VANESSA

thumb250-700_dettaglio2_vanessa-scialfa-scomparsa-a-ennaVanessa aveva vent’anni, come mia figlia. Aveva un ragazzo, come mia figlia. Ha litigato col suo ragazzo, come tutte le ventenni del mondo. Vanessa è stata strangolata e il suo corpo è stato gettato da un cavalcavia. Vanessa è a pagina venticinque, un trafiletto in basso a sinistra, accanto ai necrologi.  Vanessa è il numero cinquantaquattro per quanto riguarda le donne uccise dall’inizio del 2012.

45 pensieri su “VANESSA

  1. Sì. E bisogna riflettere e lavorare sul concetto di abbandono. Moltissime delle ragazze e donne uccise sono state assassinate per aver lasciato il proprio partner. Qual è la fragilità degli abbandonati, oggi? Perchè annebbia la vista e porta all’omicidio?

  2. Tristeza. Infinita tristezza e pena.
    D’accordo con il tuo commento, Loredana. L’unico rischio nel categorizzare questi atti come femminicidio è proprio nel cristallizare una serie di storie orribili senza indagarne analogie e singolarità. Le icone della Donna e del Mostro non servono a capire, anzi confondono.
    Per quel che riguarda gli “abbandonati”, prima ancora che di “fragilità” parlerei proprio di immaturità psichica. Ma non ho la forza di contunuare questo pensiero.

  3. La tristezza è anche mia, Paolo. Senza voler confondere caso personale (e patologia personale) e generazione, e genere. E’ un fatto che molti giovani uomini non riescano più a sopportare l’abbandono. Credo che occorra lavorare su questo punto.

  4. Non sono omicidi (femminicidi) pianificati, progettati per farla franca.
    Il copione è sempre lo stesso: un gesto brutale, d’impulso o preparato in fretta e male, qualche goffo tentativo di nascondere la verità, a volte una fuga più simbolica che reale, poi il crollo, la confessione, la resa.
    Mi chiedo cosa porti a una situazione così assurda, a togliere la vita alla persona che dici di amare, per poi distruggere anche la tua, di vita. Qual è la molla che all’atto dell’abbandono ti trasforma in un kamikaze?
    Non capisco.

  5. Anch’io ho una figlia, che ha 21 anni, un fidanzato, e che assomiglia a Vanessa. Ho anche un figlio, che di anni ne ha 19 e che tempo fa ha sofferto l’abbandono del suo primo amore. E’ stato importante fare due chiacchere perchè avevo notato rabbia nei confronti delle donne in generale, stabilire che una ragazza ha pienamente il diritto di scegliere con chi stare e che in ballo non c’è l’onore, aiuta a superare un momento difficile, ed ad annullare l’aspetto rabbioso che spesso affiora.

  6. E se tanti media nemmeno citano la notiza, ce ne sono altri che -mi viene da vomitare- indugiano sulle reazioni di panza, sui sentimenti di vendetta secondo cui farsi giustizia da soli, sommariamente, merita quasi una strizzatina d’occhio. (“Datemelo tra le mani che lo ammazzo”, “Non lo devono arrestare, perchè poi ci penserò io, con le mie mani…”) Eh no, adesso basta, ché è troppo comodo lavarsene le mani così, avallando istinti da far west e perpetuando sistemi violenti e machisti. Qui si tratta di urgenza sociale culturale e politica, di educazione al genere che non c’è, di legislazione inadeguata, di discriminazione e disuguaglianza perpetrate. Si tratta di prendere coscienza ed assumersi responsabilità. Bisogna lavorare. Sì è vero Loredana

  7. Claudio, anche io ho un altro figlio di diciotto. Ed è parlando con lui, ieri sera, che mi sono resa conto che per molti coetanei l’abbandono è la prova più difficile da affrontare, oggi.

