatore michele, che parla di “violenza sulle donne prima causa di morte tra le donne, più del cancro e di altro”; “un femminicidio ogni due giorni”, etc. etc.), creando nel pubblico una percezione di un’emergenza, che però (siamo d’accordo) emergenza non è. Ricordo che il Corriere della Sera ha una pagina (www.corriere.it/cronache/speciali/2012/la-strage-delle-donne) in cui tra i femminicidi sono inclusi donne morte per rapina o altre cause; è un esempio di quello che intendo: approssimazione, numeri deformati.
    Si è fatta molta, molta, confusione.
    Per cui, però, ora non ci si può lamentare se qualcuno è andato a verificare se queste formule retoriche volte e suscitare emotività siano fondate o meno.
    E non sono d’accordo sul chiamare negazionisti (un termine forte che nell’uso comune ha valenza dispregiativa, che dequalifica già la controparte troncando il dialogo dalla base) quelli che fanno analisi, anche polemiche, sulla questione: perché non negano il fenomeno, ma ne criticano la gestione mediatica e discutono l’uso del termine “femminicidio”: e, lo ripeto, fanno come fa Murgia nel suo articolo sui suicidi.
    Non è che tutti sono diventati misogini all’improvviso.
    Per cui non trovo sia costruttivo un atteggiamento che molte/i hanno di manicheismo: o sei d’accordo con tutto quello che dico, oppure sei un negazionista misogino. Non c’è una via di mezzo? Non si può avere un pensiero critico?
    Un atteggiamento simile sta generando il caso della autrice del blogger abbattoimuri: (http://abbattoimuri.wordpress.com/2013/05/26/diario-di-una-vittima-di-cyberbullismo): sta subendo virulenza anche più violenta di quella che lei evoca “contro il femminicidio”: e dobbiamo chiederci anche il perché della violenza verbale contro questa donna (che sta passando sotto un po’ di silenzio, anche se trovo che sia una cosa molto grave).
    Perché questa virulenza contro di lei? Alcune cose che sta subendo potrebbero avere rilevanza penale.
    La virulenza, più che con motivazioni profonde psicologiche di maschilismo o femminismo, la interpreto come evoluzione di un tema che è stato spinto verso la creazione di “tifoserie”, senza vie di mezzo. E su questo la scelta del termine “femminicidio” e il modo in cui è stato gestito hanno le loro responsabilità.
    Il famoso caso di Fabri Fibra per me è stata una spia importante di questo clima culturale.
    Come si può fare dialogo e evitare la virulenza se poi si utilizzano termini come “negazionismo” o si chiedono anacronistiche e unilaterali esclusioni di artisti basandosi su criteri retroattivi più punitivi che altro?
    (Il negazionismo del riscaldamento globale, citato ieri da una commentatrice, esiste solo a livello giornalistico: a livello accademico esiste un dibattito tra scienziati, chi a favore della teoria antropica del riscaldamento, chi contrario. Si parla di teorie scientifiche e discussione, non di negazionismo).

  5. @ Maura, a due anni uno forse non è del tutto consapevole di cosa significhi e di cosa implichi essere una femmina o un maschio, specie in termini di aspettative e pressioni, anche perché vive ancora in un ambiente del tutto protetto e controllato dai genitori… I modelli femminili proposti da tv, pubblicità, giocattoli e abbigliamento, ma anche spesso da parenti, amici, compagni e compagne, e a volte purtroppo anche insegnanti e scuola (vedi libro di Biemmi)…sono molto aggressivi e pervasivi, e il tipo alla Pippi Calzelunghe tra questi è davvero marginale. E’ questo uno dei problemi.

