221. STORIE DAI BORGHI. FARE UN RIPASSO. COME SONO STATE COSTRUITE LE CASETTE.

Mi scrive Daniel Taddei, segretario generale CGIL Macerata. Mi scrive questo:”Dopo la scossa di questa notte si è verificato quello che da mesi stiamo denunciando, le irregolarità non riguardano solo i lavoratori ma si ripercuotono nelle opere stesse e nella collettività”.
Già, i lavoratori delle casette. Per rinfrescare la memoria a tutti, ripubblico qui tre articoli dello scorso gennaio. Così, forse, si comprende meglio quel che avviene, e la si smette di cianciare di terremotati che piagnucolano e non si rimboccano le maniche e, oh certo, sottraggono qualcosa ai poveri italiani, ai poveri italiani che si sentono sempre defraudati da tutti. Anche da chi si è visto sbriciolare la casa.
6 gennaio,  Il Manifesto Mario Di Vito
«Infortuni non denunciati, ore lavorate e operai non dichiarati, persone non retribuite, condizioni disumane, forte sospetto di caporalato e infiltrazioni mafiose». Di questo parla diffusamente la Cgil maceratese, che ha partorito prima di Natale un corposo dossier, finito anche nelle mani del procuratore capo Giovanni Giorgio, che ha aperto un fascicolo d’indagine.
«La tutela dei diritti dei lavoratori rispetto a ogni forma di sfruttamento e di sopruso – ha detto ai cronisti, annunciando qualche settimana fa l’inizio ufficiale dell’inchiesta – costituisce una delle finalità essenziali del mio ufficio». Dagli uffici giudiziari, comunque, informano che polizia, guardia di finanza e carabinieri sono da tempo al lavoro sui cantieri edili sorti dopo il terremoto. Di riscontri investigativi, comunque, ancora non se ne parla, e non si sa quali sviluppi potrà avere la vicenda, da questo punto di vista.
«La giungla delle Sae», come l’ha definita la Cgil, è un insieme di situazioni ai limiti: dall’infortunio non dichiarato di un lavoratore fantasma, rumeno, senza stipendio e al lavoro senza nemmeno la visita medica, fino all’italiano pagato solo con acconti, senza busta paga. Due situazioni verificate personalmente dai sindacalisti, che periodicamente vanno in visita nei luoghi di lavoro all’interno del cratere del terremoto.
Ma le «storie agghiaccianti» che arrivano dai cantieri sono tantissime: «Su uno spaccato di settanta dipendenti dichiarati dal consorzio Gips – riporta Massimo De Luca, segretario provinciale della Cgil –, nel mese di ottobre 68 risultano essere manovali al primo livello, cioè potrebbero semplicemente portare il secchio con la calce. Riusciamo così a costruire casette fatte per bene?». La risposta, a giudicare dai tanti guasti registrati un po’ ovunque, sembrerebbe essere negativa. Ancora De Luca: «Nei cantieri, inoltre, lavorano il doppio degli operai dichiarati ufficialmente. Abbiamo iscritti al sindacato che lavorano nei cantieri e che non risultano da nessuna parte. Così come abbiamo operai che non risultano al Centro per l’impiego di Macerata, e non si sa cosa hanno firmato, pur avendo il tesserino della ditta».
Forti sospetti anche sul sistema di reclutamento dei lavoratori. Il sindacato sostiene che molti vengano direttamente dalla Romania. «Ci hanno detto – è ancora De Luca a parlare – che arrivino con la promessa di guadagnare 50 euro al giorno. Soldi che una volta arrivati in Italia diventano molti meno o non vengono proprio dati. Un meccanismo che fa sospettare un caso di caporalato».
E ancora: turni da 14 ore, sette giorni su sette, senza accordi sindacali di alcun genere. L’origine della situazione è da cercare nei clamorosi ribassi delle gare di affido dei lavori, in alcuni casi arrivati anche al 40%. Inevitabile che poi le aziende vadano a tagliare i costi della produzione, cioè sui lavoratori.
8 gennaio, La Repubblica, Giuliano Foschini e Fabio Tonacci
Nel cantiere di Stato più grande d’Italia stanno calpestando i diritti, facendo lavorare ditte prive del certificato antimafia e operai senza contratto né professionalità, trattati dai caporali come schiavi. E infatti le casette antisismiche che stanno costruendo già cadono a pezzi.
