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Ci ho messo un po’, a tornare sulla questione, per intuibili motivi affettivi. Per fortuna che Grazia De Michele è forte, e non ha mai smesso di occuparsene. Grazia è, come qualcuno di voi sa, l’Amazzone furiosa i cui toni e le cui argomentazioni fanno spesso saltare sulla sedia chi è abituato a parlare di cancro in tono consolatorio. Come ha dichiarato a Stefania Prandi de Il fatto quotidiano, Grazia non ama indorare la pillola:
“Le testimonial del tumore al seno sono sempre attrici o donne famose che ce l’hanno fatta. Dall’alto dei loro ultracorpi sembrano dirci che il tumore al seno è un accidente ineluttabile. Ma superabile. E le altre? – chiede. – Quelle che sono al quarto stadio, con metastasi diffuse, che vedono affievolirsi le speranze di sopravvivenza, dove sono nella rappresentazione mediatica? Di loro non si vuole parlare. Eppure esistono. E non sono poche. Tutte noi che abbiamo avuto un tumore dobbiamo fare i conti con l’eventualità di una recidiva oppure di una metastasi”.
Il tumore al seno, ricorda Grazia, è la prima causa di morte fra i 35 e i 50 anni. Leggete quello che scrive in una lettera al ministro Balduzzi. E pensateci su.
Secondo i dati di uno studio effettuato per conto della Commissione Sanità del Senato e resi noti nel 2011, una donna ogni otto in Italia si ammala di cancro al seno e un terzo ha meno di 44 anni. Riporto testualmente:
“In Italia il tumore della mammella rappresenta la prima causa di morte nella fascia tra i 35 ed i 50 anni; i dati di prevalenza superano le 450.000 donne e ogni anno è diagnosticata a circa 40.000 donne. Mediamente una donna su otto sviluppa un carcinoma mammario nel corso della propria vita e nel 30,4 per cento trattasi di donne con età inferiore a 44 anni […]Il tema dell’incidenza del cancro della mammella nelle donne al di sotto dei 45 anni rappresenta una problematica di grande rilevanza socio-economico e una sfida sanitaria non più dilazionabile. Purtroppo sono sempre di più i dati che confermano una grave carenza nel ricorso alla diagnosi precoce da parte delle giovani pazienti che, rispetto alle donne più anziane, hanno maggiori rischi in termini di dimensione del tumore e di metastasi linfonodali. […]Non va dimenticato inoltre che le giovani donne hanno un’alta incidenza di neoplasie biologicamente più aggressive, un’alta incidenza di lesioni poco differenziate, ormono-negative, aneuploidi e con alta percentuale di cellule in fase-S. Si stima che la probabilità di morire per un carcinoma mammario in donne con meno di 40 anni sia di circa il 52 per cento maggiore rispetto alle donne con più di 40 anni; tutto ciò non solo a causa della mancanza di programmi di screening ma anche per la maggior incidenza di carcinomi basal-like ovverosia la forma di tumori più aggressivi secondo la nuova classificazione in base al profilo genico delle neoplasie mammarie”.
Ho notato un articolo di Amazzone furiosa sul Fatto, e mi sento assolutamente solidale. Ho commentato con un argomento che mi sta molto a cuore, una denuncia del Medici per l’Ambiente, in specie di quella dottoressa Gentilini insultata in pubblico da Renzi chiamandola apprendista alchimista, perche’ denunciava i danni degli inceneritori.
Il fatto e’, che quando si parla di tumori e di prevenzione, si punta quasi esclusivamente il dito sugli stili di vita, alimentazione, movimento, rinuncia al fumo, all’alcol ecc.
Ma questa e’ solo una faccia del problema. L’altra faccia, purtroppo altrettanto se non piu’ importante, e su cui noi individualmente possiamo far poco, e’ quella della correlazione con l’inquinamento. Non e’ sufficientemente studiata, oppure, quando fra mille ostacoli si riescono a realizzare studi statistici molto ben documentati di correlazione fra mortalita’ -morbilita’ e livello di inquinanti specifici, vengono sottaciuti.
