La scuola è il luogo dove educazione alla sessualità, al genere, alle emozioni dovrebbe trovare lo spazio necessario. Ma accade che, anche quando la volontà del singolo insegnante c’è, questo non sia possibile. La storia di oggi viene da Loredana De Vita.
Insegno in una scuola superiore e cerco di occuparmi non solo di insegnare la mia disciplina, lingua e letteratura inglese, ma anche di stimolare una ricerca personale di senso nei miei studenti. Vado al dunque perché non voglio che sembriun panegirico del mio lavoro.
Ieri entro a scuola e parlo con colleghi e colleghe di quanto accaduto a Palermo, dico loro che mi sembra importante accendere una scintilla nei ragazzi perché riflettano… Carmela è una loro compagna di scuola, per me. Suggerisco che potremmo riunire i ragazzi per una riflessione non celebrativa sulla morte, ma sul significato di quella e di tante morti… Nisba! Mi rispondono letteralmente “Sei sempre la solita! Così va il mondo! Smetti di fare con i ragazzi discorsi che potrebbero turbarli.”
Turbarli??? Più di così? Ma forse dovremmo “turbarli “di più se questo significa farli riflettere.
Inutile dirti, che nelle classi in cui sono entrata ho fatto di testa mia, rispettando le fasce di età e le situazioni personali dei ragazzi… si è aperta una vivace discussione, interrotta, purtroppo dalla campanella ma che i ragazzi mi hanno chiesto di continuare… e lo farò perché c’è bisogno di questo. Anche di scontrarsi, ma di parlarsi. D’altra parte era il seguito di un lavoro incominciato due anni fa sulla relazione uomo donna, tecniche di ripresa televisiva e altro del genere…
Stamattina in 5° scientifico, un ragazzo mi dice di aver cercato ieri ogni notizia sull’argomento e di essersi perso nella quantità di uccisioni di donne. Gli suggerisco di leggere alcuni testi tra cui quello di Riccardo Iacona che sto trovando molto interessante non solo per la raccolta di eventi, ma perché li fonde in un tutto storico che rende le stragi ancora più drammatiche per l’abbandono in cui giacciono e la solitudine in cui i pochi enti preposti sono, in una condizione che definire precaria è poco.
Mentre parliamo entra il preside che mi richiama pubblicamente per trattare con i ragazzi certi argomenti.
Hai presente la tipica situazione in cui sei diviso tra il dover far rispettare un’autorità e dover accreditare una scelta di coscienza? Bene, proprio quella.
Ho scelto la coscienza, come mi è tipico, anche se credo mi costerà un richiamo ufficiale, ma ho promesso quando ho cominciato ad insegnare e poi successivamente a una mia cara amica Alberta Levi Temin, rifugiata dalla retata di Roma del 16 ottobre, che non avrei mai fatto qualcosa al di fuori della mia coscienza.
Terrò fede alla promessa, anche se mi costerà, ma vedi che non si può partire solo dalle scuole? Vedi quanti adulti non sono preparati ad affrontare con coraggio e dignità la questione?
Questo mi preoccupa, perché ciò che noi trasmettiamo ai ragazzi è buona parte di ciò che saranno… io continuo e so che un po’ qui un po’ lì non sono sola, ma basteremo? E quanto ci vorrà? E quante donne dovranno ancora morire così vergognosamente prima che qualcosa cambi?
C’è un bel film ancora nelle sale, delicato e appssionato, che richiama da vicino questa situazione. Una scuola, la morte, il tentativo di rimuoverla passando oltre e volgendo lo sguardo altrove, la domanda muta di senso dei ragazzi, l’ostinazione di un docente che conosce anche troppo bene la tragedia, l’ostilità di genitori e colleghi, un epilogo prevedibile ma imprevedibilmente non amaro. Non parla di femminicidio, ma è davvero molto vicono all’esperienza della professoressa Loredana. Il film è “Monsieur Lazhar”.
