Giulia Zanini si racconta così:”ho 30 anni e sto terminando un dottorato in antropologia. mi occupo di costruzione dei legami di parentela nell’ambito della procreazione medicalmente assistita e, in particolare, ho svolto una ricerca sugli Italiani che si recano all’estero per accedere a trattamenti di procreazione assistita con gameti provenienti da donatori (coppie eterosessuali, omosessuali e donne singles). le questioni di genere e le relazioni familiari (e non) fanno parte dei miei interessi accademici oltre che personali. anche per questo mi sono sentita in dovere di reagire e condividere almeno con te (e con gli altri attraverso il tuo blog, se credi) il pensiero che, a mio avviso, queste situazioni non sono che un aspetto di un discorso che riguarda più in generale le relazioni sociali e familiari”.
Ecco il suo intervento:
Avendo letto con attenzione le parole di Valeria Viganò sul cosiddetto femminicidio (ma ho apprezzato l’intervento che mette in discussione questo termine a favore di un forse più azzeccato donnicidio…da riflettere), mi sento un’urgenza che è quella di discutere proprio quello che Valeria mette da parte, considerandoli sentimenti troppo nobili per umani così piccini, ovvero il dolore e la disperazione. Credo che una delle chiavi della comprensione di un comportamento che non si può dire folle nè eccezionale passi attraverso l’indagine del legame che porta delle persone a provare intenso dolore e estrema disperazione (e cioè mancanza di speranza, della visione di un’alternativa possibile e accettabile) proprio in seguito a sentimenti come “la frustrazione, il fallimento, la rabbia, l’incapacità, la debolezza, la mancanza di responsabilità, la violenza, il dominio, la delusione, l’egocentrismo, la gelosia” correttamente elencati da Valeria. E credo che sia importante provare a considerarlo un legame strutturale dal punto di vista culturale per scardinarlo alla base. Riconoscendo l’umanità di questi uomini e il loro sentire dolore di fronte alla mancata ubbidienza, di fronte alla richiesta di spiegazioni, di fronte all’indipendenza della compagna, di fronte a quella che percepiscono come una perdita di potere, e disperazione di fronte al rifiuto, alla relisienza delle compagne che mette in luce il fallimento di un dominio e un egocentrismo frustrato, possiamo immaginare di rompere quel legame che unisce questi sentimenti ad un dolore e ad una disperazione. C’è una questione culturale, una mascolinità che propone e normalizza, tra le sue varianti, quella di un uomo che trova indolore (e piacevole) il dominio e speranza nell’esercizio del potere, ed è questo uno degli aspetti su cui, a mio avviso, dovremmo cercare di lavorare. Il dolore e la disperazione sono sentimenti che arrivano, ma le ragioni per cui si presentano sono costruite nel tempo e nell’interazione, nell’educazione e nella vita quotidiana. Una trattazione di questo tema e delle strategie che i membri di una società possono mettere in pratica per eliminare questi comportamenti da parte dei propri membri passa attraverso il riconoscimento della costruzione culturale dei sentimenti. Non tutti i dolori e le disperazioni sono uguali. Non ne esistono alcuni più legittimi di altri, se li mettiamo sul piano dell’esperienza personale del dolore, ma rimane un problema per noi (uomini e donne) che ci siano uomini che provano dolore e disperazione per queste ragioni.
E poi c’è un secondo momento, che è quello della gestione dei sentimenti. Tutti abbiamo provato o proveremo dolore, tutti prima o poi avremo la sensazione di essere disperati, ma quello che dobbiamo evitare è che i dolori e le disperazioni individuali diventino distruttive della vita degli altri. Una soluzione per tutti noi è quella di imparare a gestire i sentimenti spiacevoli, dolorosi e negativi senza insultare, picchiare e uccidere chi ci sta vicino nè chi pensiamo sia causa di questi sentimenti. In questo caso, però, a mio avviso, il problema della gestione del dolore e della disperazione di questi uomini è strettamente legato ai sentimenti che li generano ed è questa forse una delle ragioni per cui questi uomini uccidono. Perchè ritengono legittimo essere estremamente gelosi, essere ubbiditi e ascoltati, essere disperati per quello che credono uno sgarbo da parte della compagna, essere frustrati dal fatto di non saper dominare, essere dalla parte della ragione e delle regole da rispettare e legittimati a ristabilire l’ordine, essere in possesso di un’altra persone e poter decidere per lei.