  6. Gentile Paolo. Una premessa: non ho usato il termine “misogino”, per cominciare. Sì, ho usato “negazionista” e continuo a farlo: perché a mio parere c’è una differenza fra l’articolo di Michela che lei cita e il non voler vedere l’evidenza di un fenomeno strutturale, ripeto, e non scalfito nella sua drammaticità da anni, come il femminicidio (mi risparmia, vero, la spiegazione del perché si adotta un termine che si è diffuso a livello internazionale?).
    Il post che ho scritto ieri, se ha notato, non contesta (non del tutto) le cifre, ma la loro lettura e soprattutto le conclusioni: il non volere vedere il problema. Anzi, negarne l’esistenza. Il che non significa affatto voler colpevolizzare gli uomini: nel libro scritto con Michela c’è un capitolo che confuta proprio l’idea che il femminicidio istighi alla guerra fra sessi. Ma se un problema lo abbiamo, vogliamo affrontarlo?
    Ora. Una piccola sottolineatura: gli articoli citati non si limitano a contestare la gestione del fenomeno da parte dei media, ma in più casi si rivolgono, non senza ferocia, alle “femministe”, proseguendo nella riduzione di questo termine all’equivalenza con la donna incarognita e isterica. Errore. Così (e nel libro lo abbiamo scritto) è stato un errore dall’altro versante fornire cifre sbagliate o dare dei “mostri” agli uomini. Ma c’è un altro errore, che a mio parere è il più importante: pensare che tutto questo riguardi “solo alcuni uomini”. Perché è un problema che riguarda una cultura, come tentavo di dire nel post di oggi, e questa cultura ci coinvolge tutte e tutti.

  7. Il post di Paolo M mi pare convincente. Come già scritto sono dell’opinione che esista, almeno in questo momento, un problema così forte da poter usare il termine femminicidio. Non sono d’accordo, invece, nel dare del “negazionista” a chicchessia senza valutarne, con rispetto, le sue considerazioni.

  8. @francesca violi
    Il punto è che io non credo che si nasca vuoti, e penso che anche da un bambino molto piccolo (maschio o femmina) possa emergere qualcosa di innato e autentico. Il compito della famiglia e della scuola dovrebbe essere quello di creare lo spazio affinché questo accada. Con degli schemi così rigidi, però, è impossibile, quindi servono tantissime immagini differenti dell’uomo e della donna.

  9. Il termine “femminicidio” non crea muri e divisioni, ma li racconta; sollevare il problema della discriminazione non equivale ad essere discriminanti. Se una categoria di persone, in questo caso le donne, lamenta di essere discriminata e subire per questo un tipo di violenza che nasce dallo squilibrio di potere, non sta discriminando, bensì denunciando. Ragionando per analogia, chi parla di razzismo contro gli immigrati discrimina i propri connazionali o denuncia una discriminazione? Questa argomentazione contro il femminicidio è semplicemente priva di logica. I muri ci sono già e dare a quei muri un nome aiuta ad identificarli meglio, a renderli visibili, e quindi ad abbatterli davvero.

  10. Cara Loredana
    l’Anonimo sono io. Mi sono dimenticato di immettere i miei dati e, quando ho scritto il commento, non era ancora apparsa la tua risposta. Per chiarezza che non mi nascondo mai.

  11. Certe cose non sono solo cultura, ma Natura Ancestrale.
    Semmai, vanno comprese e vissute bene, con Maestri e Maestre vere, iniziazioni vere, e non solo superficialmente.
    Ok.
    Ma i binomi fondamentali restano eterni. L’Uomo è più Yang, la donna più Yin. Punto.
    Se esiste una difesa ed un rispetto delle donne, è solo e soltanto la cavalleria del maschio e la sapienza del circolo delle donne.
    Non c’è parita fra due forze non-commisurabili.
    Nessun femminismo potrà travisare le cose:
    solo la Saggezza antica detiene le radici dell’Ordine.

  12. Post Scriptum:
    Io sono maschio, maschilista e all’antica.
    E PER QUESTO disprezzo il codardo, e amo le donne. E le proteggo.
    Nessuno deve associare il machismo a questi atti vili,
    così come nessuno deve associare il bulletto moderno alla tradizione nobile del Bullo trasteverino.
    Parlo quindi a nome dell’antica cultura virile, prendendo posizione nettamente contro le mezzeseghe che violentano o uccidono le donne.