  8. ”Datemelo tra le mani che lo ammazzo”, “Non lo devono arrestare, perchè poi ci penserò io, con le mie mani…”. Se non sbaglio sono frasi del padre della ragazza..fermo restando che il far west mi piace solo al cinema, mi sembra un desiderio umanamente comprensibile

  9. @Loredana Zanardo
    Ok, diciamo che da oggi entra nel vocabolario il termine “femminicidio”. Vorrei che qualcuno mi spiegasse cosa questo dovrebbe comportare nel quadro giuridico (a mio giudizio già sufficientemente repressivo).Vorrei che qualcuna mi illustrasse come si possa intervenire sulla prevenzione (a mio parere letteralmente un non sense). Vorrei che qualcun’altro mi convincesse che questi numeri rappresentano un problema enorme e quindi una minaccia per la comunità. Detto senza polemica, è come dire che la sindrome di Werner (altrimenti nota come sindrome di Matusalemme, invecchiamento precoce e morte entro i 45 anni) sarebbe un ENORME problema sociale, visto che lamalattia condivide la stessa incidenza degli omicidi con vittima femminile.
    Insomma, vediamo di cambiare canovaccio argomentativo. Pongo una domanda che sapero non irriti in sé: ritenete che insistere sulla enumerazione delle vittime usando questi cerimoniali religiosi da candele e santini sia la via giusta per sensibilizzare il prossimo al problema o ritenete che siano solo riti che cementano i valori della vostra/nostra comunità bloggistiche? E anche qualora il prossimo fosse sensibilizzato alla natura statistica degli omicidi femminili per mano maschile, si è convinti che ciò abbia un qualche nesso con la diminuzione della loro probabilità? Non capisco cosa si intenda per “lavorare su questo punto”. Per me sono frasi vuote ma mi piacerebbe essere sensibilizzato a capire cosa vogliano intendere. Se non riesco a essere convinto io che vi leggo e vi apprezzo, come sperate di sensibilizzarne altri?

  10. @in_mezzo_alla_segale: la stampa e i media parlano sempre di raptus, ma spesso non lo è. spesso c’è un prima e ci sono molti segnali.
    quel che importa, tuttavia è che questi “raptus” accadono sempre nei confronti delle compagne, mogli, ex partner. il problema non è il solo rifiuto. non è il fallimento. forse ha ragione lipperini: è l’abbandono, ma mi vien da dire solo l’abbandono da parte di una compagna. non quello dell’amic*. si dice che i ragazzi non accettino il fallimento, il rifiuto, ma per un brutto voto a scuola ammazzano sè, mica l’insegnante! è preoccupante lo stesso, ma è diverso. e allora mi fa pensare che il problema non sia solo quello del rapporto tra i generi in assoluto (ripeto, mica ammazzano l’amic* che li abbandona o li delude!), ma il legame amoroso, la relazione sentimentale che diventa qualcosa di sbagliato.
    elena

  11. Io mi pongo una domanda: l’immaturità psichica è diffusa anche tra le femmine e l’abbandono è brutto per tutti. Come mai però, i maschi ammazzano l’ex molto più frequentemente di quanto lo facciano le femmine? cosa c’è di diverso nelle teste di alcuni di loro?

  12. @ hommequirit: Il solo fatto di accostare il problema della violenza sulle donne alla sindrome di Matusalemme mi pare inquadri più che bene la faccenda.
    La sindrome di Werner è “una malattia genetica ereditaria rara” (Wikipedia). Dunque, per definizione:
    1) non ci si può fare niente, càpita;
    2) è una grossa sfiga per chi se la piglia, ma è naturale;
    3) è trasmissibile, quindi genererà altri malati;
    4) riguarda pochi, quindi possiamo anche non occuparcene, o perlomeno ci sono questioni più urgenti, se non altro perché coinvolgono un numero maggiore di persone.
    Quindi suvvia, spallucce e torniamo alle cose serie.
    Questa è la visione di molti, ed è esattamente in questo humus che il fenomeno ha le radici.
    Dico la mia, in tono assolutamente neutro per tentare di lasciare fuori le emozioni.
    1) Qualcosa si può e si deve fare.
    2) Non è naturale, è un’aberrazione del comportamento umano.
    3) Non è genetico, è trasmissibile solo per emulazione, o per condivisione sottaciuta di un corredo di disvalori. Dunque la catena di può interrompere.
    4) Non riguarda pochi, riguarda tutti. In primis perché è solo la punta dell’iceberg: per ogni donna uccisa ce ne saranno 100 picchiate e 1000 maltrattate. Secondo, perché nasce da una cultura vasta e antica in cui tutti siamo immersi e se non siamo direttamente vittime o persecutori rischiamo di essere conniventi. Il disinteresse, la sottovalutazione, la rimozione diventano complicità.
    Più che canovaccio argomentativo bisognerebbe cambiare visione della realtà.