Al piu’, anche qui, si parla del traffico (timidamente, che’ anche le auto sono economia) e del riscaldamento domestico. Ma sull’industria, sulla combustione dei fossili, sugli inceneritori si tace.
Perche’? Evidentemente, grossi interessi economici dietro. Alcuni dei quali finanziano, direttamente o indirettamente, le stesse fondazioni di ricerca dei luminari di medicina.
Allora, ecco che casi come l’Ilva di Taranto, o, per restare piu’ vicino a casa mia, la centrale Tirreno Power a carbone, di cui adesso si chiede il potenziamento con procedure vergognose, continuano a produrre i loro nefasti effetti finche’ non emerge un vero e proprio dramma sociale.
E non si dica che e’ il prezzo da pagare per il progresso, eccetera. Poche scelte sono veramente indispensabili, immodificabili e irreversibili. Esiste sempre un equilibrio piu’ vicino alle persone, alle comunita’, che non si vuole attuare perche’ riduce gli spaventosi margini di profitto di certe aziende.
Milana d:” Il fatto e’, che quando si parla di tumori e di prevenzione, si punta quasi esclusivamente il dito sugli stili di vita, alimentazione, movimento, rinuncia al fumo, all’alcol ecc.
Ma questa e’ solo una faccia del problema. L’altra faccia, purtroppo altrettanto se non piu’ importante, e su cui noi individualmente possiamo far poco, e’ quella della correlazione con l’inquinamento.”
Buona la premessa, errata la conclusione. Ma consideriamo buona la premessa solo per sminuirla, appunto, cercando di spiegare che è la genetica, a cominciare dalle alterazioni ai meccanismi di riparazione del DNA già individuate nei geni BRAc1, 2, p53.
A differenza delle enormi palle che quotidianamente ogni sventurat* legge sui media d’ogni genere, non siamo quello che mangiamo ma quello che nasciamo. Il punto è che proprio questo continuo bombardamento mediatico fatto di diete, consigli, cause tumorali frutto di ricerche tutte da dimostrare fanno pensare che il cancro al senso abbia origine esogena, e quindi un agente causale, colpevole e univoco. Tale persuasione fa poi dire alle amazzoni furiose, pur motivate da nobilissimi intenti, frasi di un’ignoranza biologica disarmante
come ” Chiediamo di conoscere le cause della malattia e sconfiggerla per sempre”. Come se ci fosse un complotto. O come se il cancro non fosse la più ovvia delle conseguenze di un sistema riproduttivo dell’informazione basato su una stuttura genetica mutagena che ti fa capire che solo il fatto di non essere più un’ameba ma un homo sapiens sapiens è dovuto allo stesso meccanismo che genera il cancro. No mutazione, no cancro, ma nemmeno differenziazione. Detto questo si capisce che il cancro (anche al seno) non è una malattia, ma una serie infinita di malattie e solo la semplificazione mediatica lo spiega come una patologia con antigene specifico. Come fosse un virus.:trovato quello, segue la cura. No, purtroppo è tutto enormemente complesso e non ci sarà MAI la cura per cancro, ma solo soluzioni specifiche di volta in volta tarate sul quadro genetico individuale.
Si potrà obiettare che questo sermone non risolva la gravità di una patologia che fa morti attorno a noi e che lo screening obbligatorio e gratuito va normato per legge e deve implicare non mammografie ma controlli a partire dai 30 anni. Tuttavia bisogna accettare, conoscendola però, la nostra natura biologica e dimenticare le enormi puttanate che attribuiscono alle cause esternemolto più di ciò che è già scritto nel nostro individuale patrimonio genetico.
Comprendo che non sia consolatorio e possa essere fonte di ipocondria se non compreso con equilibrio. Ma è così che funziona.