  13. Caro Paolo M che imperversi su ogni sito dove si parli di femminicidio per porti come “sereno, pacato e non polemico” controaltare: alla tua equiparazione suicidi-per-crisi/femminicidi avevo già risposto io sul mio sito, ma tu ovviamente non mi hai letta, perchè l’importante per te non è dibattere, ma insistere a spostare il fuoco della questione.
    Come ti ho già scritto giorni fa, il gioco retorico dell’equiparazione non è logico: la “crisi” non è un assassino armato che ti aspetta dietro la porta di casa per accoltellarti. E’ solo una situazione socio-economica che – per quanto possa rendere la vita complicata – non implica in automatico il rischio di ammazzarsi, altrimenti metà degli italiani questa mattina dovrebbero avere una pistola alla tempia. Dire che la crisi uccide è come dire che la montagna uccide (“Montagna assassina: morti tre alpinisti”) o che uccide la strada (“La Salerno-Reggio uccide ancora: famiglia travolta da un TIR”). E’ una sonora cazzata: la montagna di per sè non uccide nessuno, a differenza di mariti e fidanzati gelosi.
    Poi c’è la lettura dei dati reali: la gran parte dei suicidi cosiddetti “per crisi” sono tali solo per bocca dei giornalisti, perchè in realtà nemmeno un terzo dei suicidi lascia un segno delle sue ragioni, che gli vengono attribuite postume con deduzioni per lo più forzate. Nemmeno nei casi in cui il suicida indica motivazioni economiche è sempre vero che sia così, perchè spesso le ragioni personali sono auto-letture falsate da condizioni psicofisiche compromesse. Dire “mi ammazzo per la crisi” quanto peso effettivo può avere nella determinazione delle effettive ragioni di quel suicidio? Se i suicidi dicessero che si suicidano per amore diremmo forse che le donne che li hanno lasciati sono responsabili delle loro morti? Ovviamente no. Perchè allora dovrebbe esserlo la crisi? Accostare i dati presunti dei suicidi ai dati reali delle donne ammazzate (non suicide, ma uccise) da mariti, ex mariti, fidanzati o familiari possessivi è pura malafede: la causa di queste morti non è desunta, ma viene rivendicata proprio dal femminicida come gesto necessario al mantenimento del possesso “voleva lasciarmi, aveva un altro, etc”.
    Non è con questi giochetti che si discute seriamente di un fenomeno culturale serissimo.