  13. L’enumerazione e la celebrazione delle vittime serve a portare a galla il fenomeno, che pare non esistere, o nel migliore dei casi pare essere un non-problema.
    Il fatto che se ne parli poco è esattamente il segnale di pericolo: è talemnte accettato o tollerato che nemmeno lo si vede. Fa così parte della nostra cultura che passa inosservato.
    Basta sedersi in un bar, una domenica pomeriggio, e ascoltare. Due schiaffi per finire una discussione non hanno mai ammazzato nessuno. Se mia moglie mi ha preparato ancora l’insalata gliela tiro in testa. E giù risate. Che siano stralci di vita reale o smargiassate, alla fin dei conti non cambia la sostanza: questa è l’aria che si respira fin da piccoli, e quindi per osmosi la replicheremo.
    Sicuro che non sia un ENORME problema sociale?

  14. Introdurre l’aggravante di reato di discriminazione – femminicidio: ti uccido in quanto donna – procurerebbe un progresso di ordine politico e culturale nella percezione delle donne in Italia e soprattutto presso certi ambienti e contesti, non cambierebbe molto credo in termini di deterrenza verso il reato (ma magari mi sbaglio non so), in ogni caso un po’ non concordo con PaoloS e Loredana : non si ammazza per immaturità psicologica. Mi pare un concetto un po’ blando rispetto a situazioni psicologiche con ogni probabilità molto compromesse. E non sono esattamente convinta per altro che chi ammazza una donna lo fa in quanto donna – seguendo lo stesso meccanismo psicologico dei reati legati a discriminazione – per esempio omofobica o razzista, più che mai se in reato avviene dopo la fine di una relazione. E’ quella donna che si ammazza per la propria grave patologia relazionale, e perchè quella specifica donna è entrata nella relazione. Non è come quando si attacca qualcuno in quanto nero per cui a prescindere dal suo ruolo nella vita di chi attacca, si decide di sapere una serie di cose a proposito di quel nero.
    Io penso che bisogna prendere sul serio naturalmente questa classe di fenomeni, e trovo importante il dibattito in atto e anche le proposte legate al concetto di femminicidio- ma il circuito tra psicopatologia e contestualità sociale che c’è in Italia è diverso assai da quello di paesi in cui la misoginia e il conseguente femminicidio hanno incidenze ben più rilevanti. Chiedo: Quanti centri ci sono che aiutano la psicopatologia maschile emergente? Che lavoro di prevenzione fanno i CIM sul territorio nazionale? Ci sono progetti di Screening sulle psicopatologie maschili in adolescenza nel range dei disturbi di personalità? Non ho dati alla mano, ma per quel che mi pare di sentire in giro tutti i progetti di intervento sono sempre destinati alle donne, o al limite alle famiglie perchè in ballo c’è la salvaguardia di minori esposti a violenza grave o assistita. Ma questo secondo tipo di interventi naturalmente non può essere inteso come forma di prevenzione.

  15. @Lipperini
    “E’ un fatto che molti giovani uomini non riescano più a sopportare l’abbandono.”
    E’ un fatto. Forse si chiede alla coppia quella protezione “ontologica” dall’angoscia dell’esistenza che la coppia non può dare, perchè non è una comunità autosufficiente e immarcescibile. Ma, soprattutto, si continua ad educare il maschio secondo un ordine simbolico (l’uomo custode del nomos e quindi anche esecutore della punizione a chi lo viola) che non corrisponde più al suo effettivo potere sulla relazione.
    Bisogna avere il coraggio di mettere insieme queste due cose. Non è soltanto un maschilismo residuo in gioco, ma una disgregazione dell’essere comunitario e della famiglia che fin dall’inizio il capitalismo ha perseguito sistematicamente, ma che oggi la politica ha smesso di difendere. Il problema è etico, pedagogico e politico. Illudersi che l’inasprimento delle pene o il mutamento del vocabolario possono risolverlo, è come riempire le galere di ladri senza far fronte alle cause della povertà diffusa, che conduce al furto.

