UN CERTO DISCORSO INTERROTTO SULLE NOSTRE EMOZIONI

La violenza non nasce mai solo dall’essere uomo o donna ma dal rapporto tra generazioni e dallo sviluppo e dalla gestione del potere, così come le persecuzioni che vediamo nel mondo quasi sempre originano dall’ambiente familiare.
Quello di sopra e quelli che troverete qui sono brani di Monica Pepe, che scrisse un non dimenticato articolo per Micromega nelle settimane del metoo. Andrebbe letto, riletto, meditato, e invece mi pare non abbia lasciato molte tracce.
Partiamo da qui. Abbiamo ancora sulla pelle l’orrore di quel che è accaduto in Valsassina, l’assassinio di due bambini da parte del loro padre, che si è suicidato subito dopo. Un gesto di atroce vendetta, perché, da quanto si capisce, non accettava la fine del matrimonio. Come quella di Matias Schepp, che sottrasse le figlie gemelle alla moglie e si uccise, e delle bambine da nove anni non c’è traccia. Come quella di Tullio Brigida, che nel 1994 avvelenò i tre figli per lo stesso motivo. Come tante altre orribili storie che hanno in comune la stessa motivazione. Un uomo che non accetta che una storia finisca.
C’era una grande scommessa che ballava sulla pelle del mondo, quella di essere uomini e donne libere. Ma quando come donne abbiamo finito di dire agli uomini tutto quello che in loro non andava, non abbiamo avuto il coraggio di fare lo stesso con noi, e ci siamo rinchiuse nuovamente nell’ipocrisia e nei sensi di colpa che sono le facce con cui il potere, maschile e femminile, da sempre ci imprigiona e determina il nostro stesso vivere.
Ora, l’imbecillità con cui questa storia è stata trattata da diverse testate giornalistiche è proterva, e si ripete ogni volta, in palese violazione peraltro, come ricordava oggi Vera Gheno, del manifesto del 2017 che indicava le linee guida per raccontare casi simili.  E’ proterva e gravissima, perché da una parte attribuisce una colpa (la separazione) alla madre dei bambini. E dall’altra fomenta  violenza verbale nient’affatto utile: basta leggere i commenti, tantissimi, sul profilo Facebook del padre assassino. Terribili. Non uccidono, certo, ma neppure aiutano tutti noi a capire cosa si potrebbe fare per fermare queste tragedie.
Avevamo una grande occasione. Avremmo potuto sederci attorno a un tavolo, uomini e donne, per ascoltare come eravamo, per vederci con gli occhi dell’altro e per capire fino in fondo chi eravamo. Confrontando dalle rispettive postazioni le nostre miserie e le nostre paure, gli egoismi e gli slanci avremmo scoperto l’altro.
C’è un discorso interrotto, e c’è una battaglia persa (quella sull’educazione sentimentale a scuola). Nel mezzo, crescono ferite, e crescono anche persone con vastissima platea (spesso fragile, come quella degli hikikomori) che allargano quelle ferite, come Marco Crepaldi. E’ giusto piangere, indignarci, pretendere altre narrazioni. Ma quella mancanza, quella difficoltà a capire il punto in cui siamo, dal punto di vista emotivo, resta grave.
A chi serve rappresentare all’infinito la guerra tra uomini e donne se non al potere? Non sarebbe bello piuttosto imparare a prendere l’altro senza invadere e senza sentirsi invasi?
Ogni tanto, mi piacerebbe che si parlasse di questo.

Un pensiero su “UN CERTO DISCORSO INTERROTTO SULLE NOSTRE EMOZIONI

  1. Cara Loredana le tue parole sono sacrosante. A parlare di affettività si dovrebbe partire dalla scuola, senza retorica affrontare temi che riguardano le relazioni tra individui, a tanti livelli. I rapporti di coppia, certo, ma partendo dalla consapevolezza del proprio essere persone e poi del rispetto e della tolleranza, a tutti i livelli.
    Ripetere incontri come quello, bellissimo, sul femminicidio che hai fatto al mio liceo anni fa. Moltiplicare le occasioni e non solo sulla scia degli eventi, ma come pratica educativa permanente.
    Grazie per le tue sempre utili considerazioni. Ada DP

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