TOH, IL CORRIERE

Infatti: sulla terza pagina del Corriere della Sera la polemica sul popolare approda a cinque colonne in un articolo di Cristina Taglietti. E dal momento che il pezzo non e’ on line, e che la sottoscritta ha fin qui sostenuto che bisogna sporcarsi le mani, metto a disposizione la pratica dell’ammanuense tastiera-munita.
“E se. dopo anni di orgogliosa elite, la cultura di sinistra fosse diventata troppo popolare? A gettare il sasso nello stagno della polemica e’ stata la critica Carla Benedetti con un intervento su L’Espresso di qualche settimana fa, poi approfondito e ampliato in rete su Nazione Indiana. Lo ha poi raccolto Loredana Lipperini di Repubblica, ospitando nel suo blog un dibattito che ha coinvolto navigatori e scrittori come Wu Ming e Giuseppe Genna e da li’ e’ approdato sul quotidiano comunista Liberazione con una riflessione dello scrittore Giuseppe Caliceti.
“Genocidio culturale” era il titolo dell’intervento della Bendetti che, partendo dal “caso Faletti” individuava una sorta di “mutazione genetica” in corso della nostra editoria, in grado di trasformare il mercato del libro in una “monocultura del bestseller” che ha spazzato via la vecchia editoria di progetto. Mentre anche fino a pochi anni fa su libri di analoga tiratura, dice la Benedetti, si sarebbero cimentati decine di critici letterari, psicologi, sociologi, ci sarebbero state analisi e discussioni animate, oggi non accade nulla del genere: i thriller di Faletti ricevono un’accoglienza cordiale, senza che nessuno, sinistra compresa, abbia il coraggio o la voglia di affondare il bisturi analitico. “Io non disprezzo affatto ne’ demonizzo i libri popolari – chiarisce la critica – disprezzo pero’ il populismo. La destra ha fatto del populismo la propria bandiera pubblicitaria. La sinistra subisce questa ideologia senza avere il coraggio di chiamare le cose con il loro nome e fare l’analisi di cosa sta succedendo davvero”. E se Giuseppe Genna (fresco autore, con Michele Monina, di una “biografia non autorizzata” di un divo della tv nazional-popolare come Costantino, edita da Marco Tropea) definisce “sconfortante” questa “sociologia di derivazione pallidamente francofortese”, rivelatrice di “un approccio reazionario”, Caliceti sottolinea il fatto che dopo aver giudicato “troppo facili” autori come Tolkien o Stephen King, da decenni l’intellighentsia di sinistra ha sdoganato il genere, forse anche troppo. “Sono stanco – scrive – del ritornello che si sente ripetere oggi su come proprio la narrazione di genere sia la piu’ adatta a raccontare la contemporaneita’ italiana”.
“Forse nessuno ha affondato il bisturi – risponde Faletti, giunto a settecentomila copie con Niente di vero tranne gli occhi (Io uccido ne ha vendute due milioni) – ma sul mio conto sono state dette cose orribili, tipo che l’editore avrebbe pagato i critici. La verita’ e’ che non mi sono mai proposto come un Kafka redivivo o come l’erede di Hemingway, non mi ritengo un intellettuale, ne’ posso considerarmi responsabile della cultura in generale. La carta e la penna sono a disposizione di tutti, ognuno faccia quello che puo’. D’altronde se la nemesi dello scrittore e’ il pubblico, la nemesi del critico e’ l’incapacita’ di influenzare, e dirigere, i gusti del pubblico. Quanto poi alla capacita’ di raccontare il mondo, io credo che autori come Dashiell Hammett o Graham Green abbiano dato molto di piu’ alla cultura di tanti autori contemporanei e di nicchia. E poi, comunque, nessuno pubblica i libri per non venderli”.
Ognuno faccia il suo mestiere, dunque, e’ la difesa di Faletti e forse e’ proprio il mestiere di critico a essere irrimediabilmente in crisi.
“Il fatto e’ che la critica militante non esiste piu’ – dice Giancarlo Ferretti, autore, presso Einaudi, di una Storia dell’editoria letteraria in Italia dal 1945-2003– La sinistra ha delle responsabilita’ in piu’, perche’ quello era il suo terreno, ma e’ il clima generale che e’ cambiato. Non ci sono piu’ gli schieramenti, non c’e’ piu’ la conflittualita’ delle idee, sono scomparsi anche i gruppi, le riviste che negli anni 50 e 60 animavano il dibattito. E’ un impoverimento. Il conflitto, la polemica, un certo rigore in questo campo sono segni di vitalita’”. Insomma, commenta Caliceti,e’ vero, come sostiene Loredana Lipperini, che il popolare non va demonizzato e che la solitudine femminile puo’ essere raccontata dai versi di Silvia Plath ma anche dalle sitcom che dispiacciono a tanti militanti di sinistra, ma “fa bene Benedetti a ricordarci che non si puo’ confondere il popolare con il populistico o un “prodotto culturale di intrattenimento” con un “prodotto culturale di ottundimento”. Come dire: c’e’ differenza tra gli autori del noir e i libri dei comici televisivi, anche se lanciati da Gino&Michele, icone della sinistra di lotta e di divertimento.
“Il problema e’ piu’ generale -spiega Ferretti- e riguarda anche le case editrici. Una volta uno scrittore Einaudi era diverso da un autore Mondadori, oggi non c’e’ differenza. C’e’ una vischiosita’ generalizzata, un nomadismo editoriale che riguarda gli autori ma anche i manager. La connotazione politica di una casa editrice, a parte vari casi, non e’ piu’ un elemento caratterizzante: Calvino era impensabile fuori dall’Einaudi. E’ il segno di debolezza di un’editoria che privilegia il lettore occasionale rispetto a quello forte, che crea personaggi piu’ che scrittori, che mortifica la produzione di lunga durata, di catalogo”.
“Il problema e’ che la critica e’ molto intimidita dai valori di mercato – dice il critico Alfonso Berardinelli – Penso che in generale la Benedetti abbia ragione. Se ha qualche torto, a mio parere, e’ sul tipo di letteratura che lei ritiene di valore. Il vescovo della sinistra che ha sdoganato la cultura di massa e’ stato Eco, il problema e’ che a questo punto bisognerebbe stabilire che esiste una cultura di massa che puo’ essere usata come puro divertimento. Invece e’ avvenuto il contrario: si sono analizzati fenomeni di consumo come se avessero dignita’ di opere letterarie e viceversa. Sotto la letteratura di genere si mette qualunque cosa, anche Delitto e castigo. Detto questo, se vogliamo passare una serata di puro consumo, che ci lascino in pace”.

