C’è un hashtag, stamattina, che è in tendenza su Twitter. Questo: #ancheOGGIélaFESTAdellaDONNA.
Dentro c’è un po’ tutto: in primo luogo la resistenza contro il ddl Pillon, che non è stato affatto archiviato, anzi passerà, come ben spiega qui il Post, dalla sede redigente alla sede referente. La discussione in commissione Giustizia è slittata al 7 maggio, ma il decreto là è, e nessuno l’ha ritirato.
Resistenza sacrosanta, dunque, nonostante la mia diffidenza nei confronti degli hashtag come strumento di lotta. Ma quell’hashtag include, o potrebbe includere, molte faccende su cui riflettere.
La prima, la minacciosa transenna di Forza nuova alla libreria delle donne di Bologna: perché i nostri, tra un rastrellamento anti-rom delle periferie e l’altro, non dimenticano di dover lottare contro “il gender”. E usano un grazioso avvertimento:
“Da oggi noi iniziamo la battaglia assieme alla famiglia, il baluardo più forte contro sessualizzazione precoce dei bambini e la pedofilia: dei vostri Libri Gender ne faremo falò!”. Falò come quello dei campi rom, si suppone, e come i falò di libri che non sono soltanto storia passata, purtroppo.
Poi ci sono altre due storie, che fanno parte dell’immaginario e sono ugualmente pericolose, perché l’immaginario è condizionante, come si sa: la fotografia dell’inaugurazione del Salone del Mobile a Milano, tutta al maschile. Seguono scuse di Sala.
Già, le scuse, sempre le scuse. Ragionavo ieri in studio con Raffaello Palumbo Mosca, che ha curato per Quodlibet l’antologia La realtà rappresentata, che raccoglie numerosi contributi critici dal 2000 al 2016 sull’antica questione: il romanzo è ancora la forma principe per conoscere il mondo e conoscersi? La scrivo così, semplice semplice, e ovviamente le risposte sono complesse, e magari una risposta definitiva non ci sarà mai. Colpisce, però, che quei contributi critici del fior fiore della critica italiana citino pochissimo le scrittrici: non mi sono cimentata nel conteggio, ma fra i nomi che più ricorrono (Walter Siti, su tutti), le autrici sono parte davvero minima. Questo, nel giorno in cui le scrittrici dominano (cinque a uno) la shortlist del Booker Prize.
Banalmente, perché vengono lette.
Basta un hashtag? Naturalmente no, niente affatto. Ma non bastano neanche le scuse, se non si comincia a cambiare lo sguardo, com’è noto.