Ho trovato il commento di 人谁笑 interessante, apparentemente riflessione di una persona competente, ma chiedo, e mi scuso se pecco d’ingenuità; se in buona parte le cause sono da ricercare nella nostra stessa struttura genetica, perché laddove sorgono inceneritori, fabbriche che rilasciano sostanze che dalla scienza sono state riconosciute come cancerogene, il tasso di tumori o cancro è più alto rispetto la media? Possibile che proprio in quelle zone si concentrino persone maggiormente predisposte? Oppure oltre ad una predisposizione concorrono anche gli agenti cancerogeni di cui sopra? In questo ultimo caso non capisco come poter ignorare tali fattori aggravanti cercando di attuare politiche che evitino o riducano l’esposizione.
Ehm.. non facciamo disinformazione peró. Anche dire che il cancro non ha origine esogena è sbagliato. Perché non si puó dire con certezza. Esiste una predisposizione genetica ad alcuni tumori. Esistono poi anche fattori esogeni mutageni, molti dei quali potrebbero avere piú o meno impatto a seconda del profilo genetico. È davvero molto complesso e si possono fare davvero poche affermazioni senza essere smentiti.
@Elisabetta
Nessuna ingenuità nelle sue parole. Lei ha ragione. Diciamo che la predisposizione genetica individuale è una condizione necessaria ma non sufficiente all’insorgenza del cancro. Questo implica che vivendo a pochi metri dall’Ilva a Taranto, i soggetti con alterazioni genetiche esposti agli elementi cancerogeni evolveranno quel cancro specifico.Gli altri no, indipendentemente dal venirne a contatto. Come quei fumatori incalliti a cui non nascerebbe una neoplasia al polmone in ogni caso rispetto allo stesso tumore che insorge in e uccide chi non abbia mai fumato. È chiaro che una politica ambientale debba ragionare stocasticamentee quindi occorre fare di tutto per eliminare i fattori CERTI (si rifletta bene su questo temine su cui tornerò a breve) che concorrono ai casi di cancro.
Il punto è che se guardiamo a volo d’uccello tutte le neoplasie che possono riguardare le persone, c’è da mettersi le mani nei capelli in quanto le sostanze coinvolte sono potenzialmente infinite, dal basilico non ancora sviluppato oltre i 10 cm alla radiazione ai raggi X. Notare la compessitàsu ciò che sappiamo in relazione a tutto ciò che di cui non sappiamo assolutamente ancora nulla: lo stesso basilico è non cancerogeno quando la pianta ha superato i dieci cm, in quanto il pericolosissimo metileugenolo che la protegge dai parassiti nella fase giovane si è convertito nell’innocuo eugenolo. aAllo stesso modo quando l’esposizione ai raggi X avviene sotto una certa soglia, paradossalmente e contro l’opinione comune i linfociti T diventano più resistenti a successive radiazioni ionizzanti, di fatto riparando il dna con maggior efficienza, mentre oltre una certa soglia c’è linearità tra radiazione assorbita e probabilità di cancro.
È tutto complicato e normare il divieto o meno di una sostanza, di un alimento, di una fabbrica specifico è dannatamente incerto.
Ma ciò che va accettato è che il cancro non è MAGGIORMENTE causato da agenti esterni perché in mancanza di un profilo genico specifico nulla potrebbero. Il cancro è inscritto nel nostro DNA e può venir attivato da un’infinità di agenti esterni imponderabili a oggi. Ma nella stragrande maggioranza si attiverebbe comunque.