  16. Un centro di ascolto e di aiuto per uomini non funzionerebbe. Gli uomini non percepiscono la propria disfunzione in questo campo. Per dieci donne che vanno dallo psicologo portando problemi di relazione, solo un uomo fa altrettanto.
    Molti uomini chiedono consiglio agli amici (uomini, ovvio), o non ne parlano nemmeno. Anche quelli che vorrebbero sinceramente sistemare le cose, si arrabattano da soli. Non sono (non SIAMO) abituati a guardarci dentro, i sentimenti profondi ci fanno paura, apriamo la bocca per parlare e poi la richiudiamo, tenendo per noi i nostri pensieri.

  17. @ Elena: Non so cosa ci sia di diverso, ma le differenze ci sono, senza dubbio. Molto di rado una donna uccide. Le donne stronze o pazze che reagiscono male a un abbandono scelgono altre strade: tormentano l’ex e la nuova compagna, danneggiano proprietà dell’ex, umiliano, mortificano, raccontano bugie a ritroso, rubano… ma non uccidono.
    Certo che anche su questo bisognerebbe fare una ragionata, prima o poi. Un uomo che denunci la ex compagna per stalking viene accolto con grasse risate e viene convinto a lasciar perdere. Un’eventuale ricerca in questo senso darebbe dati molto, molto sottostimati.

  18. In mezzo alla segale – innanzitutto non è così vero e scontato quello che dici. Per una serie di motivi: il primo è che l’area sessuale e relazionale non è l’unica a essere coperta dalla problematica, per cui gli uomini a parlare di se ci vanno eccome – solo denunciano un altro problema, ignorando quanto è facile agganciarsi all’altro in secondo luogo perchè spessissmo queste forme di violenza quando ci sono dei figli implicano la violenza per i figli stessi.
    Infine, un lavoro di screening presso gli adolescenti fatto per esempio nelle scuole, permetterebbe eventualmente di intercettare i genitori e sollecitare i genitori a far fare un intervento ai figli, ma permetterebbe anche a degli operatori di fare un lavoro di sensibilizzazione e assunzione di consapevolezza anche presso gli adolescenti stessi.

  19. @In_mezzo-alla_segale
    Apprezzo il suo argomentato tentativo di replica. Tuttavia lei non ha compreso che la scelta di analogizzare femminicidio e sindrome di Werner era volta soltanto a prendere due fenomeni con medesima incidenze, due “malattie” rare che hanno obbiettivamente numeri risibili e quindi non possono essere definibili ENORMI problemi sociali. Si scelga un altro aggettivo.
    Per quanto concerne i suoi 4 punti: il punto uno è un tentare di tentare, una speranza fine a se stessa. Il punto due afferma ciò che vorrebbe negare: un’aberrazione del comportamento umano è naturale in quanto tutto è natura, non solo ciò che piace a lei e che definisce come una deviazione da un supposto ordine positivo con cui vanno o dovrebebro andare le cose. Nessun sofisma qui. Il punto tre è un interessante caso di apparentemento che non avevo notato senza la sua replica: a quanto lei dice sia la sindrome di Werner che il femminicidio sono trasmissibili e quindi genereranno altri malati. L’aspetto curioso è che lei ritiene di poter interrompere la catena per il secondo più facilmente di quanto consideri ineluttabile farlo con la prima.
    Il quarto punto è la ratifica del suo essere andato a ruota libera: sindrome di Werner e femminicidio hanno la stessa incidenza. Quindi la stessa gravità sociale da un punto di vista delel vittime.

