TIMEO DANAOS: L'APPROPRIAZIONE DELLE DONNE

Per dire le cose come stanno, da ultimo sento puzza di pinkwashing. Magari sulla scia delle elezioni americane, magari per il disperato desiderio di trovare una narrazione efficace non per l’opposizione reale (che c’è) ma per quella che vuole accreditarsi come unica e che non sa, letteralmente, che pesci prendere. Di fatto, si va in caccia di donne: facce nuove, non coinvolte precedentemente in altre elezioni, e che però potrebbero essere molto spendibili nelle prossime. Purché siano donne.
Facciamo un esempio, ancora, sulle piazze di sabato: e in particolare sull’oscuramento della manifestazione romana. Prendo in prestito le parole, sempre sagge, di Arianna Ciccone:
“A Roma, come a Torino, hanno partecipato migliaia di persone (ne aspettavano 20mila, secondo gli organizzatori sono arrivate 100mila persone. Magari in realtà erano meno diciamo anche solo 30 mila). Migliaia di persone arrivate da tutta Italia in autobus (molti fermati alle porte di Roma dalla polizia per controlli, manifestanti schedati, controllo degli striscioni…).

Una manifestazione pacifica che ha visto sfilare anche tanti lavoratori delle campagne del Sud. Molti neri che protestano anche contro il caporalato al fianco dei loro compagni bianchi. Una manifestazione di protesta contro le conseguenze enormi del decreto sicurezza: che associando sicurezza-migranti ha sigillato definitivamente la deriva culturale (dis)umanitaria dei nostri tempi. Un decreto che prevede una serie di misure “ingiuste”, che renderanno ancora più difficile la vita dei migranti e rischiano di danneggiare una delle esperienze più positive e costruttive in termini di integrazione e accoglienza come quella degli Sprar.
Ad organizzarla tantissime associazioni che sul territorio si danno da fare, attivisti, volontari, persone che lavorano per aiutare altri esseri umani a sopravvivere, a ricevere almeno un “attimo” di dignità.
Ora la copertura mediatica su Roma è stata davvero insignificante, al netto di rarissime eccezioni. Da giorni leggiamo, vediamo approfondimenti, editoriali, commenti, interviste sulle 7 signore che hanno organizzato Torino. Su Roma il nulla. Una manifestazione che aveva un significato politico e culturale dirompente che avrebbe potuto e dovuto essere al centro di discussioni pubbliche per i contenuti, le istanze e i significati che portava con sé completamente trascurata. Resa invisibile”.
E poi c’erano le manifestazioni femministe contro il decreto Pillon. Quante? Lo racconta su Facebook Non Una di Meno:
“presidi, flash mob, assemblee pubbliche tematiche, cortei, iniziative e molto altro ancora a: Alessandria, Bari, Bergamo, Bologna, Brescia, Brindisi, Cagliari, Catania, Crema, Ferrara, Firenze, Genova, Livorno, Lucca, Macerata, Mantova, Massa, Milano, Napoli, Padova, Pavia, Perugia, Pescara, Pisa, Pistoia, Ponente Ligure, Ravenna, Reggio Calabria, Reggio Emilia, Rimini, Roma, Siena, Sud Pontino, Terni, Torino, Trento, Trieste, Venezia, Verona, Vicenza”.

Di quelle non si parla, o si parla pochissimo, perché è piuttosto difficile appropriarsi di una narrazione femminista (come ai tempi di Se Non Ora Quando) dopo non essersi dimostrati, negli anni governativi, molto attenti alla questione.
Si parla, come è noto dunque, della piazza SìTav di Torino. “Anche” perché organizzata da “sette donne”. Ora, sottolineando mille volte il massimo rispetto che nutro verso tutte le persone che hanno spontaneamente partecipato alla  manifestazione, mi limito a constatare che l’appropriazione di quella piazza, qualunque fosse l’intento reale, è evidente e ha mangiato tutti gli altri discorsi, facendo risaltare il fatto che l’unica opposizione sociale possibile è quella di chi ha organizzato e ha sponsorizzato quella piazza.
Il che non è vero.
E qui arriva la parte scomoda: non basta essere donne. Ci vogliono i temi su cui aggregarsi. Che non sono solo quelli strettamente femministi, perché i femminismi, d’abitudine, combattono le disuguaglianze tutte, e sono politici, sempre. Dunque non basta essere donne SìTav per essere opposizione. Perché altrimenti va bene tutto: la Thatcher come modello per bambine ribelli e la sindaca che in questo momento, mentre scrivo, non batte ciglio sullo sgombero del Baobab.
Timeo Danaos et dona ferentis, esatto. E tutti coloro che sotto il cappello “sono donne, dunque sono nel giusto” lavorano per ridarsi una credibilità.

7 pensieri su “TIMEO DANAOS: L'APPROPRIAZIONE DELLE DONNE

  1. Mi scusi, Signora Lipperini, ma il risalto mediatico della SiTav di Torino credo sia stato dovuto alle 30 o 40.000 persone raccolte in piazza Castello. Non mi sembra che le cronache abbiano calcato la mano sul comitato pink, come lei lo chiama, ma sulle istanze alla base di tutto, riassumibili nel desiderio/speranza di non far tornare Torino una città di provincia, nuova capitale della decrescita infelice.
    Che non si tratti dll’Opposizione, ma che, insieme ad altro possa contribuire a costruirla, un’opposizione, poi siamo d’accordo tutti.
    Grazie

    1. Non l’ho chiamato comitato pink, signor Corrado. Mi riferisco al fenomeno che si chiama “pinkwashing” (cerchi su wikipedia, capirà). Non mi sembra che le istanze emerse non solo dalle cronache ma dalle dichiarazioni della promotrici vadano in questa direzione: la direzione è SìTav, e un’opposizione che si qualifica come unica possibile fondata sul Sì al Tav sinceramente ha la vista molto corta. Grazie a lei

  2. Allora, Signora Lipperini, non dica che sente puzza di pinkwashing, altrimenti legittima la mia deduzione.
    SiTav credo sia diventato il cappello sotto il quale si sono ritrovati Olimpiadi No, estensioni metropolitana No, sottopassi viabilità cittadina No. Vogliamo chiamarla anche protesta locale? Facciamolo.
    PS Grazie per l’indicazione di Wikipedia, ma ho potuto farne a meno avendo lavorato per una quarantina di anni in ambiente oncologico.
    Grazie per l’attenzione
    Francesco Corrado

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