Ad esempio l’immaginario collettivo è stato convinto a seguire una dieta sana, ricca di fibre, povera di grassi saturi come prevenzione del cancro. Vero e giusto. Ma si parla di prevenzione del solo cancro al Colon, non del cancro in generale (!). Il cancro al colon è sicuramente una neoplasia temibile, ma è una goccia nell’oceano delle neoplasie. Spero sia ora chiaro il concetto che un certo fatalismo è psicologicamente necessario, se non altro per evitare la paranoia permanente e il ricorso ottuso al capro espiatorio. In fondo ciascuno di voi può fare un esperimento: sommi l’incidenza sulla popolazione di ogni tumore che ha voglia e tempo di cercare su wikipedia. E poi calcoli la probabilità di incorrere in un tumore in generale. Scoprirà agilmente che non è sfortuna sviluppare un cancro. È enorme fortuna non svilupparlo nel corso di una vita.
人谁笑 la ringrazio per i suoi interventi, per me illuminanti considerato che sì, avevo sempre avuto ben presente la predisposizione genetica o la famigliarità, ma altrettanto ho sempre considerato “criminale” l’esposizione forzata di alcune parti della popolazione ad agenti, ad oggi, con le conoscenze di cui disponiamo, fatti rientrare nella categoria dei “cancerogeni”. Sarebbe, a mio parere, molto utile iniziare anche un dibattito (da quel che ho letto i pareri medici sono di una discordanza impressionante) sulle forme di screening. Se ci limitiamo a considerare il medico di base, ma anche ginecologi o ginecologhe a cui noi donne più o meno constantemente ci rivolgiamo, si nota una differenza di vedute circa i controlli da effettuare per la prevenzione del cancro alla mammella. Cosa che ad esempio non avviene per quello all’utero. Ho 37 anni e mi sono sentita consigliare spassionatamente l’ecografia, ritenendo la radiografia ancora prematura (“meglio evitare i danni dei raggi finché si può…”), e ho visto altri medici sgranare gli occhi affermando che invece occorre, anche sotto i 40, sottoporsi ai raggi x perché in grado di visualizzare piccole formazioni che all’occhio dell’ecografo sfuggirebbero. Parto dalla mia esperienza, ma mi sembra un argomento attuale e in cui appunto si sperimenta una certa confusione diffusa (tra il personale medico, figuriamoci tra le pazienti). Grazie.
人谁笑, che da ciò che dice sembra avere competenze biologiche, sostiene l’ignoranza in materia dell’Amazzone Furiosa; io in passato le ho addebitato ignoranza statistica, per un uso secondo me improprio dei dati. In verità, io non accusavo lei ma la Commissione Sanità del Senato, che ha diffuso un documento privo di fonti, con dati statistici in contraddizione rispetto a quelli di altre fonti ufficiali (tipo l’Istituto Superiore di Sanità, che pure era tra i consulenti di quello studio) e che (almeno a me) non ha fornito chiarimenti quando sono stati richiesti. Io per quanto mi riguarda continuo a sostenere quanto scrissi allora, e cioè che quel documento contiene una serie di affermazioni gravi e non documentate. Però Grazia continua a proporli, i dati di quel documento, e quindi in qualche modo se ne assume la responsabilità. Io, nel ribadire che se qualcuno mi dimostrerà che l’errore è mio non avrò difficoltà ad ammettere di essermi sbagliato, tengo in particolare a sottolineare che non è vero che “mediamente una donna su otto sviluppa un carcinoma mammario nel corso della propria vita”, messaggio terrorizzante che davvero dà l’idea di un’epidemia in atto. E’ invece vero che un indice di rischio, calcolato in un modo che non conosco da esperti degni di considerazione, stima che questo potrebbe essere il quadro in futuro. Cosa di cui, per fortuna, non c’è certezza (questa informazione me l’ha fatta avere la stessa Amazzone, segnalandomi un link inglese che ora non ricordo ma che lei potrebbe magari riproporre, dato che era pieno di informazioni importanti). A dire la verità, lì si diceva una cosa sottilmente