  20. Mi perdoni, Hommequirit, ma non mi trovo d’accordo su alcune sue controargomentazioni.
    Mettiamo pure che l’aberrazione del comportamento umano in questione sia naturale, come è in effetti naturale la sopraffazione del più debole da parte del più forte; che non sia quindi un’aberrazione, ma una manifestazione normale del comportamento animale e, di riflesso, umano. Non mi sembra che per questo si possa rinunciare a correggerla o limitarla, altrimenti sarebbe lecito sopprimere i malati o gli anziani, sfruttare i bambini e così via.
    Per quanto riguarda l’ineluttabilità della trasmissione di una malattia genetica in confronto a una “malattia del comportamento”, dipende quanto riteniamo controllabili e modificabili gli impulsi e le azioni dell’essere umano. Se nasci con un problema genetico non puoi cambiare il tuo dna, ma non possiamo pensare che l’animo umano sia altrettanto immodificabile. A fatica e in modo incompleto, ma stiamo superando il razzismo e lo sfruttamento di donne e bambini, non vedo perchè non si possa sperare di migliorare ancora.

  21. Hommequirit, alla natura credo poco, come credo sappia. Credo alla cultura, invece, e alla storia. E credo che ogni aberrazione possa e debba essere combattuta.
    Mi permetta, invece, una domanda personale, e le chiedo scusa in anticipo proprio per la natura privata della stessa: come mai ogni volta che si parla di femminicidio lei, che è persona di notevole intelligenza, scatta? Quali corde va a toccare in lei questo argomento? Libero di non rispondermi, naturalmente.

  22. Le pene d’amore hanno attraversato le generazioni, ma per chi come me ha frequentato donne cresciute a pane e “io sono mia”, l’idea che l’amata ti potesse abbandonare era insita nel rapporto. Per anni mi riferivo a mia moglie chiamandola la signora, perché le leggevo in faccia cosa pensava se dicevo mia moglie…

  23. @hommequirit: la prevalenza di quel morbo, secondo Wikipedia, è di un _ammalato_ su 150.000-500.000 persone. Quindi circa 100-400 persone _ammalate_ in tutta Italia. Non 100-400 persone che muoiono ogni anno.
    Le donne non si “ammalano” di femminicidio, ma se bisogna proprio fare questo paragone ripugnante, allora chi dobbiamo contare come ammalate? Tutte le donne che hanno subito una violenza fisica da parte di un uomo? Solo quelle che l’hanno subito da parte del partner/ex? Solo quelle ferite abbastanza gravemente per finire al pronto soccorso?
    In ogni caso, altro che una su 150,000.

  24. @hommequirit al di là dei soliti trattati di antro-socio-psicologia inneggianti “alla naturalità della natura umana” (istinti compresi) io mi chiedo, visto che non approva il nostro approccio al problema, quale potrebbe essere per lei una via da seguire per trovare una soluzione, per formulare delle ipotesi, per cercare di capire. Visto che l’argomento le interessa faccia una sua proposta.
    Non le piace il termine femminicidio? Ne trovi uno che le possa sembrare più “naturale”. A meno che l’unico messaggio che le interessa condividere è che dobbiamo ritenere 54 donne uccise come un comportamento naturale, come il semplice svelarsi della natura umana. Se è questo ciò che pensa credo sia più onesto dichiararlo apertamente altrimenti leggendo i suoi interventi non si capisce davvero cosa voglia dire e come essi possano arricchire lo scambio o condividere.
    In questo caso specifico condividere la tristezza, il dolore e anche la rabbia. Tutto il resto…sciacallaggio.

  25. seguendo il filo del discorso di Zauberei che va alla radice, a Firenze c’è il Centro Ascolto Uomini Maltrattanti, che mette online materiali di auto-aiuto come questo:
    http://www.centrouominimaltrattanti.org/immagini/pdf/selfhelp_booklet_Layout%201.pdf
    il punto è: chi aiuta i soggetti a rischio a rivolgersi a questi strumenti?
    come (grazie a cosa, a chi) può il malato ammettere di essere malato, soprattutto in un sistema culturale che fa da sponda a certi sintomi (cfr. movente passionale et similia)?
    è un sistema di scatole cinesi…