È l’ultimo scandalo di una ricostruzione post terremoto che a distanza di sedici mesi dalla scossa del 24 agosto ancora non parte, soffocata da tonnellate di macerie non rimosse e dalla lentezza della macchina burocratica.
L’Autorità Anticorruzione di Raffaele Cantone e due procure, Perugia e Macerata, hanno aperto indagini sulla realizzazione delle Sae, i moduli abitativi che sono l’unica speranza per gli sfollati di tornare in tempi brevi a vivere nei loro paesi. Nonostante il mega appalto unico Consip dovesse garantire qualità, legalità e trasparenza, la gestione fa acqua da tutte le parti.
La prima ad annusare che qualcosa puzza nella frenetica corsa alla consegna (in ritardo) delle casette è stata l’Anac. Il 22 agosto scorso Cantone ha inviato i finanzieri del Nucleo anticorruzione in due cantieri di Norcia, ad Ancarano e a Campi, per controllare chi stesse lavorando e come. Le anomalie sono venute subito a galla.
Sul posto c’erano aziende del cui coinvolgimento le autorità niente sapevano, perché non avevano presentato la notifica preliminare di subappalto, cioè il documento che ne permette la tracciabilità.
Ad Ancarano la Essegi Linoleum stendeva la pavimentazione delle casette, e non figurava; la Extra srl montava arredi e mobili, e non figurava; la Autotrasporti Martinelli trasportava infissi, e non figurava. A Campi lavoravano le “invisibili” Società Edilizia Campoluongo di San Cipriano d’Aversa, la Decoop, la Calcestruzzi Cipiccia, la Passeri.
Nomi finiti nell’informativa che l’Anac ha girato alla procura di Perugia per approfondimenti. Ma a quale titolo quelle ditte erano lì? Davanti ai finanzieri, i responsabili hanno risposto di essere “personale distaccato”: alcuni presso l’impresa esecutrice Kineo, altri presso le subappaltatrici di quest’ultima.
Come se ciò bastasse a giustificare il fatto che a Campi e Ancarano non ci fosse neanche un operaio della Kineo Energy Facility, la consorziata alla quale il consorzio Cns (vincitore della gara Consip) ha affidato la realizzazione delle casette in Umbria. Non solo. A una successiva verifica, gli inquirenti hanno scoperto che la metà dei manovali non aveva un rapporto lavorativo con la ditta a cui dichiaravano di appartenere.
Erano fantasmi, quindi. Mandati da chissà chi. Abusivi.
Pare di vedere un film già visto, intitolato “Dirty job”: si chiama così l’operazione della Guardia di finanza che all’Aquila ha portato all’arresto di sette imprenditori accusati di prendere maestranze a basso costo dai Casalesi. Può accadere di nuovo e vediamo perché.
Nel Maceratese, dove ci sono 72 cantieri Sae aperti, la Cgil ha scoperto che gli operai impiegati a Visso e Ussita sono in gran parte romeni, reclutati attraverso il caporalato direttamente in Romania: senza tutele, sottopagati (alcuni anche meno di 500 euro al mese), sottoposti a turni di 12 ore al giorno sette giorni su sette. Il contratto che hanno in tasca è un fogliaccio scritto a penna, con una foto scattata col cellulare e incollata. A denunciare tutto è stato un romeno che all’inizio di dicembre si è distorto una caviglia mentre montava un pannello. Per nove ore l’hanno tenuto nascosto in cantiere senza fare niente e solo grazie all’intervento di un funzionario della Cgil è arrivato in ospedale.
Il compito di fornire le casette nelle Marche è del Consorzio stabile Arcale, secondo classificato nell’appalto Consip e finito sui giornali nei mesi scorsi perché ritenuto vicino a Renzi: tra i soci c’è la Sistem Costruzioni il cui amministratore è un renziano della prima ora, e di Arcale in qualche modo si interessò, come dimostrano le intercettazioni dell’inchiesta Consip, anche il presidente della Fondazione Open che fa capo al segretario del Pd.
Arcale si serve di molti subappaltatori per costruire le casette antisismiche, tra cui il Consorzio Gips di Trento. La ditta dell’operaio romeno che per primo ha parlato, scoperchiando il pentolone dello sfruttamento e incoraggiando altri lavoratori a ribellarsi, è la Europa Srl, e fa parte appunto del Gips.