Prima di tutto un grandissimo applauso a Loredana per il suo impegno e la sua determinazione nel portare avanti un lavoro nonostante l’opposizione di colleghi e preside, non è mai facile seguire la propria coscienza! Brava!
Rimango davvero sconvolta invece dalla reazione dei colleghi, non stiamo parlando di bambini ma di 14enni e 18enni!
Quando sarebbe il momento giusto per non turbarli? Lasciamo che assistano da spettatori inermi a qualsiasi indegno spettacolo passi in TV o nel nostro Parlamento e poi non dobbiamo turbarli parlando di elaborazione di sentimenti come dolore e gelosia?
Questi insegnanti siano meno ipocriti e ammettano di non aver voglia di occuparsi anche dell’educazione non prettamente scolastica, evitando di usare i ragazzi come paravento per loro pigrizia.
Alcune riflessioni su questo post a random. Comincio da quelle rompic.
1. Non credo che troverei congrua l’assemblea di tutti i ragazzi di istituto per parlare di una cosa del genere. Non perchè parlare di una cosa del genere non si debba fare, ma perchè si scatenano processi più emotivi che razionali: a scuola mia si fece e fu il delirio – con un sacco di gente che piangeva e che di fasse je due quiz razionalmente parlando sul perchè manco je passava per la capa. Se poi il preside è un personaggio così arcaico e i colleghi anche, capirai l’accento si sposta sulla conflittualità.
2. Ma come ci è+ venuto il preside in classe? Chi lo ha informato? Che dinamiche ci sono dietro?
3. Mi ha commosso tantissimo il richiamo alla coscienza, e l’ho apprezzato come apprezzo davvero la coerenza nella contingenza. Mi piacerebbe vedere sanzionato il preside, ma capisco che purtroppo non ci sono gli estremi.
4. Il ragazzo che si informa e vuole leggere, beh da speranza.
‘Così va il mondo’ è un titolo che andrebbe bene per tutti i post del genere, come il precedente ‘chiavi’… è una frase paravento usata praticamente dappertutto. In realtà il mondo non va affatto così. A livello europeo ormai la comunicazione si sforza da tempo di abbattere certi stereotipi sia nel linguaggio che nei contenuti, e l’argomento violenza di genere ‘potrebbe’ (o dovrebbe) essere presente in tutti i contesti, dalla scuola alla pubblica amministrazione. Così come tutta la problematica sul genere. Ci sono le ‘buone pratiche’ che invitano e autorizzano. Che spreco che si debba sempre usare l”eroismo’ del singolo che si oppone, si ostina e strafa’, perchè è evidente che se i dirigenti (scolastici o altro) non si pongono il problema e almeno discutono e si confrontano, la fatica è immane e soprattutto si lascia spazio alle giustificazioni della maggioranza di colleghi e colleghe appiattiti sulle loro difese. Personalmente ho collezionato una marea di risposte banali sui problemi di genere, dal linguaggio non sessista nei documenti ufficiali, ai contenuti di progetti che pure riguardavano la parità, e molto altro. Questo piccolo mondo va così, in modo arretrato e anacronistico, ma sulla nostra testa piovono continuamente documenti e direttive che invitano ad assumere altre prospettive.
Loredana, resisti.
Idea per continuare il dibattito ed evitare (forse) richiami disciplinari: perché non metti in programma la lettura di ‘The Woman Who Walked into Doors’ di Roddy Doyle per le quarte e le quinte? Si presta bene per una bella discussione in inglese, no? E poi i ragazzi imparano lo slang, che sicuramente piu’ avanti torna utile 😉
Per quelli piu’ giovani e meno esperti nella lingua, al momento non mi viene in mente molto ma sono certa che troverai articoli di giornale o libri piu’ semplici da usare come cavallo di Troia.
Forza, forza, forza. Siamo con te.