  26. d’accordissimo sul fatto che, oltre all’immaturità ci debbno essere anche delle situazioni psicologiche compromesse. Ma penso che chi ammazza la persona che lo lascia abbia elaborato un po’ poco tutta una serie di questioni intorno all’identità personale – per questo parlavo di immatuità psichica; certo che la patologia interviene, eccome.
    Altro punto: prima di capire cosa significa l’abbandono, dobbiamo capire cosa significa (meglio, in quale costellazione di significati si configura) la relazione; l’abbandono che deriva dalla rottura della coppia e la relazione di coppia in particolare. Mi sembra chiaro che arrivare all’omicidio della persona verso cui si prova tanta dipendenza significa aver fatto investimenti psichici abbastanza squilibrati intorno al discorso me/altro…

  27. @laura a. esatto, ma anche chi aiuta le giovani donne a riconoscere e a rifiutare certi atteggiamenti dei loro compagni? quanti campanelli d’allarme rimangono incompresi o inascoltati fino a quando è troppo tardi? quanto conformismo, paura e vergogna bisognerà abbattere?

  28. certo Laura, ma mi sembra che di quello si sia almeno iniziato a parlarne.
    Credo sia vitale (non trovo altro termine) arrivare all’origine di certi gesti, ferma restando l’importanza di tutte le altre azioni di sensibilizzazione e di lavoro sul contesto culturale.

  29. A diciannove anni ho lasciato un ragazzo dopo una storia importante. Mi fa venire i brividi il ricordo delle raccomandazioni di mia madre: non uscire da sola con lui, non andare in luoghi isolati, sai, si legge così spesso di ragazze ammazzate perché volevano lasciare un uomo.
    “Ragazze – donne – ammazzate perché volevano lasciare un uomo”. E’ questione complessa, io credo che la componente di genere c’entri molto (senza essere ovviamente l’unica, ci mancherebbe), che c’entri molto una cultura che fa dire – come il mio ex disse a mia madre: “lei non mi può lasciare”. E troppo spesso lo fa tradurre in assassinio di una donna.
    Mia madre aveva percepito qualcosa, riaffiora solo ora il ricordo di quanto era preoccupata. Qualcosa in una persona peraltro sempre molto equilibrata. Poi è andata bene, ma forse alla luce di quel che so oggi, allora mi sarei preoccupata di più anch’io, ripensando alle lettere, a quel che mi raccontavano e riferivano gli amici comuni.
    Segnalo un link sul ruolo dei media, perché oggi il Corriere.it mi ha fatta, per l’ennesima volta, indignare. O niente notizie, o sensazionalismo giustificativo, davvero ora di finirla. E sì, di pensare a interventi seri di aiuto e prevenzione in campo maschile. http://www.mujeresenred.net/IMG/pdf/transformando_las_noticias.pdf

  30. @Lipperini
    Oddio, se è per questo scatto anche quando qualcuno mi dice che sono notevolmente intelligente. Restando al tema, e volendo ripondere alla domanda che mi pone, le dico subito che scatto per un’infinità di cose diverse unite dal comune denominatore dell’essere a mio giudizio inconsistenti. Ma poiché parla di domanda personale, suppongo che ci sia da parte sua l’ipotesi di un mio livore biografico verso il tema in sé.
    Nello specifico sono etero, non ho nessun divorzio alle spalle, né alcun figlio, non ho denunce di stalking a carico, né stupri, né mobbing, non sono vittima di donne che hanno scavalcato la mia carriera. Sono sempre stato circondato da donne in famiglia e non sono uno sfortunato solitario consumatore di surrogati amorosi. Proprio perché amo il genere femminile, e appartengo al maschile, mi devo abituare dolorosamente ad accettare una quota di follia e di violenza nel genere XY della mia specie che per quanto vada costantemente diminuendo nelle epoche storiche non sarà mai del tutto ineliminabile. Lungi con questo concedere licenze o attenuanti a chi vi indulge, sia sottolineato.
    Chiarito queste indiscrete confessioni personali, vorrei spiegare a lei e tutte le persone sensibili al tema, che considero in perfetta buonafede e animate da ammirevoli desideri di risoluzione del femminicidio, dove a mio parere occorrerebbe davvero lavorare. Poiché dietro ciascuna di queste violenze c’è una relazione bacata, vogliendo per ovvie ragioni togliere il raptus dalle cause di morte evitabili per mezzo di un lavoro di prevenzione di stampo culturale (qualunque cosa voglia dire), l’unico aspetto che pemetta di evitare una quota di femminicidi consiste nell’insegnare alle donne a scegliersi i partner, individuando per tempo i potenziali tratti pericolosi e ancor prima di denunciare alle autorità, chiudere. Mi pare invece che le retoriche presentate tendano a polarizzare la vittima e il carnefice come se questa dualità non comportasse che responsabilità maschili. Naturalmente non si tratta di trovare alcuna colpa nella donna potenziale vittima ma solo comprendere che la sola persona che può dire la parola fine a una scelta relazionale che comunque la vede e l’ha vista coinvolta è lei. Credere di poter redimere un violento (e diminuirne il numero collettivo) solo attraverso un’educazione culturale al rispetto di genere non porterà alcun risultato perché coloro che uccidono o violentano non sono identificabili a priori ma solo a posteriori di un crimine commesso – e qui è la psicoterapia che entra in gioco per fare miracoli, ma sempre a livello individuale, su un soggetto che si è già manifestato come tale attraverso un reato commesso. Perciò rivolgo ora io una domanda a lei: al di là dell’abnegazione e della lotta con cui si accalora sul tema, è sicura che la strategia abbia ben chiaro cosa fare e cosa aspettarsi in termini di successo o insuccesso? Non voglio assolutamente credere che sia solo una passione per il movimentismo, una vocazione da agit-prop, una catarsi da esorcismo collettivo.