diversa, e cioè che in futuro si stima che una donna su otto riceverà una diagnosi di cancro al seno. Questo solleva il problema della sovradiagnosi e della reale opportunità degli screening di massa, che sono al centro di roventi polemiche in ambiente medico. Il problema è che conosciamo ancora troppo poco della biologia dei tumori, e sta emergendo che molti di essi se ne restano in realtà silenti senza far danni, finché non arriva un’altra causa di mortalità, magari legata all’età, senza che la persona venga mai a sapere di aver convissuto con un tumore. Lo screening porta allo scoperto anche queste situazioni, incrementando le statistiche di un numero significativo di casi che altrimenti non avrebbero fatto danni né al paziente né alla società. Purtroppo, a quanto ne so, non è oggi possibile capire, una volta individuato un tumore, se questo si rivelerà aggressivo o resterà silente. Sono emersi, questi apparenti paradossi, in diversi studi, in cui si è visto che l’incidenza nel campione era superiore a quella rilevata nella popolazione. I numeri consultabili al sito http://www.tumori.net/, dell’Istituto Nazionale Tumori e dell’Istituto Nazionale di Sanità, parlano di un’incidenza (numero di nuovi casi) del tumore della mammella in Italia pari a 133 casi ogni 100.000 donne (0,13%) e di una prevalenza (numero di donne viventi con tumore alla mammella) di 1.631 casi ogni 100.000 (1,6%). Il fatto che il dato della prevalenza sia in crescita riflette non soltanto l’aumentata incidenza, ma anche il miglioramento della sopravvivenza dovuto alle terapie (aumentando la durata della vita delle persone malate, aumenta anche il loro numero in rapporto alla popolazione).
Però questa insistenza mia e di persone come 人谁笑 rischia di mettere in secondo piano la denuncia centrale dell’Amazzone, che se ho ben inteso riguarda il messaggio eccessivamente tranquillizzante che da certe campagne traspare in materia di cancro al seno, quasi fosse davvero un problema ormai risolto. Non so quanto questo sia magari voluto: in effetti, anche la continua sottolineatura della natura spesso (spessissimo) non guaribile dei tumori non aiuta (non ha aiutato per decenni) le persone che si trovano ad affrontare quel nemico; non aiuta sapere a priori che hai magari meno del 50% di probabilità di sopravvivenza, o un’aspettativa di vita che non supera i 5 anni. Ma decidere cosa sapere o non sapere dovrebbe attenere al rapporto del paziente con il suo medico, non dovrebbe essere oggetto di campagne pubblicitarie cloroformizzanti. In questo, e nella denuncia parallela dello sfruttamento della malattia a fini pubblicitari (nastrini rosa e altri gadget consimili), credo che l’Amazzone abbia ragione da vendere. Quello che mi permetto di dire, senza alcun intento polemico, è che queste cose possono essere dette con eguale efficacia senza tirare dentro dati e biologia, che sono terreni scivolosi su cui gli stessi esperti incespicano spesso e volentieri. Il rischio è quello di creare non attenzione, ma paura e isteria, terreni su cui hanno buon gioco le stesse vituperate aziende che col cancro fanno profitti. A cominciare da chi vende farmaci al sistema sanitario nazionale, che certamente beneficia in modo enorme da allarmismi e dati sopravvalutati. Il nemico, perché tale è il cancro, va affrontato con determinazione, ma anche con precisione. Qualsiasi altro atteggiamento non fa che allontanare la prospettiva della cura.
OT
@Elisabetta
Devo spezzare una lancia nei confronti della classe medica. Primo, perché effettivamente ciascuno è umano e ha i suoi limiti (intellettuali e culturali) e le sua credenze.Comprendo che per il paziente sia psicologicamente devastante ciò che sto per dire. Come paziente è utile credere che il giuramento di Ippocrate sancisca una bravura minima in ciascuno dei suoi stipulatori e che quindi dire medico voglia dire ragionevole competenza.