  14. Anch’io sono maschio, ma non per questo deliro assolutizzando come verità naturali delle convinzioni culturali che non si può pretendere siano desiderate da controparti almeno per certi versi e da certi punti di vista almeno altrettanto legittimi svantaggiosi.
    Farebbe male, volendo credere agli stereotipi, leggere certi commenti da parte di qualcuno che, in quanto maschio, dovrebbe essere dotato di raziocinio, euqilibrio etc.
    Ma non ero arrivato qui per fare questo commento. Bensì per muovere una piccola critica costruttiva, da parte di uno d’accordo su tutta la linea, sostengo che il femminicidio ci sia e sia indubbiamente figlio di una cultura maschilista, oppressiva, iniqua, avvilente e svilente nei confronti delle donne e di chiunque ami la libertà in una nozione in cui la parità delle condizioni è condizione d’esistenza. Non solo a parole: sottoscrivo e sostengo dove e come posso e farei anche di più, nei limiti delle mie possibilità, se trovassi altre proposte cui aderire.
    La questione dell’affibbiare del negazionista , termine forte attribuito solitamente a persone fuori dalla realtà storica, che cioè negano fenomeni reali, è solo una piccola parte (che ha ricevuto risposta ma a mio avviso non sufficiente) di un atteggiamento a mio avviso generalizzato, anche se non direi su questo blog, e controproducente. Quella a cercare la polemica e a vedere il nemico anche in chi potrebbe tranquillamente non esserlo. Parto dal negazionismo e poi faccio un esempio di vita mia per illustrare il concetto. Ora, se uno si limita a sostenere che, stando ai dati noti, gli omicidi di genere sproporzionati da parte di maschi nei confronti di femmine e perciò legittimamente meritevoli di un loro nome (che poi quello scelto da chi se ne occupa nel genere delle vittime suoni male, oh, ma stiamo a far questioni di lemmi su problemi di vita o di morte?) ci siano e siano a quanto pare costanti e nettamente inferiori alla media europea, si limita a enunciare i fatti intersoggettivamente attingibili. Non è negazionista (lo è se nega che ci siano più omicidi di femmine “in quanto femmine”, da parte di uomini, che non viceversa). E’ affermazione a quanto pare condivisa da tutti qui e anche da alcuni di quelli che vengono (dunque erroneamente) chiamati negazionisti. Uno magari può farla per dire, come ho pensato appena letto l’ariticolo su NfA, che questo semmai prova la relativa maggiore urgenza del contrasto al fenomeno (al decrescere degli altri delitti), o anche solo per dire che il fatto che un’emergenza non sia più emergente oggi non significa che non sia un problema intollerabile (a parte la doverosità di tutta una serie di considerazioni sul fatto che non è detto che, ammesso che si uccidano meno donne qui che nei paesi nordici, questo sia dovuto a un minore sessismo nostrano…). Ma se incontra alcune femministe odierne, può non far in tempo a fare le sue considerazioni, se non è riconosciuto come persona decisamente femminista. Vengo all’aneddoto con cui intendo corroborare senza basi numeriche, scientifiche, ma per via parabolica. Ricordo ai tempi dell’università, una quindicina d’anni fa, una discussione in dipartimento fra studenti, entrambi conoscenti miei ma non reciproci: una studentessa fra l’altro assai femminista e un ragazzo appassionato di filosofia del linguaggio, anche se non so se poi vi si sia laureato. Si parlava di una ipotizzata da tutti e tre riduzione della popolarità del termine femminismo. Il ragazzo sostenne, come ipotesi, la teoria per cui dato che femminismo aveva un connotato positivo e maschilismo negativo, questo secondo lui portava la gente a considerarla una “violenza” nei confronti dei maschi, come se essere maschi fosse sbagliato e femmine giusto. Tentò di dire altro ma la studentessa se ne andò arrabbiata, dopo una sacrosanta tirata sui crimini dei maschi sulle femmine su cui il tipo non aveva niente da dire. Ricordo il tutto perché a quel punto lo studente se ne uscì con una idea a mio avviso in parte geniale, che mi fece apparire in una nuova luce il suo discorso, anche se poco praticabile proponendola lui: chiamare maschilisti gli uomini degni, rispettosi, paritari, senza pretese di dominio e possesso etc. e trovare un altro nome per quelli che si chiamano oggi maschilisti, un nome che evidenziasse l’essere malvagi, opprimenti, ingiusti più che l’essere maschi. Be’, questo ragazzo a mio avviso non era un nemico della causa femminista e credo che, senza definirsi tale, lo sia rimasto (con la sua ragazza ci conviveva e da quel che so non aiutava in casa: si spartivano giustamente in modo equo il da fare), pur da allora iniziando a provare una certa avversità per il termine e per chi lo adopera… Secondo me la ragazza avrebbe fatto meglio per difendere la giusta causa ad ascoltarlo, a prendere quanto di buono ci poteva essere, anche a dirgli volendo che era un non sequitur, magari che i termini contano poi poco, magari che ormai c’erano delle abitudini culturali, ma senza considerarlo un nemico del femminismo. Non so se mi spiego…

  15. Gentile Efraim, sì è certamente spiegato. Solo una piccola chiosa: non avrei scritto il post di ieri se non avessi letto in quelli definiti “negazionisti” il desiderio di entrare in una contesa, più che in una discussione, con la voglia di concluderla con un trionfale “OWNED”, ho annullato l’avversario. E non, mi creda, perché io desideri patenti di empatia da chi interviene. Ma perché così come è stato trattato il fenomeno di empatia non ne ho percepita affatto. E questo va al di là dell’essere maschi o femmine.