  31. ps
    Ho scritto un paio di refusi per impossibilità di controllare il testo ma sono certo che capirete quali sono e saprete applichere un principio di carità interpretativa per il sottoscritto.

  32. Hommequirit, forse mi sono spiegata male: non era una domanda inquisitoria né pretendevo che lei mi raccontasse le sue esperienze. Era una curiosità sincera, perché ho notato che quello del femminicidio è il suo “punto di reazione”.
    Rispondo per me. Non voglio redimere violenti, non voglio redimere nessuno anzi. Credo, però, che ci siano reati che nascano da un contesto sociale. Dove, certo, si innesta il gesto personale (e non sono sicura che sia sempre e comunque patologico). Credo che tutti, donne e uomini, soffriamo di una sindrome da abbandono (da cosa? da chi? Mi piacerebbe avere la risposta). Ma credo anche che il fatto che molti uomini uccidano per questa sindrome, e che molti giovani uomini pensino (e grazie al cielo pensino soltanto) “se mi lascia l’ammazzo”, sia qualcosa che deve far pensare, e qualcosa per cui vale la pena lottare, perché non avvenga più. Quanto al successo, so di deluderla, ma non è mai rientrato nei miei pensieri: penso che le battaglie vadano combattute anche quando il rischio di perderle è altissimo. Buona serata.

  33. @Lipperini
    La disturbo ulteriormente per otrnare al punto di partenza. In termini statistici ritiene davvero che il numero di una donna uccisa ogni 150000 sia diminuibile? Non vale dire che ogni femminicidio è inaccettabile anche perché altrimenti ci si sta muovendo nel campo della retorica, non in quello della realtà. Concordo con lei che ciascuno di noi partecipi e patisca la sindrome dell’abbandono. Il punto è che quelli che arrivano ad ammazzare, escluso il raptus, che può interessare potenzialmente chiunque, hanno dei profili psischiatrici che un bravo psicologo riconoscerebbe in anticipo. Ora, io sono del parere che questi profili abbiano un’incidenza misurabile e che non siano sensibili a cultura, così come il fatto che una persona su cento sia schizofrenica non dipende certo da quali scuole abbia frequentato o a quali letture si sia abbeverato. È un fatto con cui convivere. La diminuzione nel tempo del femmincidio (e più in generale della violenza di genere) nel nostro peraltro violento sistema di valori occidentali non è assolutamente da imputare a uan maggiore sensibilità. Magari lo fosse. Questo è un grosso abbaglio. È solo la presenza di infiniti surrogati (dal porno, alla prostituzione che in sostanza e non in forma è legale ovunque) e altrettanti sedativi (dalla tv alla farmacologia, etc.) che permette agli impulsi violenti della specie (che fanno parte di noi nonostante lei si ostini a negare che la biologia abbia voce in capitolo negli atti che compiamo come specie e come individui) diessere gestibili e incanalabili in modo da sfogarsi nell’innocuità.

