UNA STRADA PER IL SUO NOME

Così, da ieri Graziella, e naturalmente Italo, hanno un pezzo del parco della Rimembranza dedicato a loro, grazie al comune di Sassoferrato. Da otto anni hanno anche due vialetti, via Graziella De Palo e via Italo Toni, a villa Gordiani a Roma. Mi chiedo cosa ne avrebbe pensato, ma naturalmente è una domanda cretina, perché chi ci pensa, specie a vent’anni, ad avere una strada col proprio nome, sapendo che quell’omaggio ti viene attribuito quando sei morto?
Quando si racconta una storia, si procede quasi sempre a caso. Possiamo sapere tutto di quel che dicono le fonti e i testimoni, possiamo ordinare le  parole, distribuirle attentamente in file dedicati, conservarle, verificarle, rivederle. Il caso sta nell’attribuire le emozioni ai protagonisti di quella storia, laddove i protagonisti siano realmente vissuti e infine morti, Dunque, esattamente mentre scrivo “cosa avrebbe pensato Graziella?” procedo a caso. Non abbiamo mai parlato di strade. Lei ha parlato della propria morte, invece, o forse, come tutti, ha provato a esorcizzarla, esattamente come quando si parla di un’operazione, del parto, di un appuntamento a cui il nostro corpo non può sottrarsi, e si aggiunge ridendo “Speriamo di poterlo raccontare”, magari stringendo un mazzo di chiavi, perché ci è stato insegnato a toccare ferro.
Giancarlo De Palo ha raccontato spesso che quando, prima di partire per Beirut, Graziella ricevette il suo passaporto scritto in arabo disse:  “per quanto mi riguarda potrebbe anche esserci scritto: Fateli fuori appena li vedete!”.  E Mavi ha raccontato altrettanto spesso di quel “Stavolta non torniamo” sussurrato in una delle cene di agosto di diciotto anni fa.
Ma non possiamo essere che noi, i rimasti, a interpretare parole che potevano essere un gioco, una scaramanzia, un allontanamento. Non possiamo farli nostri, i pensieri di chi sta per incontrare la morte: Graziella, trentotto anni fa e un giorno. Mia madre, esattamente quattro anni fa.
Possiamo solo fare quel che sappiamo fare, o almeno tentare. Raccontare, appunto, e nel racconto immaginare, e nel racconto, ostinatamente, ricordare.
Passeggio per la città della nostra giovinezza
e cerco una strada per il mio nome.
Le strade ampie, rumorose le lascio ai grandi della storia.
Cosa stavo facendo mentre si faceva la storia?
Semplicemente ti amavo.
Cerco una strada piccola, semplice, quotidiana,
lungo la quale, inosservati dalla gente,
possiamo passeggiare anche dopo la morte.
Non importa se non ha molto verde,
e neanche propri uccelli.
È importante che in essa possano trovare rifugio
sia l’uomo che il cane in fuga dalla battuta di caccia.
Sarebbe bello che fosse lastricata di pietra,
ma tutto sommato questa non è la cosa più importante.
La cosa più importante è
che nella strada con il mio nome
a nessuno capiti mai una disgrazia.
(Izet Sarajlić, 1968)

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