Grazie davvero per gli incoraggiamenti e i suggerimenti… evviva, non sono sola! Scusate, ma mi verrebbe di urlarlo a chi so io… non importa.
Sì, zauberei, hai bene intuito… dietro c’è un modo di cercare di “farmi fuori”perché diciamo che il mio modo di insegnare è un po’ “scomodo”… serve a fortificarsi, no??? Credo che i ragazzi oggi non abbiano bisogno di sole nozioni (che pure servono), ma di lavorare su se stessi perché valgono e non c’è un unico massimo, ma il proprio individuale di ciascuno. Certo, è faticoso, ma a me piace essergli accanto e mi insegnano tanto (ti assicuro che non è retorica). Hai ragione, un’intera assemblea forse era troppo, sebbene ne abbia già fatte altre cercando di moderare gli spazi di emotività (che, pure, deve esprimersi). Come sarebbe stato bello se uno dei mie colleghi mi avesse suggerito alternative o discusso con me come hai fatto tu… magari ne veniva fuori qualcosa di buono. Dai, chi vuoi che abbia avvisato il preside? Però, vedi, comunque la brutta figura non l’ho fatta io… tra autorità e coscienza ho scelto la seconda e sebbene la stia ancora adesso pagando non mi tiro indietro e non solo lo rifarei, ma lo rifarò e lo rifaccio. Non sono teste vuote i ragazzi, io li rispetto tantissimo, e per me questo interesse e il loro desiderio di parlare con me in questa come in tantissime occasioni, dimostra che va bene così e che ne vale la pena. Grazie, Barbara, per il suggerimento… direi proprio un bel consiglio, penso che lo seguirò! Certo, Giulio, le frasi fatte servono sempre per nascondersi, perché pensare con la propria testa è una responsabilità e le responsabilità costano fatica e sacrificio. E, poi, forse per incoraggiarmi un po’, mi dico che se faccio quello in cui credo con onestà e anche con la capacità di riconoscere i miei limiti, forse accanto ai ragazzi ho trovato il posto giusto al momento giusto. Speriamo, e davvero mi rincuorate con i vostri commenti. Grazie.
Brava Loredana, trasecolo: “turbarli”? Per non turbarli non si dovrebbe insegnare la storia, allora, e neppure la storia della letteratura. L’idiozia umana non ha limite, e alberga volentieri nelle scuole, oggi forse un po’ più di ieri?
Loredana, io, in attesa di quel richiamo disciplinare, farei un giretto dai sindacati: mi risulta che esiste la libertà di insegnamento, in Italia, sancita dalla Costituzione, e che Cittadinanza e Cosituzione sia diventata una materia trasversale, cioè la possono fare tutti e non solo l’insegnante di storia.
La tua vicenda sembra grave, ma secondo me lo è più di quel che sembra. E dai un occhiata al POF della tua scuola, ai cosiddetti obbiettivi formativi o trasversali o come diavolo si chiamano ora (cambiano nome ogni qualche anno) e anche a quelli indicati dal MIUR.
Un saluto, e in bocca al lupo 🙂
brava Loredana! te lo dico come mamma di un 18enne (che vorrebbe gente come te a scuola) e da collega, che due settimane fa ha discusso in classe (una quinta) di cosa significa disobbedire nei casi di coscienza (Arendt … ne parlavamo per alcune tesine) e oggi, in altre tre quinte, ha approfondito il lavoro di un’artista contemporanea polacca (Kozyra), discutendo di identità sessuale, di genere, di corpi maschili e femminili pubblici e privati.
Interventi dalla classe tanti, belli. Sono quei momenti in cui sento profondamente che il nostro lavoro ha un senso. E negli anni, ho prove che questo tempo non è sprecato. ti posso solo confermare che – negli anni – ho avuto prove che ne vale totalmente la pena. Anche e nonostante l’attacco alla scuola e agli insegnanti di oggi (siamo tutti in sciopero bianco) e la delegittimazione continua del nostro lavoro.