Mi limito al momento ad una nota: ma secondo Ferretti, che lamentava la fine della conflittualita’ delle idee e di luoghi dove la medesima va ad esplicarsi, questa cosa che lampeggia sui vostri schermi e gli argomenti che qui e altrove vengono discussi da giorni, che caspita sono?
Come la penso io? Se non lo avete capito (dall’articolo si evince a meta’, onestamente), la penso come Sanguineti. Segue altro post faticosamente ammanuense.

56 pensieri su “TOH, IL CORRIERE

  1. Gianni, stile ne ho proprio poco, ho un po’ di volontà. Ecco dovrei dire a me stesso di fermarmi prima del confine perché ovviamente le cose che tu riporti sono passare dalla parte del torto e del ridicolo. Allora su queste mi scuso, anche con me stesso mi scuso.
    Però certe cose che ho scritto, idee, quelle le penso. Quando dico che c’è una retorica nel linguaggio di Roberto Bui, lo penso, se vuoi ti sottolineo i pezzi, ma io la sento molto forte. E questa idea mi si è formata qui, parlando con lui e leggendo i suoi interventi. Sono uno di quelli che quindici mesi fa difese quel pezzo su Nassyria dicendo, Non si è espresso bene ma il fine è dare una spallata alla retorica della tv e dei giornali. Ora la vedo diversamente. Sento che c’è un modo, a mio parere sbagliato, di considerare l’altro un nemico. E questo modo fa perdere di vista dei valori e una certa intelligenza di come vanno le cose e di come raccontarle. Avere un senso di pietà anche per chi è dall’altra parte ti apre una dimensione del racconto diversa. Forse non è un caso che New Thing non è una storia, ma è la Storia che si sente come protagonista del romanzo. Questa sarebbe anche una gran cosa, se non agisse astrattamente, senza personaggi che tu senti “veri”. Per me questa è una mancanza enorme, ed è il motivo per cui continuo a dirmi che New Thing è un buon libro, ma Matrimoni o Kamikaze d’occidente o Primaverile o Canti del caos sono libri non solo buoni ma grandi.
    (madonna, all’una e quarantanove mettersi a scrivere ‘ste cose)

