Molto velocemente, ma a tempo debito riassumerò le riflessioni che vengono dal pasticcio Buchmesse, oggi mi limito a postare la mia recensione a You Like It Darker di Stephen King, apparsa su TuttoLibri due settimane fa.
Diversi anni fa, uno degli studiosi più raffinati del genere come Antonio Caronia, sosteneva che i generi letterari stessi fossero ormai obsoleti. Aveva ragione, perché tutto oggi si miscela, il realismo con il fantastico, il romanzo storico con l’autofiction. C’è però un genere che sembra permeare ogni scrittura, ed è il giallo. C’è sempre un problema di risolvere, un crimine cui riparare, un enigma da sciogliere. Anche nell’horror: tant’è vero che sempre più spesso un maestro come Stephen King vi fa ricorso. Avviene anche nell’ultima raccolta di racconti di King, You Like It Darker-Salto nel buio (traduzione di Luca Briasco, Sperling&Kupfer), che però riserva molte sorprese.
Intanto, ritroviamo Vic Trenton. Circa a metà del libro, appare quello che fu il padre del piccolo Tad, morto di caldo e di terrore in una vecchia Pinto guasta accanto a sua madre, mentre un San Bernardo impazzito li circonda. Il Vic Trenton di Cujo si trova nel 2020 a Rattlesnake Key, Florida (da cui, ma guarda, si può vedere quel che rimane di Duma Key, e chi ha letto l’omonimo romanzo sa perché l’isolotto è abbandonato): ha 72 anni e si è rifugiato nella casa del vecchio collega pubblicitario Greg Ackerman per sfuggire alla pandemia, e ai suoi fantasmi. Ma se è vero che ogni storia è una storia di fantasmi, quelle di King lo sono doppiamente: dunque, Vic incontrerà una coetanea che spinge un passeggino a due posti che contiene due magliette di colore diverso per distinguere i gemelli. Ma i bambini sono morti nel 1982, due anni dopo Tad Trenton, morsi da centinaia di serpenti a sonagli.
Ci sono molti riferimenti al passato, in questa raccolta: non così esplicitamente come in Serpenti a sonagli, ma temi e presenze si intrecciano con le storie di ieri. Leggendo Laurie, sempre ambientato a Rattlesnake Key, scopriamo che un cane può diventare la ragione di vita di un vedovo: ma era accaduto qualcosa di molto simile nell’apocalittico Tuono estivo, che apparve ne Il Bazar dei Brutti Sogni. Qui, però, ci sono gli alligatori a complicare le cose. Inoltre. Ne L’uomo delle risposte Phil Parker si imbatte in un curioso ometto seduto davanti a un tavolino sotto un ombrellone rosso. “25 dollari per 5 minuti” dice il cartello, e aggiunge “Le prime due risposte gratis”. Le risposte ci sono davvero, e riguardano il futuro, e non sempre chiedere è un bene, come Phil avrà modo di scoprire. La cornice ricorda molto da vicino La giusta estensione, in Notte buia niente stelle: ma in questo caso si tratta di un’anticipazione, perché, come racconta King nella postfazione, ha cominciato a scriverlo a trent’anni. “L’ho finito a settantacinque. Mentre ci lavoravo, ho avuto la stranissima sensazione di urlare in un canyon del tempo e ascoltare l’eco che ritornava”. Ancora. Lungo Slide Inn Road parla di una scorciatoia: King ha un’amabile ossessione per le scorciatoie, che quasi sempre fanno finire nei guai chi le imbocca, dalle sventurate coppie de I figli del grano e di E hanno una band dell’altro mondo alla piccola scrittrice di Maxicamionista (poi c’è una donna che diventa una dea grazie a una scorciatoia, in La scorciatoia della signora Todd, ma questa è un’altra storia). In questo caso il sovrannaturale non c’entra, si parla semplicemente di una vecchia strada che Donald Brown fa percorrere al figlio, alla nuora e ai nipotini per arrivare a casa della sorella, ma naturalmente c’è sempre un inciampo che li costringe a fermarsi davanti alle rovine di un vecchio albergo, e del resto si tace.
Appunto, non tutto è horror nella raccolta, ma questo non andrebbe neanche più sottolineato, perché in questa fase della carriera letteraria di Stephen King bisognerebbe aver capito che l’horror è una delle componenti della sua scrittura, ma non l’unica. Il quinto passo, che pure contiene una delle tematiche care a King, l’alcolismo e la frequentazione degli Alcolisti anonimi, è un incontro fatale, ma non impossibile. Due bastardi di talento, che apre la raccolta e che racconta il mistero di una coppia di vecchi amici di successo, ha semmai un debito con la fantascienza. Finn è un kafkiano scambio di persona, Lo schermo rosso si muove sul crinale della follia (ma forse no), Willy lo Strambo e L’esperto di turbolenze sono due vecchie conoscenze già note ai fedeli lettori kinghiani.
Poi, ci sono i sogni.
L’incubo di Danny Coughlin è l’altro racconto lungo della raccolta: nasce davvero dall’incubo del custode di una scuola, che sognando scopre che nel terreno di una vecchia stazione di servizio è sepolto il corpo di una donna. Ma decide di andare a controllare, e scopre che è vero, ma sarà lui a finire in un incubo. “Cosa succederebbe”, scrive King, “se un uomo avesse un unico flash psichico? Un sogno che gli mostrasse dov’è sepolto un corpo? Gli crederebbero o penserebbero che sia lui l’assassino?”. I sognatori, infine, è una gemma sulla vecchia questione del fantastico: cosa succede quando una porta che deve rimanere chiusa inizia ad aprirsi, per colpa tua? Altro non si dice, se non che in controluce si intravede l’omaggio a Lovecraft e, a chiusura del libro, a quella che King considera la sua maestra, Shirley Jackson, e alla sua Hill House insana perché non sogna: “Il sonno della ragione genera mostri. Ho sempre pensato che questo tipo di sonno, e questi mostri, siano una componente necessaria della sanità mentale”. E’ vero, ed è vero che abbiamo disperatamente bisogno di storie così.