  16. @Michela Murgia
    Impeverso addirittura DUE volte su due blog diversi: come ho già scritto, seguo il dibattito ma non intervengo per ragioni mie. Non mi piace ripetere. Questo è appena il mio terzo intervento, per cui visto che lei tiene alle parole, le posso dire che “imperversare” è errata.
    Non capisco neanche perché mette tra virgolette il fatto che lo faccio pacatamente: forse non lo sono, pacato? Nel qual caso, scopro ora di essere aggressivo.
    Sul resto: certo che ho letto la sua replica sul suo blog, ma non ho risposto perché non avevo null’altro da dire.
    La mia intenzione, sia là che qua, non è paragonare concettualmente i due fenomeni: so che non sono paragonabili, non sono un minus habens anche se lei con questo approccio paternalistico che ostenta vuol farmi figurare come tale.
    Ma non voglio portare la discussione sul personale, ho parlato di concetti e articoli, ed è lei Murgia che mi va sul personale dicendo che non per me non è importante dibattere ma spostare la questione. Se è appunto importante dibattiti, si limiti a dibattere idee senza aggiungere valutazioni su cosa sia importante o meno per me, visto che non ci conosciamo personalmente, o senza dire che “imperverso” quando non è vero per dare una caratteristica dequalificante che non mi è propria.
    Per me la questione è chiara: io ho confrontato il suo articolo e gli altri perché a mio parere sono sugli stessi binari, che ho già spiegato nel mio lungo commento: critica mass-mediologica, a prescindere dai contenuti.
    Non c’è bisogno che mi spieghi ulteriormente il discorso sui suicidi, ci arrivo da solo.

  17. Michela Murgia, le crisi uccidono – giusto per essere precisi storicamente – anche fisicamente, anche chi non si suicida. Questo non toglie nulla all’uccisione delle donne, all’emergenza della violenza su di loro. Non è che si debba di necessità fare una classifica della sfiga e decidere o l’uno o l’altro. Si può serenamente ammettere sia che le crisi economiche uccidono sia che alcuni (troppi) uomini ammazzano le donne. Cordialità.

  18. Non mi sembra affatto che Michela fosse imprecisa, Barbara, nè che si sia sottratta alla discussione. Quanto alla critica mass-mediologica, Paolo, mi permetta di dire una cosa: esiste una concretezza che forse richiede più attenzione della critica mass-mediologica, così cara alla rete, mentre sembrano essere molto meno care le questioni che riguardano se stessi e il modo in cui veniamo “costruiti”.

  19. Loredana è impreciso chiunque sostenga che le crisi economiche non uccidono. O per dirla con più delicatezza non fanno morti. I suicidi sono un’altra cosa. Qui chiudo cara Loredana -) perché è impossibile muovere la minima obiezione: non perché tu censuri ma perché c’è un continuo fraintendimento delle posizioni. Buon lavoro -)))

  20. Barbara: eh no. C’è una differenza notevole fra “non poter muovere la minima obiezione” e “ribattere”. Sono sinceramente stufa della retorica vittimista dell’incomprensione. Se hai qualcosa da dire, e se vuoi dirla senza malafede, fallo, prendendoti ovviamente la responsabilità di essere criticata, come tutte e tutti. E’ troppo comoda la litania del “non mi capiscono”, con cui abilmente si ributta la palla sulle cattivone che fraintendono.