Secondo, ricordiamoci che la medicina è una pratica, non una scienza. L’errore è dietro l’angolo proprio perché molto poco è certo. Si pensi che da un punto dei vista clinico fare più esami non corrisponde deterministicamente a una migliore capacità di diagnosi. È controintuitivo, ma spesso troppi dati implicano entropia diagnostica. Tra l’altro il rapposto con la verità medica si incrina ontologicamente quando anche in istologia, la medesima cellula è cancerosa per un biologo e non cancerosa per l’altro (!). Si vive nell’incertezza e occorre dare certezze a un paziente che altrimenti sprofonderebbe nellapiàcupa depressione.
Detto questo il delirio è dietro l’angolo perché ciascun medico è primadi tutto una persona con le sue ossessioni. È pieno di fissati: radiologi terroristi per cui le radiazioni sono nocive sempre e insinuano fino a far rifiutare al paziente una TAC senza che questi capisca il rapporto rischi/benefici; ci sono i pediatri fulminati che danno diete ortoressiche ai bambini, un alimento sì un altro no, nella più totale arbitrarietà sciamanica; ci sono i ginecologi metafisici che vedono negli ormoni la ragione di tutti i mali e scazzano gli anticoncezionali alle loro pazienti; ci sono gli oncologi più chirurgicamente invasivi e quelli più consevativi, etc etc.
Insomma, del doman non v’è certezza, chi vuol essere lieto sia. Giusto fare i controlli ma la domanda, lecita, è: dove fermarsi? Quanti esami fare e quali? Ogni quanto?
Non esiste il tagliando completo che ti dice che sei sano. Un esame può accertare una specifica neoplasia ma in nessun caso ESCLUDE la presenza di mille altre.
Possiamo però cercare di capire se il medico che abbiamo di fronte è palesemente inadeguato. Qualunque medico non conosca la matematica è tarato, ad esempio. Quindi chiunque consideri una radiografia come un male evitabile è ignaro che la radiazione di fondo di un viaggio intercontinentale A/R in aereo ha la stessa quantità di Sievert assorbiti da una radiografia. Per non parlare del la radiazione ambientale del fondo naturale, per cui chiunque abiti tra Roma e Napoli si spara due radiografie all’anno, solo per abitare lì.
Il lavoro che sta facendo L’Amazzone per me è di altissimo valore culturale; seguo il suo blog e grazie a lei ho rispolverato il libro Pink Ribbons, Inc., che avevo abbandonato poiché non padroneggiavo la lingua inglese. Ora mi sono messa d’impegno a leggerlo e a cercare di comprendere cosa si è costruito (un vero e proprio business, non c’è che dire) intorno alla malattia. Credo che a Grazia vada anche riconosciuto il merito di effettuare un’opera di decostruzione di un immaginario rasserenante e anche un po’ rassegnato (e forse su questo 人谁笑 non sarebbe molto d’accordo considerato che leggo nelle sue parole una sorta di invito all’accettazione non della patologia quanto della nostra fallibilità, in senso biologico, in quanto appartenenti al genere umano), fatto di nastrini rosa, modelle e cantanti sopravvissute dal sorriso smagliante, e gadgets e robot da cucina “rosa”. Per arrivare alle maratone, alle canzoni, e alle gare pro fondi sponsorizzate da società che nei loro prodotti (cosmetici, detersivi, ecc.) utilizzano agenti cancerogeni (nelle quantità stabilite per legge, d’accordo; però esisterà o no un meccanismo di accumulo nell’organismo dovuto al contatto o all’ingestione di queste sostanze derivante dall’utilizzo contemporaneo di più prodotti?).Quantomeno un paradosso, peraltro decisamente redditizio.
P.s. tutte queste campagne poi suggeriscono un’idea molto stereotipata delle donne, sostanzialmente sessista, ma qui davvero rischiamo di andare ot.