Vorrei chiarire ancora un punto. Credo che gli uomini che infine esercitano violenza siano coscienti e consapevoli, non vittime, nè sopraffatti da follia o sentimenti incontrollabili, credo che ognuno faccia su se stesso un lavoro di coscienza costante e che da quello derivino parte dei sentimenti che proviamo e delle azioni che ci permettiamo. Credo anche che questi sentimenti e comportamenti siano diffusi perchè hanno un riconoscimento nella nostra società. Che se esistono degli uomini che provano questo tipo di dolore e di disperazione, anche se non li esprimono con la violenza, sia comunque una situazione pericolosa per la maniera in cui si organizzano i rapporti interpersonali. E credo che sia dovere di tutti, in ogni occasione e con i bambini e bambine e ragazzi e ragazze in particolare, riflettere sulla natura dei nostri sentimenti, sul tipo di rapporto che vogliamo avere con gli altri e sulla gestione delle frustrazioni. Che fanno parte della vita. Come la morte. Ma tra le morti che vogliamo piangere non deve esserci questo tipo di morte.
E’ normale star male, soffrire, essere frustrati anche arrabbiati per essere stati lasciati o traditi (e peraltro non è una esclusiva degli uomini), è normale pure la gelosia (se non diventa un’ossessione di controllo che soffoca la virta dell’altro e pure la tua) non tutti coloro che provano queste cose cercano di uccidere la compagna in quanto la vedono come una cosa di loro proprietà. Si tratta appunto di saper gestire ed elaborare emozioni che a tutti capita di provare nella vita. Il femminicida non è chi non prova certe cose, ma chi questa elaborazione non la sa e/o non la vuole fare
Testo estremamente ricco di spunti; concordo con la maggior parte di quanto viene detto.
Sull’immaturità emotiva, non ci piove. Sullo spezzare i legami tra immaturità emotiva, frustrazione e azione violenta, ottimo: non saprei dirlo meglio di così.
Ma non ho conosciuto direttamente uomini che hanno esercitato o esercitano violenza, e non riesco a pronuciarmi sul fatto che “siano coscienti e consapevoli” come categoria.
Il che non vuol dire che invoco l’incapacità di intendere e di volere per questi atti –anzi! – ma che penso che coscienza e consapevolezza si costruiscono negli individui e non possono essere attribuiti alle categorie.
Per me, gli uomini violenti restano un grosso mistero. Credo che Luigi Zoja, nel suo “Centauri. Mito e violenza maschile” indichi una strada per fare luce su questo mistero, ma nemmeno le sue risposte mi hanno convinto del tutto.
Molto interessante questa nuova angolatura da cui vedere il problema violenza sulla donna. Di nuovo la distorsione nasce dall’errata interpretazione del verbo amare. E’ davvero un fraintendimento che provoca un sacco di danni. Ormai siamo abituati a declinare “amare” come qualcosa di passivo e al più riflessivo: l’importante è che lei/lui mi ami, che questo amore mi procuri qualche beneficio e se guardiamo all’univero maschile i benefici attesi sono quelli citati dall’articolo… varie forme di riconoscimento.
Questo significato economico/mercantile del verbo amare crea grandi aspettative, ci si appoggia volentieri all’amore. Ha distorto le nostre relazioni e quando i conti economici non tornano più ci incazziamo e qualcuno dei maschi diventa violento.
Invece l’amore è qualcosa di attivo, se vediamo l’amore come una continua azione verso il bene dell’altro scopriamo innanzi tutto che è anti-economico: io mi dono, io mi dedico. Ma non delude perchè non ha aspettative particolari, è il sentimento più bello, è regale, il regalo di sé all’altro. Gratis.
Certo correggere la prospettiva comune con cui viviamo l’amore ormai è quasi impossibile, però occorre partire da lì.
Mi hanno colpito alcuni punti, quando Giulia Zanini dice: “Perchè ritengono legittimo essere estremamente gelosi, essere ubbiditi, ” ecc., e poi: “Credo anche che questi sentimenti e comportamenti siano diffusi perchè hanno un riconoscimento nella nostra società.” Ecco, qui non c’è niente di personale, come sentimenti o emozioni, ma molto di culturale – atavico, non so come chiamarlo, primitivo?
La delegittimazione non solo delle conseguenze ma anche delle motivazioni mi sembra una chiave importante, che deriva e si riflette su tutta la problematica delle relazioni. Ci sarà pure qualcuno nelle scuole (e non solo) in grado di fare delle riflessioni sulle motivazioni, non solo sugli effetti.
Quando ho letto questo articolo, molto bello, mi è tornato alla mente un romanzo portoghese che ho letto qualche anno fa e in questi giorni ne ho scritto qui:
http://www.levocianti.it/2012/12/anatomia-di-un-femminicidio-questo-e-il-mio-corpo-di-filipa-melo/
Grazie per gli spunti e per la tua analisi, Giulia, veramente interessanti!