  21. Loredana, per carità, è fuori discussione che esista una concretezza che richiede più attenzione della critica mass-mediologica, ma è così per tutto. Anche per i suicidi della crisi esiste una concretezza più importante della analisi che fa Murgia, ma non vuol dire che non si debba dare importanza a come i media comunicano, perché nel 2013 i media hanno anche il potere di influenzare la realtà stessa, la concretezza stessa. Tutto è correlato con tutto.
    Ma non voglio parlare dei suicidi per crisi, non è questo il tema e non finiremmo più.
    Ho già spiegato il motivo del parallelo tra i due articoli, e non mi ripeto.
    Ho contestualizzato il motivo in un discorso che tentava di rispondere alla sua domanda del “perché la virulenza?”. Non mi ripeto, ho scritto tutto nel primo commento.
    Ho espresso pareri argomentando, mi sembra; si può non essere d’accordo, ma che si discuta; non mi va di sentirmi dire che sono uno che “imperverso su ogni sito dove si parli di femminicidio per porti come ‘sereno, pacato e non polemico’ controaltare” (evidente il sarcasmo di Murgia, che vuole intendere non so cosa: che sono un negazionista del femminicidio anche io?), o che ” l’importante per me non è dibattere, ma insistere a spostare il fuoco della questione.” A me pare allora che sia a Murgia che non interessi dibattere: che discuta le mie idee, invece di incollare una risposta già data nel suo blog che qua non c’entra molto (visto che ho chiarito che non confrontavo suicidi/femminicidi, per cui non mi deve spiegare che non sono confrontabili, ma paragonavo modalità e scopi degli articoli), invece di esprimere pareri sulla mia persona.
    E’ la dimostrazione di come si attui la politica del “o con me o contro di me”, senza vie di mezzo.
    I dibattiti si fanno soprattutto con chi la pensa diversamente, non con quelli che ci danno ragione.

  22. @Barbara.
    Suicidarsi indicando come motivazione le difficoltà economiche non significa che “la crisi uccide”, esattamente come suicidarsi indicando come motivazione la delusione amorosa non significa che l’amore uccida.
    Ma mettiamo pure che questa equazione stia in piedi. Cosa succede quando la società percepisce che c’è una presunta “emergenza suicidi per la crisi”, come in effetti ha fatto?
    Succede che si aprono sportelli di aiuto agli imprenditori in difficoltà, si potenziano le fonti di informazione sull’accesso al credito agevolato e i giornali se ne occupano con attenzione ossessiva, arrivando ad aprire sezioni apposite per tenere alta l’attenzione (o la tensione?) sui morti per ragioni apparentemente economiche. Fanno bene? Fanno male? Non importa: intanto fanno.
    Se invece ad andare alla ribalta sono i numeri delle donne uccise, la ricerca delle possibili cause comuni di queste uccisioni non solo non comincia nemmeno in ambito istituzionale, ma anzi si nega che queste cause esistano e possano essere affrontate con azioni mirate. Si dice e ribadisce che quelle morti sono gesti isolati di persone instabili, non un fenomeno sociale. Si dice che le morti ogni anno sono dati endemici della violenza sociale, non questa gran stranezza e tantomeno un’emergenza che autorizzi a porsi domande specifiche.
    Ecco, questo io vorrei capire.
    Perché le cause emotive dei suicidi presuntamente economici vanno messi in capo alla crisi senza colpo ferire, mentre le cause socio-culturali dei femminicidi vanno messe in capo a ogni singolo omicida senza mai unire i punti nè porsi il problema che quelle morti si potessero evitare con servizi di aiuto e protezione più efficienti? Perchè “maschilismo che uccide” non è mai diventato un titolo di giornale, a differenza di “crisi assassina”?
    La percezione di eccesso che molti hanno sui dati del femminicidio è frutto non del fatto che se ne parli troppo o a sproposito, ma della resistenza sociale nei confronti della stessa ipotesi della sua esistenza.