  2. Andrea, il punto è che qui si stava parlando di altro, anche insieme a Bui, e in modo civile. Non si parlava di Nassiryah, non si parlava del linguaggio di Bui, non c’erano beghe personali. Tu invece, già da qualche giorno e senza che capissimo il perché, hai spostato l’attenzione su Bui e su vecchie polemiche che non c’entrano niente, e hai trasformato la discussione in una gara a chi ce l’ha più lungo, però eri l’unico a tirarlo fuori dai pantaloni perché noi tutti volevamo parlare d’altro. Adesso tri scusi e va bene, ma continui a far questo, a parlare di Bui! Se vuoi dire la tua sul linguaggio e la retorica di WuMing, ci sono spazi più adatti, a cominciare dal loro sito.
    Se vuoi parlare di ‘New Thing’, esiste un forum apposito.

  3. Franco, ho parlato di retorica a proposito di una cosa scritta da Bui nel primo post di commento a questo topic(“scrivere tenendo il culo per strada”), quindi non vedo il problema di una deriva della discussione, o se c’è deriva è giustificata.
    Poi un’altra cosa. Se chiedo scusa per espressioni colorite che ho usato, desidererei, Franco, che nemmeno tu le usassi verso di me, se ti è possibile.

  4. combattente contro i combattenti, mi rivolgo a lei: sono stato a leggere i commenti e ho provato a dire quello che pensavo. Mi rendo conto di essere stato importuno. Lei mi parla di nazistelli, di orgoglio che io dovrei avere ecc. Anche da questo si capisce che avevo ragione a parlare di “culo al caldo”. Io non credo in nessuna ideologia. E non credo nemmeno nelle guerre. Ho fatto il mio dovere a suo tempo, e non ne conservo un grande ricordo. La saluto cordialmente, lei è comunque uno che crede in qualcosa, se ha sentito il dovere di intervenire.

  5. Questo dibattito inaugurato dalla Benedetti non fa, a mio parere, che ripetere e rievocare la vecchia disputa (tipica della sinistra) tra letteratura (?) di massa e Letteratura con la L maiuscula. Tra gusti della critica (e dei critici) e gusti del pubblico, ecc.
    E’ certamente vero che oggi tale distinzione, come dice Genna, tende a perdere di significato (e allora perchè dibatterne ancora?). Il problema in effetti è un non problema. Ognuno, secondo me, può leggere quello che più gli aggrada: Faletti o Harry Potter, Kafka o Joyce, Evangelisti o Landsdale, Leonard, ecc.
    Il problema è allora questo: non si tratta tanto di una distinzione
    sul valore letterario quanto della possibilità di garantire a lettori per dir così di nicchia (tra i quali mi metto, pur non didegnando in assoluto il best seller o similia) di continuare a leggere gli autori che rispondono ai loro gusti (non so quanto venda un Wallace, un Lansdale, un Leonard, ma desiderei continuare a leggerli, vale lo stesso per i Wu Ming) e che non si arrivi a un momento in cui si vendano solo i best seller. Credo anche che una certa attenzione ai gusti del pubblico da parte degli autori debba esserci sempre, se no, anche l’autore un po’ di nicchia, non ti viene proprio voglia di leggerlo.
    Infine, dal punto di vista degli autori, ognuno faccia la propria scelta. Se ha le ambizioni e le capacità di fare il genio segua l’esempio dei grandi squatrrinati e scriva la sua Opera. Se invece vuole fare i soldi e ne ha la capacità, faccia pure come Faletti o magari scriva in Inglese e diventi milirdario come la Brown o la Rowling.

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