Ma tra i subappaltatori dichiarati di Arcale figura anche la InTech di Roma. Il 20 novembre scorso la InTech ha registrato un “contratto di rete”, cioè una scrittura privata con altre undici ditte fornitrici che possono lavorare nei cantieri Sae.
Nelle visure camerali il loro nome non appare, figurano solo col codice fiscale. «Due di esse non risultano iscritte all’anagrafe nazionale antimafia», spiega Daniel Taddei, segretario maceratese della Cgil, autore di un dossier realizzato insieme alla Fillea ed acquisito dai magistrati.
Altre due ditte fuori dalle white list antimafia sono spuntate in un altro contratto di rete. «Queste scritture tra privati dovrebbero essere l’eccezione, perché rendono difficile il monitoraggio del denaro pubblico, e invece sono diventate la regola. Cosa può succedere quando partirà la vera ricostruzione e nelle Marche si apriranno 50mila cantieri?».
È una domanda a cui nessuno sa rispondere. L’impiego di manodopera poco qualificata pare essere la causa dei disagi segnalati da alcune famiglie. I sindaci girano nei nuovi villaggi Sae fotografando tubi che sporgono dai muri, boiler dell’acqua congelati e fili elettrici negli scarichi dell’acqua (Visso), oppure moduli allagati, sporchi e con impianti malfunzionanti ancor prima di essere abitati (Sarnano).
«Il villaggio di Cesare Battisti 2 è stata l’ultima presa in giro», racconta Giuliano Pazzaglini, primo cittadino di Visso. «Doveva essere pronto per il 24 dicembre, poi il 28, poi il 2 gennaio: ma si continua a rinviare. Scriverò alla Protezione civile e alla Regione perché con questa farsa non voglio più avere a che fare».
Di casette antisismiche in tutto il cratere ne hanno consegnate ai sindaci 2.149, ne mancano ancora 1.513.
Avrebbero dovuto essere fatte prima, e meglio. Il sistema pareva blindato: un bando di gara Consip da 1,1 miliardi di euro per casette da mettere a disposizione della Protezione Civile, i primi tre classificati (Cns, Consorzio Arcale e una Rti guidata da Modulcasa) a dividersi l’onere della fornitura. La pletora di subappalti e contratti di rete stipulati dopo dimostra in realtà che chi ha vinto il bando non poteva realizzarle senza affidarsi a soggetti esterni. Con il risultato che adesso non sappiamo più chi sta montando pareti in cartongesso, caldaie e impianti elettrici nei cantieri del terremoto.
30 gennaio, La Repubblica, Fabio Tonini
Il telefono squilla dalle otto di mattina. È già la quindicesima telefonata e non è neanche mezzogiorno. «È lui. Ha letto il giornale… vuole sapere se sono stato io ad averlo denunciato. Ha detto che mi fa ammazzare dalla mafia se parlo con la polizia». Se non fosse che ora questo egiziano di neanche quarant’anni con occhiali scuri e berretto si trova nascosto in un albergo segreto, probabilmente sarebbe già fuggito altrove. Come hanno fatto altri tre manovali egiziani del campo base di Pieve Torina dopo aver raccontato lo sfruttamento al Resto del Carlino.
Ahmed è nato al Cairo, è in Italia regolarmente, fa il cartongessista.
E per montare i pannelli delle casette antisismiche nel Maceratese gli tocca pure pagare.
Benvenuti nel cantiere di Stato più grande d’Italia, dove capita che gli operai siano minacciati di morte perché si lamentano dei soldi che non vedono o del container senza riscaldamento dove li hanno messi a dormire, in gruppi da quattro con un solo bagno. E dove vige un “curioso” sistema di pagamento, per cui sono costretti a riconsegnare in contanti una quota del salario che versano loro su una carta Postepay.
L’ombra del caporalato si è allungata sui cantieri marchigiani dove le ditte del Consorzio Arcale stanno tirando su i moduli abitativi per gli sfollati. La procura di Macerata, su segnalazione della Fillea Cgil, ha aperto un’inchiesta per «intermediazione illecita e sfruttamento di lavoro» e per «violazione del divieto di subappalto in opere pubbliche».