@Maurizio
Capisco il suo dilemma. Del resto si possono muovere critiche a ogni comportamento strategico: presentare il cancro al seno con ottimismo e rassicurazione porta a spingere le persone a controllarsi di più. Certo, può illuderle qualora avessero sviluppato quel cancro e inoltre ingrassa le entrate della medicina preventiva. Tuttavia diminuisce comunque la mortalità. Di quanto? Non ci interessa, in quanto anche se l’indotto monetario aumentasse di mille volte e le guarigioni da screening preventivo dell’1% sarebbe comunque una strategia da perseguire, non trova?
Certo che se poi ci si preoccupa dell’isteria di chi viene poi convinto che il cancro al seno è sempre curabile non si va avanti: l’isteria del paziente viene dopo la possibilità di salvargli la vita. Il fatto di scoprire che con un cancro al seno l’aspettativa di vita a dieci anni senza linfonodi coinvolti è di 3 su 4, mente con linfonodi associati è di una su 4, è un fatto. Non lo puoi edulcolare. E comunque chi riceve dal proprio oncocologo questa dolorosissima frase, è già nella parte dei potenziali curabili. Imparerà ad accettarla, da solo o con l’aiuti di altri. La scoperta di un cancro in screening preventivo è dolorosa. La non scoperta di un cancro invece è morte certa.
Mi lascia solo un po’ perplessa questa frase:
““Le testimonial del tumore al seno sono sempre attrici o donne famose che ce l’hanno fatta. Dall’alto dei loro ultracorpi sembrano dirci che il tumore al seno è un accidente ineluttabile. Ma superabile. E le altre? – chiede. – Quelle che sono al quarto stadio, con metastasi diffuse, che vedono affievolirsi le speranze di sopravvivenza, dove sono nella rappresentazione mediatica? Di loro non si vuole parlare. Eppure esistono. E non sono poche. Tutte noi che abbiamo avuto un tumore dobbiamo fare i conti con l’eventualità di una recidiva oppure di una metastasi”. Ho già detto sopra quanto queste campagne melense e lucrose siano criticabili, però è normale che per inviare ad una moltitudine di persone un certo messaggio si scelgano persone più o meno famose. Io ho la mia ex parrucchiera che ha avuto un cancro al seno, e che per ora sta bene; la sua testimonianza per me è molto più preziosa di quella che può essere quella della X attrice o cantante. Ma le testimonial di solito sono persone che godono di una certa notorietà, ovunque. Includere le donne “al quarto stadio o con metastasi” nella comunicazione mediatica che impatto può avere? Quanto e a chi sarebbe utile? Pongo le stesse domande in riferimento però a quelle donne che invece ne sono “uscite” o che almeno hanno passato il limite dei “cinque anni” e sono dichiarate sane. Il mio è un tentativo di comprendere perché le prime dovrebbero essere incluse nella comunicazione mediatica, non una critica.
@ 人谁笑 Ti consiglio di documentarti meglio, soprattutto a proposito dei legami tra virus e cancro. Potresti cominciare dal cancro alla cervice uterina, poi andiamo avanti con qualcosa di piu` complesso come il cancro al fegato.
http://www.tucancroiodonna.it/
Rinvio a questo link, che potrebbe forse chiarire una volta per tutte il senso dei numeri che vanno circolando e che spesso sono causa di ansia e timori.
http://www.registri-tumori.it/PDF/Numeri/05_Rub_ITA-USA.pdf
Estraggo il seguente virgolettato: “Nella tabella è presentato il numero teorico di soggetti fra i quali è ipotizzabile che sia diagnosticato un tumore nel corso della vita (0-84 anni). Il dato, basato sui più recenti dati di incidenza dell’Associazione italiana registri tumori e del SEER statunitense, è presentato per l’Italia e per gli Stati Uniti d’America, per i due sessi e per i principali tumori. Questo indicatore, noto come rischio cumulativo, esprime una probabilità squisitamente teorica, ma che riesce a quantificare in una forma comprensibile la diversa rilevanza dei tumori. La tabella mostra che in Italia un uomo ogni due e una donna ogni tre hanno la probabilità di ricevere una diagnosi tumorale nel corso della loro vita, e che questa probabilità riguarda un uomo ogni sei per il tumore della prostata, uno ogni otto per il tumore del polmone e una donna ogni otto per il tumore della mammella”.