  23. Cara Loredana (mi permetto, essendomi cara, giacché la seguo da molto e con empatia), lungi da me voler difendere i “negazionisti”, se non altro perché ho letto solo quello di NfA al quale proposito, (oltre a prendere le distanze dalla scuola di Chicago – sicuramente più prossimo a Naomi Klein nella valutazione su di essa che a quel blog) credo sia abbastanza chiaro che gli atteggiamenti privi di empatia, “OWNED” e quant’altro (sebbene facilmente riconducibili a stereotipi di genere della peggior specie e direi anche del genere peggiore, non fosse che creda che come gli euroamericani attivamente favorevoli ai diritti degli afroamericani…) travalichino le questioni di genere e siano il pane quotidiano di certi ambienti accademici; almeno come battuta può valere dire che riservare il medesimo trattamento alla questione del femminicidio sia semmai atto “paritetico”.
    Ma questo discorso l’ho usato solo come pretesto per indicare alla personalità di spicco di un movimento (di cui condivido gli intenti e per cui simpatizzo apertamente) che io sappia più aliena a ciò un atteggiamento molto diffuso e a mio avviso controproducente. Nassuno qui vuole negare che gli avversari siano peggiori, almeno non io che mi considero se possibile “dei vostri” perché ritengo che sostanzialmente la verità sia “dalla vostra” (o voi dalla sua). Voglio solo sostenere, qui dove tale tendenza mi pare più aliena, che mi pare troppo diffuso un modo di fare magari non “OWNED”, ma arrabbiato e aggressivo nei confronti di interlocutori magari subdoli e malvagi, ma che al pubblico possono apparire pacati e riflessivi; modo di fare che può far passare dalla parte del torto agli occhi del pubblico medesimo quand’anche si ha ogni ragione. O anche far trovare nemici laddove non ce ne sono, allontanare possibili alleati e via discorrendo.
    A proposito,
    @Michela Murgia, cui va tutta la mia stima:
    [se necessario, chiarisco che trovo davvero adeguati e auspicabili, nella temperie della comunicazione moderna che invero non apprezzo granché, titoli tipo “il maschilismo uccide ancora” (sempre che non passi la ridefinizione raccontata più sopra). Sebbene qualcosa si muova a livello istituzionale e anche, in parte, sui grossi media, nella cultura diffusa forse siamo ancora più indietro e di sicuro c’è molto da fare e l’emergenza sarà tale finché ci sarà discriminazione di genere, che non sarà sconfitta nemmeno quando i presidenti delle repubbliche, dei consigli etc. saranno statisticamente tanto uomini quanto donne. Sicuramente è urgentemente necessario (non meno ora se lo è sempre stato) aumentare e mettere in essere servizi di sostegno e protezione, iniziative culturali a partire dalle scuole primarie e dell’infanzia e quant’altro. Sicuramente, anche se sono storie individuali, sono anche e in molti casi essenzialmente e soprattutto effetti di un fenomeno culturale indegno, per quanto radicato in tradizioni di lungo corso (ma non nella natura delle cose o della specie) etc.]
    Però a tutti può capitare, magari nella foga, di sostenere tesi esagerate. A parte il fatto che la sociologia, fin da Durkheim, nasce e avanza le sue pretese scientifiche a partire dalle ricerche sul suicidio e dalle correlazioni con le condizioni economiche (se ben ricordo, non sono sociologo, crescita a partire dai picchi di prosperità, ulteriore nell’impoverimento, diminuzione in povertà e minimizzazione in arricchimento), non è pregnante andare a fare un discorso sui suicidi per crisi sui dati che arrivano al 2009, mentre più senso avrebbe considerare quelli recenti, come nei dati diffusi dall’autorevole rivista Lancet e ampiamente ripresi dai media europei un paio di settimane prima del suo post: http://www.ansa.it/web/notizie/specializzati/saluteebenessere/2013/03/27/crisi-piu-suicidi-Europa-Italia-9-milioni-si-curano-piu_8469132.html Non mi pare si possa pensare che ci siano gli estremi per negare l’evidente correlazione indicata dallo studio apparso sul Lancet e non trovo corretto sottolineare che in Grecia ci sono molti meno suicidi che in Italia per dire che la crisi “non fa morte”.
    A maggior ragione se in Grecia, nell’inizio di questa crisi, i suicidi aumentano del 40%. Almeno non volendo ipotizzare che sia un caso in un contesto in cui un bambino su quattro, notizia recente, è arrivato a soffrire di malnutrizione, quando un secolo di ricerche sostengono che sia un fenomeno strutturale ed è difficile negarlo tanto quanto lo è per il femminicidio.
    Non sono nella testa di nessuno, ma sono convinto che si possa essere in ampio disaccordo con il post intitolato “Epistemologia della morte per crisi” (a suo tempo letto, disapprovato e rimosso, ma ritrovato ora nei commenti) senza per questo essere negazionisti, misogini o volere in nessun modo sminuire la realtà del femminicidio in particolare e delle discriminazioni di genere in generale. Poi chiaro che certi intelrocutori, senza riferimenti specifici, possono magari risultare irritanti e nel migliore dei casi pedanti con le loro osservazioni talvolta o spesso capziose. Però penso che la più grande forza di una battaglia giusta sia quella della verità…