  34. Hommequirit, quindi, secondo lei, la cultura può essere utile ad insegnare ad una donna a scegliersi il partner, ma non può insegnare ad un uomo l’autodeterminazione della stessa.
    Insomma sono le donne a dover cambiare.
    Peraltro, quella che noi chiamiamo “cultura” non è “scuole”o “libri”, è l’ambiente in cui viene cresciuta una persona, le ferite e le idiosincrasie e i poteri sottaciuti che si portano dietro quelli che stanno intorno a un bambino (tv compresa) mooolto prima di scuola e libri.
    Secondo me è proprio la pornografia, la prostituzione ecc che scatenano la possessione maschile della donna. Ci rifletta. Quando uno va con una prostituta, paga per avere quell’oretta di potere assoluto sul corpo di un’altra/un altro, durante quel rapporto, il compratore non dovrà preoccuparsi dei bisogni e del piacere del corpo che ha acquistato. Sono proprio gli uomini cresciuti guardando donne alla televisione che una volta usciti di casa fanno fatica a comprendere che quella lì che cammina davanti a loro in minigonna non è una che si è messa in televisione per loro, quella è una con una propria vita. Pornografia e prostituzione non sono sfogatoi, anzi: sono proprio le micce che accendono e nutrono il fuoco del sessismo.

  35. PS scusate, ci sono ricascata co sta minigonna. No guarda, anche quelle meno svestite si beccano le molestie, prove alla mano.

  36. Secondo me, tanto per cominciare, bisognerebbe sensibilizzare donne e ragazze soprattutto a fare una selezione nelle scelte. Cosa si poteva aspettare Vanessa da un ragazzo drogato? Le donne in genere sono attratte dall’idea di poter salvare qualcuno, si sentono forti e pensano che nulla le fermerà…… Le nostre figlie prendono come una sfida i nostri consigli sulle persone da frequentare e si accaniscono, a volte, a mostrarci il peggio delle loro amicizie. Ma dove abbiamo sbagliato? Eppure abbiamo parlato con loro fino allo sfinimento comune; qualcosa sarà pure rimasto loro! Invece di evitare soggetti con problemi ne vengono attratte, non si rendono conto che l’alone di allegria, spensieratezza e forza “maschia” di cui questi soggetti sono circondati è dovuta, spesso, dalla mancanza di una responsabilità e rispetto per loro stessi e quindi, maggiormente , per gli altri.
    RAGAZZE!, cominciate ad allontanare o ad allontanarvi da persone che non vi convincono invece di andare a scoprire cosa c’è sotto; cominciate a selezionare le amicizie, anche se questo non vi potrà proteggere da follie imprevedibili, almeno provate ad evitare ciò che sembra scontato.
    Soprattutto abbiate rispetto per voi stesse e pretendete lo stesso rispetto dagli altri

  37. L’uomo che ride (ma sarebbe ora che iniziasse a trovare uno spunto efficace per ridere di sé), come una ballerina di pole dance, si avvinghia troppo spesso all’argomento della statistica: è un totem. Lipperini ha cercato anche di snidarne i tabù, accontentandosi alla fine di stabilire che una diversa visione li divide: ritengo che la nostra cara ospite abbia perso un’occasione (nei confronti di Hqr e di tutti quelli che nascondo la loro povertà di proposta dietro argomentazioni capziose), per dire chiaro che non basta una mente brillante per raggiungere un piano di credibilità, ci vuole anche la volontà.

  38. Penso che oggi le donne facciano paura agli uomini.
    Oggi le donne sono diventate indipendenti, sono forti.
    Sono sempre state forti, ma oggi sono piu’ forti, e gli uomini iniziano ad averne la consapevolezza.
    E qual è l’unico modo per prevaricare un altro essere che ci fa paura?
    Una donna utilizzerebbe il dialogo.
    Un uomo utilizza la forza.
    Ecco perche’ oggi le donne vengono uccise.

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