Come si vede, se è legittimo parlare di epidemia dovremmo anche parlare di una epidemia di tumore al polmone, ma ancora di più di tumore alla prostata e, soprattutto, di tumore in generale. Un uomo su due, una donna su tre. E’ evidente che questi numeri vanno interpretati, sennò davvero finiremo con il seminare il panico. Lo dicono gli stessi ricercatori, che la probabilità è “squisitamente teorica”. Resta da capire cosa voglia dire, in concreto, questa locuzione. Mi riprometto di condividere eventuali approfondimenti, se avrò il tempo di farli.
Io vorrei che venisse sfatato il mito della prevenzione e che, correttamente e con molta onesta’, si usassero “diagnosi precoce” o “prevenzione secondaria”.
@ Elisabetta: hai ragione che un testimonial deve essere noto ma deve essere anche credibile, e questa credibilita’ io credo si giochi sul fatto che noi tutti possiamo identificarci con questa persona “qualunque”, non patinata . Io, che sto combattendo dal 2007 un cancro al seno ora in metastasi e ho trovato testimonial in donne ancora vive e una zia che non lo e’ piu’, sto cercando di essere io stessa testimonial. A Vicenza dal 6 al 21 ottobre allestiro’ una “trama di immagini” che si intitola “TU CANCRO. IO DONNA. AMMALARSI DI FEMMINILITA'” (vedi post di Lorella Zanardo) proprio con questo intento. Togliamo gli orpelli, guardiamoci.
Vi aspetto.
Mi unisco ai dubbi di Elisabetta: non si capisce perché una testimonial nota debba essere meno credibile della nostra vicina di casa. E poi, sinceramente, non capisco il discorso a monte: qualcuno dovrebbe spiegarmi perché mettere un malato terminale come testimonial dovrebbe essere più efficace. Come il solito io sento il peso di una cultura della sofferenza, cattolica ovviamente, che individua nell’attrice guarita qualcosa di “disonesto”.
E se facessimo la mossa del cavallo e abbandonassimo la cultura della testimonial?
Avete letto “Anticancro” di David Servan-Schreiber? Che ne pensate?
Grazie Noemi.
@Noemi il tuo progetto è molto interessante, la “la trama di immagini” sicuramente una testimonianza personale, ma anche artistica, che diviene pubblica e condivisa. E il discorso che affronti sugli stereotipi, su un concetto di femminilità a cui ci si deve costantemente adeguare o comunque il cui confronto è inevitabile, mi sembra davvero opportuno.
Anche io ho affermato che le parole di una persona amica, di un parente o di un conoscente, riescono a toccarci nel profondo, più di quanto possa farlo la narrazione del personaggio famoso. Scatta un meccanismo di empatia, a cui nel caso di un rapporto di parentela o amicizia si sovrappone l’affettività, e di maggiore identificazione. Credo sia lo stesso tipo di esperienza che ci rende più sensibili a un lutto che colpisce un conoscente piuttosto che un estraneo.
D’altra parte se una donna di successo sente la necessità di condividere il suo percorso raggiungendo molte più persone, non ci vedo nulla di negativo.
Il punto è che spesso queste testimonial, usate nel contesto di quel grande baraccone rosa in cui si muovono per fini puramente commerciali grandi aziende, le stesse che usano cancerogeni nei loro prodotti, perdono efficacia e valore. Almeno per quanto mi riguarda. La testimonianza di per sé, passi o meno attraverso la notorietà, ha una sua ragion d’essere, ma la trovo inopportuna se proposta da determinati soggetti e realizzati in ambiti criticabili.
@Elisabetta: grazie!
Parlarne, bisogna parlarne ma fuori dagli schemi come si sta facendo qui.