  24. Loredana non mi sento una vittima, ci mancherebbe. Michela Murgia, rispondendo, commette un errore: confonde i cosiddetti suicidi da crisi con il fatto che le crisi economiche non uccidano. Questa è una imprecisione oltre che una sciocchezza. Ognuno se ne sta tranquillo con la propria opinione, senza essere né vittima né carnefice.

  25. Abbiamo assistito, nel recente passato, al fenomeno negazionista della crisi, basterebbe ricordare chi diceva che i ristoranti erano pieni e le moltitudini di liberi professionisti , artigiani, piccoli imprenditori, che addirittura la benedicevano convinti che avrebbe ripulito il mercato dai rami secchi e rilanciato quelli bravi e capaci. A tirare il gruppo erano quegli stessi organi di informazione che oggi sono i più attivi a enfatizzare i “suicidi da crisi”, così come i più preoccupati sono coloro che pensavano di stare tra le file dei bravi e capaci. La crisi la sentiamo vicina, riguarda tutti, anche quelli che non la soffrono, del femminicidio possiamo fregarcene, negarlo, sottovalutarlo,se non uccidono tua sorella o un amica. Il femminicidio lo si relega in recinti ben definiti, nelle pulsioni “naturali” di un maschile offeso o in culture tribali a noi estranee, ultima in ordine di tempo e di follia “quella calabrese”. Forse è meglio non sottovalutare l’uso strumentale da parte di certa informazione riguardo ai recenti casi di violenza di genere, forse è proprio ora che di femminicidio si comincia a parlarne ovunque, che è necessario il massimo sforzo per non lasciare stravolgere e ridirezionare il senso di tutto quel poco o molto di buono fatto fin qui.

  26. Parole sacrosante! Basta con le caratteristiche psicologiche attribuibili per natura alle persone a seconda del loro genere, basta con gli invalicabili muri di separazione! Non è vero che gli uomini sono tutti calmi e razionali e le donne tutte isteriche e piagnone, per fortuna, come non è vero il viceversa. Non è vero che gli uomini sono tutti assassini brutali e le donne tutte vittime innocenti, per fortuna, come non è vero il viceversa. Ci sono tantissime brave persone, di un genere e dell’altro, che desiderano soltanto esprimere le proprie buone qualità per costruire insieme un mondo migliore, in cui tutti abbiano gli stessi diritti, la stessa dignità, le stesse possibilità.
    Grazie per tenere viva l’attenzione su questi temi, in difesa della libertà di ciascuna persona, maschio o femmina, di esprimere la propria vera indole, senza essere costretta ad adeguarsi a sciocchi stereotipi.

  27. Paolo M. Con ritardo. Solo per dire che mi piace molto poco essere presa in giro con tante belle dichiarazioni di onestà: per puro caso, mi è capitato sotto l’occhio il suo IP. Che coincide con quello di hommequirit-Ugo- Gigi – altri tremila nick della stessa persona. Allora, la prossima volta non vada a dire in giro che lei è “appena al suo terzo intervento”. Al contrario, lei razzola per il web cercando tutti i luoghi dove si parla di questione femminile per postare compulsivamente le sue analisi pseudo-scientifiche. Visto che è tanto in gamba, la prossima volta controlli. E, santo cielo, faccia qualcosa per se stesso.

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