Caporalato, appunto. Sfuggito alle maglie del controllo perché — ipotizza il procuratore maceratese Giovanni Giorgio — mimetizzato nella filiera di subappaltatori, fornitori e aziende detentrici di contratti di rete che si muovono nei 54 cantieri Sae della provincia.
Per lo stesso motivo il procuratore generale Sergio Sottani ha ribadito «l’altissimo rischio di infiltrazioni mafiose».
Ma che sta succedendo? Perché la polemica sul grande ritardo nella consegna delle casette (nelle Marche a 17 mesi dal terremoto ne hanno realizzate 987, la metà del fabbisogno) ora si riverbera su parole come sfruttamento, rischio infiltrazioni, caporalato, cantieri lager? La storia di Ahmed, che incontriamo in un hotel tra Pieve Torina e Camerino, può aiutare a capire. Quel che segue è il suo racconto.
«Nell’ottobre scorso un mio conoscente mi telefona e mi dice che ha un lavoro per me nelle zone del sisma: la paga è di 85 euro al giorno con la ditta Gesti One dove lui è uno dei caposquadra». La Gesti One srl ha sede in un’anonima villetta a Campo di Giove, all’Aquila, e fa parte del Consorzio Gips, a cui Arcale ha subappaltato una parte della commessa. Di Gips Repubblica si era già occupata all’inizio di gennaio, quando un operaio romeno della Europa Srl (una consorziata) per primo aveva rotto il muro dell’omertà e aveva denunciato alla Cgil condizioni di lavoro disumane . Altri dieci hanno seguito il suo esempio.
Prosegue Ahmed: «Quando arrivo a Pieve Torina mi dicono che mi pagheranno 80 euro, non 85, e che non mi rimborseranno il viaggio».
Ahmed non è uno sprovveduto, ha lavorato per l’Expo di Milano e sa come gira il mondo nei cantieri dove l’imperativo è concludere a tutti i costi, e al più presto. Non gli forniscono scarponi e tuta da lavoro, niente visita medica, niente assicurazione, ma lui si accontenta di un foglietto di carta con una sua foto annerita come tesserino e della comunicazione obbligatoria Unilav inviatagli via email. Né si fa impressionare dal passato di tale William Amico, un capocantiere, sulla cui fedina penale si accumulano un paio di arresti per tentato furto e ricettazione.
Tra novembre e metà gennaio Ahmed monta il cartongesso a Camerino, Ussita, San Severino, Caldarola, Sant’Antonio. Non si ferma quasi mai. «Ventisette giorni a novembre, ventiquattro a dicembre, undici a gennaio, sabato e domenica compresi: ogni giorno dalle 7.30 alle 18.30. A volte ho dovuto montare pannelli umidi, secondo me si scrosteranno presto».
Ahmed sostiene di aver ricevuto ad oggi solo 2.150 euro di paga, tramite bonifico sulla Postepay.
Con una variazione sul tema, però. «Quando mi sono arrivati i soldi, il caposquadra mio amico ha preteso che gli restituissi 500 euro in contanti. Sosteneva che era un prestito, ma in realtà era il pizzo».
Secondo due sindacalisti di Macerata, Daniel Taddei segretario Cgil e Massimo De Luca della Fillea, c’è solo una definizione per riassumere la storia di Ahmed. Caporalato. «Ci sono più di 600 operai impiegati per le casette, solo un terzo ha il contratto da edile», sostiene Taddei. «Abbiamo censito più di 140 aziende e solo 50 sono iscritte alle casse edili. Una cinquantina di operai ci ha denunciato gravi irregolarità, alcuni sono stati sentiti dai carabinieri». Su un altro centinaio sono in corso verifiche.
«Tutte balle», replica il presidente del Consorzio Arcale Giorgio Gervasi. «Una colossale montatura della Cgil. Abbiamo subito 40 controlli e non è saltato fuori niente». Gervasi è un muro di gomma, respinge al mittente qualsiasi contestazione: l’indagine dei pm di Macerata, le denunce degli operai, l’oggettiva vicinanza politica al Pd di Renzi (tra i soci di Arcale c’è la Sistem Costruzioni di Emanuele Orsini, presidente di FederlegnoArredo e braccio destro del renziano Richetti).
Respinge pure le accuse di ritardo. «Dal 2 giugno abbiamo costruito 1.317 casette, il dilazionamento dei tempi è colpa di chi ci ha messo mesi per trovare le aree. Questo non viene mai ricordato».

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