Phyllis Schlafly era nata un anno dopo mia madre. Ovviamente mai vite furono più diverse: mia madre non ebbe mai un padre, fu una dei coloni italiani in Libia, finì le scuole medie, torno in Italia, visse a Marino gli anni della guerra e iniziò a diciotto anni a lavorare all’ufficio di statistica, e poi alla Fatme. Pur non essendosi mai dichiarata femminista, mi inculcò da quando ero bambina la necessità di essere indipendente economicamente e lavorativamente. Schlafly ebbe un padre prima venditore di attrezzature industriali e poi disoccupato, una madre insegnante e bibliotecaria che non solo riuscì a mantenere la famiglia ma fece studiare la figlia in una scuola femminile cattolica (la scelta della scuola femminile cattolica è cosa che fece anche mia madre, a ben pensarci). Dopo essersi laureata, Schlafly entrò in politica, a fianco dei repubblicani, e a 44 anni iniziò la sua battaglia contro l’Equal Rights Amendment (ERA) che doveva riconoscere parità di diritti a tutti i cittadini senza distinzioni di sesso, e contro i femminismi. “Non sono contro le donne che lavorano, sono contro il movimento di liberazione delle donne”, disse.
Ma la faccenda non è così semplice. Schlafly ha un suo mondo femminile con cui si confronta, e un mondo con cui si scontra, come ricostruisce benissimo la serie Mrs.America, da guardare e meditare: quello di Betty Friedan e Gloria Steinem, ovviamente, e guardando e pensando ci si rende conto di una cosa molto semplice. Per quanto non si sia dalla parte di Schlafly, si intuisce almeno di quante sfumature sia fatta la strada delle donne, e di quanto ogni semplificazione sia sbagliata. Come sa benissimo Margaret Atwood, quando costruisce le sue villain, Serena Joy e Aunt Lydia.
Ci rifletto per vari motivi, in questi giorni. Qui, per ora, ne espongo soltanto uno: forse non abbiamo ben capito, e non abbastanza detto, che la situazione delle donne, dopo quel che è avvenuto, potrebbe e sta capitombolando indietro. Non saremo esattamente negli anni Cinquanta, però ci sono segni brutti, bruttissimi, che ancora non si esplicitano ma ci sono. Le donne che sono le più colpite dalla perdita del lavoro. I passi indietro sull’aborto (Regione Umbria). Il carico doppio di cura di questi mesi. Le violenze taciute, le richieste di aiuto che non vengono neanche contate. Gli antidepressivi, suppongo (ancora non ho visto studi in proposito, ma se devo basarmi sui dati post-terremoto so che il consumo dei medesimi sale e sale).
Visto che le cose peggioreranno, da questo punto di vista, occorre tornare, ancora una volta, a parlarne: lo so, non faccio altro che ribadirlo, in questi giorni, ma come ho detto più volte sembra che invece l’attenzione comune scivoli via, verso l’estate, la polemica veloce, e verso la dimenticanza. Auguri a noi.
È come se il mondo che si ritiene abbiamo il dovere di preservare sia un mondo in cui l’egemonia maschile non debba essere messa in discussione. Il perturbante femminile portatore di caos vitale va combattuto, anche dalle stesse donne che hanno introiettato un modello che tranquillizza tutti, solo perché consueto, conosciuto e dato per scontato come unico modello rassicurante.
Altrimenti, se dessimo spazio al femminile, si potrebbero manifestare forze fuori controllo.
Mi scuso per fare questi ragionamenti poco lineari e un po’ involuti, ma credo che anche l’inconscio abbia la sua parte in questa nuova campagna (sottaciuta) contro le donne che non si irregimentano.
Purtroppo non so come si possano utilizzare questi pensieri per aiutare la causa della liberazione delle donne e come far capire a coloro che in fondo hanno paura di noi, che noi vogliamo che le persone possano autodeterminare la propria vita e le proprie scelte. Avremmo una società meno infelice e avremmo il contributo di persone che oggi sono invece poco rilevanti.